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Ancora sulle intese restrittive della concorrenza come motivo di esclusione dalle gare d’appalto

a cura dell’avvocato Giovanni Savoia.

In un contributo recente pubblicato su questo Focus On si dava atto della decisione del TAR Campania – Salerno (sent. n. 10 del 2 gennaio 2017) sulla non rilevanza, in sede di partecipazione alle gare d’appalto, delle sanzioni irrogate dall’AGCM per intese restrittive della concorrenza.

Il TAR campano, infatti, in una fattispecie già sottoposta all’applicazione del nuovo codice appalti, aveva escluso la riconduzione dei comportamenti anticoncorrenziali tra le ipotesi di grave illecito professionale di cui all’art. 80, comma 5, lett. c), del D.Lgs. 50/2016.

Occorre ora tornare sull’argomento per commentare l’articolata pronuncia del TAR Piemonte, sez. I, 29 marzo 2017, n. 428, relativa a una gara bandita antecedentemente all’entrata in vigore del nuovo codice, che si pone in direzione assai diversa.

Il caso originava da un ricorso mosso contro l’aggiudicazione di un appalto per il servizio di raccolta rifiuti e nettezza urbana a un’impresa sanzionata dall’AGCM per intesa restrittiva della concorrenza.
La sanzione era stata successivamente confermata dal TAR (che aveva annullato solo la determinazione del quantum) e, al momento della decisione del TAR Piemonte, era pendente l’appello avanti il Consiglio di Stato.
La società ricorrente, seconda classificata, lamentava la mancata esclusione dell’impresa aggiudicataria ex art. 38 del codice previgente, avendo la stazione appaltante errato nel non considerare tale sanzione come ipotesi di grave errore professionale, peraltro dichiarata dalla stessa società aggiudicataria in sede di gara.

Il TAR Piemonte si premura in primo luogo di spiegare che nell’art. 38 lett. f) d.lgs. 163/2006 sono contemplate due ipotesi: a) la negligenza/malafede nell’esecuzione contratto e b) il grave errore professionale. Tale seconda fattispecie include qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore economico, compresi i casi di esecuzione non corretta, imprecisa o carente di un contratto o di una parte di esso, ed è rimessa alla valutazione ampiamente discrezionale della stazione appaltante.

La disposizione dell’art. 38, lett. f) è diretta attuazione dell’art. 45, comma 2, lettera d), della Direttiva 2004/18/CE, che la Corte di Giustizia ha interpretato ricomprendendovi anche le violazioni delle regole sulla concorrenza. Nella decisione della sez. X, 18 dicembre 2014, n. 470, punto 35, la CGUE ha infatti affermato che “La commissione di un’infrazione alle regole della concorrenza, in particolare qualora tale infrazione sia stata sanzionata con un’ammenda, costituisce una causa di esclusione rientrante nell’articolo 45, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2004/18”.

In secondo luogo, il TAR precisa che, ai fini della sua rilevanza per un’eventuale esclusione dalla gara, l’errore professionale non deve essere definitivamente accertato in sede giurisdizionale (sicché, nel caso di specie, non aveva alcun rilievo che, sulla sanzione dell’AGCM, vi fosse un giudizio pendente avanti il Consiglio di Stato).
Nel caso concreto il TAR Piemonte ritiene che l’ampia discrezionalità della stazione appaltante sia sconfinata nella pretestuosità e illogicità manifesta.

Ed infatti, secondo il TAR, “Rispetto al catalogo tipizzato nelle diverse lettere del comma 1 dell’art. 38, la lettera f) costituisce una clausola generale di chiusura, intesa a tributare rilevanza – sia pure attraverso la mediazione di volta in volta della valutazione discrezionale della stazione appaltante – ad ogni altra ipotesi di scorrettezza, inadempienza o macchia professionale, che emerga dai pregressi rapporti con la stessa o con diversa pubblica amministrazione”.

In altre parole, “ciò che le violazioni “esecutive e prestazionali” di cui alla lettera f) intendono far emergere è pur sempre un deficit di “integrità” e “moralità” dell’operatore economico, sebbene desunto attraverso il filtro della sua pregressa esperienza professionale, che ne comprometta l’autorevolezza quale potenziale interlocutore della P.A.”.

Quello che dovrà effettuare la stazione appaltante, dunque, è un giudizio di gravità dell’errore che, “rispetto a precedenti professionali indicativi di imperizia tecnica, potrà concretarsi in una prognosi di affidabilità o inaffidabilità nella esecuzione della prestazione contrattuale; mentre, rispetto a precedenti professionali indicativi di scarsa osservanza delle regole, se non di vera e propria propensione all’illegalità, dovrà risolversi in un giudizio di “ordine pubblico” circa la meritevolezza dell’operatore ad entrare in affari con la P.A.”.

Venendo al nocciolo della questione, se pure è vero che, per loro natura, le intese restrittive della concorrenza si collocano nella fase di gara e non in quella di esecuzione del contratto, nel caso di specie, secondo il TAR, la stazione appaltante ha omesso di considerare che “l’infrazione alle regole della concorrenza costituisce – secondo la giurisprudenza comunitaria – condotta integrante errore professionale; tributando rilevanza al fatto che tali condotte non siano state accertate in modo definitivo e si siano verificate in una diversa gara, con ciò trascurando di considerare che la disposizione comprende qualsiasi comportamento scorretto, non necessitante di accertamento coperto da giudicato, che incida sulla credibilità professionale dell’operatore di cui trattasi e, quindi, non soltanto le violazioni delle norme di esecuzione del contratto, ovvero quelle in senso stretto della professione cui appartiene tale operatore; omettendo, infine, ogni considerazione in ordine alla valenza sintomatica che tali condotte rivestono in ordine alla integrità e alla qualità morale dell’impresa, quale elemento che necessariamente deve concorrere nella selezione degli interessi di rilievo pubblico che la stazione appaltante persegue”.

Conclude il TAR Piemonte disponendo l’annullamento dell’aggiudicazione, con il conseguente obbligo in capo alla stazione appaltante di rideterminarsi, tenendo conto delle indicazioni del Giudice amministrativo.

La sentenza commentata non fa dunque che consolidare l’esistenza di una molteplicità di orientamenti giurisprudenziali sulla configurazione delle intese restrittive della concorrenza quali motivi di esclusione dalle gare a evidenza pubblica.

Un terzo orientamento, si potrebbe dire intermedio, rispetto ai due menzionati è quello fatto proprio dall’ANAC nelle Linee guida n. 6, relative all’“Indicazione dei mezzi di prova adeguati e delle carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto che possano considerarsi significative per la dimostrazione delle circostanze di esclusione di cui all’art. 80, comma 5, lett. c) del Codice”. In esse, l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici ha affermato che tra le situazioni idonee a porre in dubbio l’integrità o l’affidabilità dell’operatore economico rientrano anche “i provvedimenti di condanna divenuti inoppugnabili o confermati con sentenza passata in giudicato, dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per pratiche commerciali scorrette o per illeciti antitrust gravi aventi effetti sulla contrattualistica pubblica e posti in essere nel medesimo mercato oggetto del contratto da affidare” (punto 2.1.3.1).

Acquisirebbero rilevanza ai fini dell’esclusione dalla gara, dunque, le sole sanzioni dell’AGCM divenute inoppugnabili o confermate con sentenza passata in giudicato, e sempre che siano relative a condotte scorrette poste in essere nello stesso mercato oggetto della gara da aggiudicare.

Tale ultima posizione ha quantomeno il pregio di circoscrivere la discrezionalità della stazione appaltante a ipotesi definitivamente accertate e potenzialmente in grado di minare la fiducia nell’operatore economico, escludendo ogni automatismo espulsivo.

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