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Quello dell’equivalenza terapeutica tra principi attivi differenti aventi le stesse indicazioni terapeutiche è uno delle tematiche più significative che attengono alla commercializzazione e acquisto dei farmaci nel c.d. canale ospedaliero (comprensivo di distribuzione diretta e per conto). Rappresenta infatti un’opzione ad alto impatto concorrenziale in un mercato strutturalmente poco competitivo.
Nello schema della legge di bilancio 2017 proposto dal Governo, il quarto periodo del comma 11 dell’articolo 59 disponeva che “…nelle procedure pubbliche di acquisto non possono essere posti in gara nel medesimo lotto principi attivi differenti anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche…”.
Secondo le Regioni, “La norma di fatto esclude la possibilità di agire nella gare sulla leva della concorrenza come previsto dall’articolo 15, comma 11 ter, del Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni nella Legge 7 agosto 2012, n. 135 che dispone “…. nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi, le Regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco…”. L’eliminazione della possibilità alle centrali di acquisto di eseguire gare in equivalenza terapeutica, oltre ad essere in evidente contrasto con le più elementari leggi del mercato e della concorrenza, impedisce alle Regioni di poter acquisire economie valutabili, su base annua, a livello nazionale dell’ordine di 500-1.000 milioni di euro.”
A corroborare l’opposizione delle Regioni è intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che, con Atto di segnalazione al Presidente della Camera dei Deputati (AS 1312 del 17 novembre 2016), sul punto evidenzia quanto segue: “ si rileva come il testo attuale dell’articolo sia poco chiaro, al punto da poter anche essere letto come un possibile divieto alla messa in concorrenza diretta di farmaci aventi principi attivi diversi non solo quando si tratti di prodotti biotech, ma anche a base chimica. Al proposito, è appena il caso di rilevare come ciò contrasterebbe con il lungo e faticoso cammino sin qui percorso per sviluppare una concorrenza in tal senso, e per cui col c.d. decreto Balduzzi è stata appositamente prevista una competenza preventiva dell’Agenzia Italiana del Farmaco volta a valutare la legittimità di siffatti disegni di gara. Si confida che il legislatore vorrà tenere nella debita considerazione le valutazioni qui esposte.”
L’Antitrust si riferisce alla Determina AIFA n. 458/2016, che regola la definizione delle equivalenze terapeutiche e che ha come principale scopo quello di “permettere acquisti centralizzati di farmaci attraverso gare in concorrenza; è particolarmente rilevante per farmaci utilizzati direttamente in ospedale o forniti ai cittadini attraverso l’erogazione diretta (direttamente dalle farmacie delle Aziende sanitarie o “per conto” attraverso le farmacie al pubblico); è applicato nell’interesse dei pazienti e garantisce, comunque, la libertà prescrittiva del singolo medico in quanto quest’ultimo potrà individuare aree di utilizzo specifico dei singoli principi attivi all’interno della classe di farmaci coinvolti nell’equivalenza terapeutica; dei cittadini in quanto si propone l’obiettivo di facilitare l’accesso a terapie di pari efficacia e sicurezza, alla luce delle conoscenze scientifiche, ad un prezzo determinato dalla competizione”. L’efficacia di questo provvedimento è stata però sospesa con Determina n. 1456/2016 e successiva decisione del 21 novembre u.s., anche a seguito della contrarietà – per lesa libertà prescrittiva – espressa da organizzazioni mediche e da altre rappresentative di assistiti. I giudici amministrativi sono intervenuti ripetutamente sulla materia, sia in relazione alla strutturazione delle gare, sia in riferimento ai provvedimenti con cui le Regioni hanno variamente regolato la prescrizione dei farmaci biologici. Un’ultima decisione – significativa anche perché supportata da perizia tecnica – ha legittimato l’equivalenza terapeutica tra epoietine (Tar Piemonte n. 1409/2016).
La querelle “equivalenza si – equivalenza no” appare quindi destinata a proseguire. La partita è stata giocata sino ad ora in ambito regolatorio, trascurando l’inquadramento della tematica nell’altro contesto legislativo di riferimento che è quello degli appalti pubblici e che – essendo di matrice comunitaria – prevale su ogni normativa nazionale.
In particolare, il divieto di poter azionare ai fini concorrenziali l’equivalenza terapeutica tra principi attivi differenti aventi le medesime indicazioni terapeutiche, appare in contrasto con gli ordinamenti comunitario e nazionale, relativamente alla valenza da attribuirsi negli atti di gara alle specifiche tecniche identificative dell’oggetto del contratto. La materia è regolata, in recepimento della Direttiva 2014/24/UE, dal Codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016), all’art. 68. Il principio generale è che “le specifiche tecniche consentono pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza”. A tale scopo, o le specifiche tecniche sono formulate “in termini di prestazioni”, oppure, se fanno riferimento a produzioni specifiche – devono essere accompagnate dall’espressione “o equivalente”. Tanto che “ le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”.
Neanche a farlo apposta, il legislatore degli appalti pubblici utilizza anch’esso specificamente il termine “equivalenza” per regolare la concorsualità in gara. Gli effetti potenziali di questa norma sono spiazzanti, nella misura in cui sottraggono all’ambito strettamente “farmaceutico” e alle autorità regolatorie di settore il governo esclusivo delle questioni tecniche che riguardano il mercato dei farmaci.
Ad esempio, anche se il bando di gara prefigura come specifica tecnica una determinata molecola, non prevedendo la possibilità di equivalenza terapeutica, questa può essere invocata, motivatamente, da un concorrente; e solo con motivazione tecnica contraria della stazione appaltante può essere confutata. Ne’, ai fini di escludere l’offerta asserita “equivalente”, potrebbe valere la motivazione che l’AIFA non si è espressa. E’ onere infatti non delegabile della pubblica amministrazione appaltante rispettare le norme comunitarie e nazionali sulla concorrenza. In altri termini, la stazione appaltante non potrebbe sottrarsi al giudizio di merito sulla asserita equivalenza prospettata da un operatore economico e, in carenza di indicazioni in ambito regolatorio, dovrebbe essa stessa assumere determinazioni in merito. La giurisprudenza è conforme alla caratterizzazione delle specifiche tecniche, come sopra delineata (si richiamano, ad esempio, le sentenze del Cons. di Stato n. 4364/2013, n.5494/2015, n.3701/2016). In questo senso, già l’art. 15 comma 11 ter della legge n. 135/2012, che riservava alle sole Regioni “eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi”, subordinatamente a conformi valutazioni dell’AIFA, appariva – in quanto inibente la possibilità anche per gli operatori di mercato di azionare l’equivalenza terapeutica – non conforme all’ordinamento sugli appalti pubblici.
Ritornando alle disposizioni in materia previste dalla Legge di bilancio 2017, nella versione finale è stato introdotto un emendamento che introduce consistenti problematiche interpretative. Il testo approvato così recita: nelle procedure pubbliche di acquisto per i farmaci biosimilari non possono essere posti in gara nel medesimo lotto principi attivi differenti anche se aventi le stesse indicazioni terapeutiche.
L’aggiunta “per i farmaci biosimilari” sembrerebbe essere stata introdotta proprio per quella specificazione richiesta dall’Antitrust in ordine alla limitazione ai farmaci biologici del divieto di equivalenza tra molecole diverse. Tuttavia, poiché la norma fa letteralmente riferimento ai farmaci biosimilari e non complessivamente ai farmaci biologici, risulterebbero esclusi dal divieto medesimo i farmaci biologici originatori. Per questi ultimi, quindi, sarebbe ancora ammessa l’equivalenza tra principi attivi differenti aventi le stesse indicazioni terapeutiche. Il che non appare coerente con quello che sembra essere lo spirito della norma. Più che di una correzione legislativa, si sarebbe quindi in presenza di un passaggio dall’errore rosso all’errore blu.
articolo a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.
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