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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
Gli appalti pubblici, oltre che una spesa, rappresentano un volano per l’economia nazionale e, in parte, rappresentano un indicatore dello stato di salute della medesima.
Quando, in ambito mass-mediatico, si parla di appalti pubblici ci si riferisce normalmente alle opere pubbliche. Anche la cultura giuridica in materia di appalti propende decisamente per il comparto dei “lavori”. Quando vengono emanate nuove norme sugli appalti pubblici si analizzano e commentano in primis le ricadute sulle opere pubbliche. Non è un caso, poi, che il Ministero che presiede alla regolazione e input legislativo sugli appalti pubblici sia quello delle infrastrutture. Il mondo dei “lavori” beneficia di una mono- identità, sia sotto il profilo operativo che del relativo mercato che è, appunto, monotematico. Da qui rappresentanze delle imprese di settore e stakeholders a univoca connotazione identitaria. I “lavori”, quindi, dispongono di una voce forte e ascoltata. Viceversa, la domanda e l’offerta di beni e servizi sono disperse in una miriade di “materie” differenti e fanno riferimento ad altrettanti separati mercati. Così come dispersa è la platea dei compratori pubblici. Per questi motivi, forniture e servizi non godono di una connotazione identitaria e soffrono, anche in fase regolatoria, una sudditanza psicologica nei confronti dei “lavori”, ben rappresentati dai portatori di interesse. Paradigmatica di questa subalternità è la “merlonizzazione” di forniture e servizi operata dal Codice dei contratti approvato con D.Lgs. n. 163/2006 (e il cui impianto è stato mantenuto anche dal nuovo Codice), con effetti devastanti sull’efficienza ed efficacia delle procedure di acquisto di beni e servizi. Per via della forzosa applicazione delle logiche dell’opera unica chiusa a forniture ripetitive e seriali che, viceversa, non devono avere soluzione di continuità e che si caratterizzano per una immissione in più processi produttivi aziendali. Le forniture e i servizi non possono essere interrotti, mentre i lavori possono essere sospesi, ripresi, riprogettati, ecc. Con tutta calma, come evidenzia il rilevante fenomeno delle opere incompiute.
Eppure, in termini numerici e di fatturato, forniture e servizi prevalgono in modo significativo sui “lavori”. I dati diffusi dall’ANAC relativi alle procedure di affidamento nei settori ordinari di importo superiore a 40.000 euro per il 1° quadrimestre 2016 confermano questa composizione tipologica degli appalti pubblici. Le procedure relative e forniture e servizi sono state 21.887 per un importo complessivo a base d’asta di oltre 23 miliardi di euro. Le procedure per lavori sono state 7.315, per un totale di 3,3 miliardi di euro. Anche il valore medio unitario dell’appalto è significativamente superiore per forniture (920.380 euro) e servizi (1.180.362 euro) rispetto ai lavori (456.480 euro). Ma tant’è.
Premesso quanto sopra, relativamente alla distribuzione delle procedure per fasce di importo, si rileva come il numero di procedure decresca all’aumentare dello scaglione di valore, mentre il valore globale degli appalti cresce all’aumentare dello scaglione di importo. Nella fascia di valore compresa tra 40.000 e 150.000 euro sono state indette 15.706 procedure, per un valore di 1,3 miliardi di euro. Al’estremo superiore, per valori unitari oltre 25.000.000 euro sono state indette 123 appalti, per un valore di 10,7 miliardi di euro.
I dati del 1° quadrimestre 2016 relativi alle diverse tipologie di stazione appaltante evidenziano una rilevante frammentazione nell’indizione delle procedure. La sanità, nelle sue varie articolazioni, fa comunque la parte del leone. Le centrali di committenza del settore sanità guidano la classifica con un valore bandito di 3,2 miliardi di euro (9,4% del totale), corrispondenti a oltre 1300 procedure. Le ASL hanno indetto gare per 2,3 miliardi di euro (6,8%), corrispondenti a oltre 4.500 procedure, le aziende ospedaliere e universitarie hanno appaltato per 1,1 miliardi di euro (3,3%) corrispondenti a oltre 2.500 procedure. La Consip ha globalmente indetto gare per 1,8 miliardi di euro (5,3%), corrispondenti a 88 procedure.
I Comuni hanno bandito procedure per 3,4 miliardi di euro (9,7%) corrispondenti a oltre 6.400 procedure; le Regioni per 2,6 miliardi di euro (7,4%) corrispondenti a oltre 1400 procedure, le Province 0,6 miliardi di euro (1,7%), corrispondenti a 882 procedure.
Pur con la mancata disponibilità di dati più di dettaglio, che consentirebbero una più puntuale segmentazione dei fenomeni, emergono alcuni elementi di scenario e trend. Il primo è rappresentato dall’elevato numero di procedure indette da singole stazioni appaltanti. Se ne può dedurre che le varie azioni messe in campo nel tempo con l’obiettivo di concentrare la domanda di beni e servizi non hanno sortito un effetto totalizzante, se, nonostante i dettati normativi relativi che orientano ad avvalersi delle centrali di acquisto, enti sanitari ed enti locali continuano a bandire gare in proprio per importi globalmente rilevanti. Peraltro, l’elevato numero di procedure nella prima fascia di importo monitorata (40.000-150.000 euro) denota una frammentazione o polverizzazione delle esigenze merceologiche che – evidentemente – solo parzialmente può essere intercettata dalle centrali di acquisto. Del resto, anche i rapporti sull’attività di Consip ( e i volumi banditi dalla centrale, sopra richiamati) evidenziano una capacità di sistema di ricondurre a standard merceologici unificati solo una parte dei fabbisogni. Specularmente, si registra un incremento di utilizzo della piattaforma elettronica per i fabbisogni di basso importo e sottosoglia. Nel complesso, quindi, gli indicatori convergono nell’evidenziare uno zoccolo duro di fabbisogni che sono difficilmente standardizzabili o aggregabili, o per loro natura, ovvero in funzione dell’evoluzione tecnologica, o delle specificità dei processi produttivi; fabbisogni il cui soddisfacimento mal si concilia con la inevitabile rigidità operativa delle centrali di acquisto. Per altro verso, appare significativo il fatturato espresso dalle centrali di committenza del settore sanitario (quasi il 10% di tutto il transato della p.a.).
I dati rilevati consentono di ricavare qualche indicazione in termini di scenario. Per fare ciò, in considerazione degli importi transati e dell’esperienza maturata in tema di centralizzazione degli acquisti, la sanità potrebbe essere assunta a paradigma dell’evoluzione della domanda di beni e servizi nel comparto pubblico.
Si prospetterebbe quindi un sistema di procurement pubblico modulare e multilivello, in cui coesistono acquisti centralizzati per fabbisogni economicamente rilevanti, e acquisti residuali (ma non troppo) a base locale, singolarmente di medio-basso impatto economico, ma probabilmente comunque imprescindibili per garantire la produzione.
Questa fascia dovrebbe intercettare anche l’evoluzione tecnologica, da sperimentare, consolidare ed eventualmente portare a regime nella fascia di acquisto superiore.
Al di là delle analisi sull’articolazione della domanda, ciò che evidenzia ulteriormente il rapporto ANAC sull’andamento degli appalti nel 1° quadrimestre 2016, in rapporto al corrispondente periodo del’anno precedente, è il calo complessivo della domanda nei settori oridinari, passata da 34.328 procedure, per un valore di 27.349.412.408 euro, a 29.202 procedure, per un valore di 26.421.301.110 euro. In particolare, le forniture flettono del 17,9% in termini di numero di procedure e del 18,7% in termini di valore. I lavori si riducono rispettivamente del 23,5% e del 31,3%. In controtendenza i servizi che, pur diminuendo in termini di numero di procedure (-5,6%), crescono per valore (+ 26,9%). Il dato medio dell’andamento del totale della domanda nei settori ordinari rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente è -15,2% per numero di procedure e – 3,4% per valore. Relativamente alle fasce di importo, si registra una diminuzione delle procedure e dei corrispondenti valori nelle fasce da 40.000 sino 25.000.000 di euro, con un incremento in termini di valore per lo scaglione degli appalti di oltre 25.000.000 di euro.
Si potrebbe quindi concludere che una generalizzata caduta degli appalti pubblici è attenuata da una crescita dei grandi appalti, con accentuazione – si presume – nell’ambito dei servizi. In termini di valore, il trend complessivo è simile a quello rilevato nell’ultimo quadrimestre 2015, rispetto al corrispondente periodo del 2014 (- 14,2% forniture; – 9,6% lavori; + 11,9% servizi). Nell’ambito di un raffeddamento complessivo della spesa per beni e servizi, confermato anche dai dati globali di bilancio, potrebbe anche essere in atto uno swich tendenziale dalle forniture ai servizi.
Per quanto riguarda le tipologie di procedure utilizzate nei settori ordinari (per forniture, lavori, servizi) nel 1° quadrimestre 2016 rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, le procedure aperte diminuiscono per numero (-9,3%) ma “tengono” per valore (+0,8%). Le procedure ristrette flettono per numero (-16%) ma crescono sensibilmente per valore (+48,6%), quindi con un innalzamento significativo del valore unitario degli appalti. Dal che si potrebbe dedurre anche un tendenziale swich dalla procedura aperta a quella ristretta, più garantista sotto il profilo dell’affidabilità dei contraenti. Crollano le procedure negoziate, con e senza bando. Le prime del 31,1% in termini numerici e del 67,5% in termini di valore; le seconde del 15,8% in termini numerici e del 14,5% per valore. Si contraggono anche gli affidamenti in economia: – 14,7% di procedure e – 18,8% di valore. Altri affidamenti non meglio individuati decrescono del 38,8% per numero e del 49,3% per valore. In assoluto, la distribuzione delle tipologie di procedure in termini di valore di acquisto vede primeggiare nel 1° quadrimestre 2016 la “procedura aperta” (58%) seguita dalla “procedura negoziata senza bando” (18%). Al terzo posto per valore si colloca la “procedura ristretta” (15%). Gli affidamenti in “economia” valgono il 6%. A seguire, “procedure negoziate con bando”e altri affidamenti non meglio individuati.
Pur considerando la diminuzione in valori relativi, non può essere trascurata l’incidenza in valore assoluto sul totale degli affidamenti delle “procedure negoziate senza bando”, per le caratteristiche quanto meno di scarsa trasparenza che le connotano. Qui uno scandaglio più specifico, a partire dall’analisi delle tipologie di appalto coinvolte (forniture, lavori, servizi), sarebbe probabilmente opportuno.
articolo a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market
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