Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.
L’attuale Governo si vuole accreditare come quello del “cambiamento”. Sara vera svolta anche nelle “politiche” del farmaco, viste le importanti ricadute sulla spesa pubblica? Tra i più significativi temi in discussione vi è quello dell’ “equivalenza terapeutica”.
In principio fu la gara indetta nel 2004 nell’ambito dell’m Area Vasta Emilia Nord per la fornitura, tra l’altro, delle epoietine (farmaci utilizzati in ambito oncoematologico). Vengono per la prima volta messe a confronto competitivo, in una gara qualità-prezzo (la prima nell’ambito dei farmaci), molecole diverse aventi le medesime indicazioni ed effetti terapeutici (secondo studi clinici di equivalenza terapeutica). La gara determina una imprevista competizione tra farmaci precedentemente acquisiti in regime di esclusività, spiazzando il mercato. La competizione porta ad un dimezzamento del prezzo “storico”, tanto che l’Area Vasta ottiene su un solo farmaco un risparmio per i 4 anni di contratto di oltre 3 milioni di euro. Il confronto concorrenziale tra molecole diverse viene contestato in sede giurisdizionale, ma Tar competente e Consiglio di Stato confermano la legittimità della possibilità di confronto, in quanto basato su solide basi scientifiche. Nel proseguo, vanamente contrastata dal mercato, la modalità di confronto concorrenziale in equivalenza terapeutica viene adottata anche per altri farmaci e replicata a macchia di leopardo sul territorio nazionale. La adottano le Regioni più attrezzate in materia di governance farmaceutica e più sensibili al controllo della spesa. A questo punto, visti anche i ricorrenti contenziosi, e le difformità comportamentali delle Regioni, si impone una regolazione nazionale dell’equivalenza terapeutica, che si concretizza nella Determina AIFA 204/2014. Il provvedimento stoppa la potestà regolatoria regionale e subordina l’attivazione dell’equivalenza terapeutica da utilizzare nelle procedure di acquisto ad una istanza della Regione interessata, corredata dalla presentazione di un adeguato dossier scientifico, su cui l’AIFA si esprimerà. L’equivalenza di cui si tratta – precisa l’AIFA – è quella tra molecole diverse (di natura chimica o biologica) e non tra prodotti di marchio e farmaci loro “equivalenti” o generici (a seguito di scadenza dei brevetti), ovvero tra farmaci biologici e loro “biosimilari”, in quanto l’equivalenza o “similarità” per farmaci con a base la stessa molecola è “implicita”e sancita in ambito europeo dall’EMA.
La legge di bilancio 2017 sconvolge le modalità di acquisto dei farmaci nel canale ospedaliero e connessi (distribuzione diretta e per conto), segnatamente con riferimento ai farmaci biotecnologici. Vengono ridotti i margini di autonomia regolatoria delle Regioni, a partire dalla rimozione della sostituibilità automatica tra farmaci biotecnologici originatori e biosimilari. Viene abolita anche la possibilità di ’”equivalenza terapeutica” in fase di gara tra principi attivi differenti aventi le stesse indicazioni. Le procedure pubbliche di acquisto devono svolgersi mediante utilizzo di accordi quadro con tutti gli operatori economici titolari di medicinali a base del medesimo principio attivo. A tal fine le centrali regionali d’acquisto predispongono un lotto unico avente come base d’asta il prezzo massimo di cessione al S.S.N. del farmaco biologico di riferimento. I pazienti devono essere trattati con uno dei primi tre farmaci nella graduatoria dell’accordo quadro classificati secondo il criterio del minor prezzo o dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il medico è comunque libero di prescrivere, senza obbligo di motivazione, il farmaco tra quelli inclusi nella procedura, ritenuto idoneo a garantire la continuità terapeutica ai pazienti.
Le Regioni insorgono e rilevano che “La norma di fatto esclude la possibilità di agire nella gare sulla leva della concorrenza come previsto dall’articolo 15, comma 11 ter, del Decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni nella Legge 7 agosto 2012, n. 135 che dispone “….nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti principi attivi, le Regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco…”. Non è noto il motivo per cui si debba stravolgere il codice degli appalti per una fattispecie specifica di beni che, fra l’altro hanno usufruito di una esclusività commerciale per oltre 20 anni. La procedure pubblica di acquisto descritta all’articolo 59 comma 11 lettera a) considerato che le aziende che commercializzano i prodotti biologici per singolo principio attivo e per singolo dosaggio fatto salve pochissime eccezioni non son più di tre unito a quanto disposto dal sopracitato comma, lettera b) secondo periodo “…il medico è comunque libero di prescrivere senza obbligo di motivazione, il farmaco fra quelli inclusi nella procedura di cui alla lettera a)….” equivale a garantire a questi farmaci una esclusiva commerciale sine die. A questo proposito è solo il caso di segnalare che sono in scadenza nei prossimi anni molti farmaci biologici fra i quali epoetina beta, interferon alfa, trastuzumab, rituximab, adalimumab, darbepoetina, bevacizumab ed altri che hanno già perduto la copertura brevettuale come epoetina alfa, somatropina, filgrastim, infliximab, insulina glargine, follitropina, etanercept con un fatturato complessivo anno di circa 1,4 miliardi di euro. L’attivazione di procedure concorrenziale potrebbe portare economie non inferiori al 25-35 % con un risparmio non inferiore a 400 milioni di euro”
Sul punto, l’Antitrust osserva che “ si rileva come il testo attuale dell’articolo sia poco chiaro, al punto da poter anche essere letto come un possibile divieto alla messa in concorrenza diretta di farmaci aventi principi attivi diversi non solo quando si tratti di prodotti biotech, ma anche a base chimica. Al proposito, è appena il caso di rilevare come ciò contrasterebbe con il lungo e faticoso cammino sin qui percorso per sviluppare una concorrenza in tal senso, e per cui col c.d. decreto Balduzzi è stata appositamente prevista una competenza preventiva dell’Agenzia Italiana del Farmaco volta a valutare la legittimità di siffatti disegni di gara”.
Il riferimento dell’Antitrust è alla Determina AIFA n. 458/2016, che regola la definizione delle equivalenze terapeutiche e che ha come principale scopo quello di “permettere acquisti centralizzati di farmaci attraverso gare in concorrenza; è particolarmente rilevante per farmaci utilizzati direttamente in ospedale o forniti ai cittadini attraverso l’erogazione diretta (direttamente dalle farmacie delle Aziende sanitarie o “per conto” attraverso le farmacie al pubblico); è applicato nell’interesse dei pazienti e garantisce, comunque, la libertà prescrittiva del singolo medico in quanto quest’ultimo potrà individuare aree di utilizzo specifico dei singoli principi attivi all’interno della classe di farmaci coinvolti nell’equivalenzaterapeutica; dei cittadini in quanto si propone l’obiettivo di facilitare l’accesso a terapie di pari efficacia e sicurezza, alla luce delle conoscenze scientifiche, ad un prezzo determinato dalla competizione”. Secondo tale determina, per i farmaci biologici si da per implicita l’equivalenza terapeutica tra originatore e suoi biosimilari, come segue: “Per quanto concerne i farmaci biosimilari, infatti, l’identità del principio attivo e l’accertamento della biosimilarità rispetto al biologico di riferimento, compiuto dall’EMA in sede di rilascio AIC, assicurano che tra il biologico di riferimento e il corrispondente biosimilare non vi siano differenze cliniche rilevanti”.
La querelle “equivalenza si – equivalenza no” appare quindi destinata a proseguire. La partita è stata giocata sino ad ora in ambito regolatorio, trascurando l’inquadramento della tematica nell’altro contesto legislativo di riferimento che è quello degli appalti pubblici e che – essendo di matrice comunitaria – prevale su ogni normativa nazionale.
In particolare, il divieto di poter azionare ai fini concorrenziali l’equivalenza terapeutica tra principi attivi differenti aventi le medesime indicazioni terapeutiche, appare in contrasto con gli ordinamenti comunitario e nazionale, relativamente alla valenza da attribuirsi negli atti di gara alle specifiche tecniche identificative dell’oggetto del contratto. La materia è regolata, in recepimento della Direttiva 2014/24/UE, dal Codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016), all’art. 68. Il principio generale è che “le specifiche tecniche consentono pari accesso degli operatori economici alla procedura di aggiudicazione e non devono comportare direttamente o indirettamente ostacoli ingiustificati all’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza”. A tale scopo, o le specifiche tecniche sono formulate “in termini di prestazioni”, oppure, se fanno riferimento a produzioni specifiche – devono essere accompagnate dall’espressione “o equivalente”. Tanto che “ le amministrazioni aggiudicatrici non possono dichiarare inammissibile o escludere un’offerta per il motivo che i lavori, le forniture o i servizi offerti non sono conformi alle specifiche tecniche alle quali hanno fatto riferimento, se nella propria offerta l’offerente dimostra, con qualsiasi mezzo appropriato, che le soluzioni proposte ottemperano in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche”. Neanche a farlo apposta, il legislatore degli appalti pubblici utilizza anch’esso specificamente il termine “equivalenza” per regolare la concorsualità in gara. Gli effetti potenziali di questa norma sono spiazzanti, nella misura in cui sottraggono all’ambito strettamente “farmaceutico” e alle autorità regolatorie di settore il governo esclusivo delle questioni tecniche che riguardano il mercato dei farmaci. Ad esempio, anche se il bando di gara prefigura come specifica tecnica una determinata molecola, non prevedendo la possibilità di equivalenza terapeutica, questa può essere invocata, motivatamente, da un concorrente; e solo con motivazione tecnica contraria della stazione appaltante può essere confutata. Ne’, ai fini di escludere l’offerta asserita “equivalente”, potrebbe valere la motivazione che l’AIFA non si è espressa. E’ onere infatti non delegabile della pubblica amministrazione appaltante rispettare le norme comunitarie e nazionali sulla concorrenza. In altri termini, la stazione appaltante non potrebbe sottrarsi al giudizio di merito sulla asserita equivalenza prospettata da un operatore economico e, in carenza di indicazioni in ambito regolatorio, dovrebbe essa stessa assumere determinazioni in merito.
In termini generali, il quadro regolatorio in materia di equivalenza terapeutica appare quanto meno irrazionale. L’Agenzia del farmaco, cui per legge è stata attribuita la competenza a definire le equivalenze terapeutiche (attività produttiva di possibili rilevanti conseguenze sull’appropriatezza e contenimento della spesa sanitaria), assume paradossalmente una posizione attendista, cioè, in materia di equivalenza terapeutica, si muove solo su imput delle Regioni, che devono inoltrare specifiche richieste documentate. Eppure l’AIFA dovrebbe presiedere con ruolo propulsivo alle politiche del farmaco, nell’interesse nazionale. Ovvio rilevare, poi, come il metodo dell’equivalenza on demand, nella sua farraginosità, si traduca in uno dei tanti casi di inefficienza generale di sistema e spreco di risorse (le stesse attività replicate in parallelo in ogni Regione, ritardi decisionali che comportano maggiori prezzi di acquisto ecc.).
La determina AIFA 204/2014 viene superata dalla Determina n. 458/2016 “per meglio definire la procedura da seguire per sottoporre la richiesta di parere di cui all’art. 15, comma 11-ter, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, nonché per chiarire alle Regioni quali siano i requisiti che i medicinali contenenti principi attivi diversi devono possedere per poter essere ammessi alla valutazione di equivalenza terapeutica fra due o più farmaci”. Quest’ultimo provvedimento viene prima sospeso poi revocato, visti anche i profili di conflitto con la sopravvenuta legge di bilancio 2017.
In data 23/5/2018 viene adottata la nuova determinazione AIFA 818/2018 in tema di equivalenza terapeutica dei medicinali. Rispetto al 2014 l’elemento di cambiamento che appare di maggiore rilievo è che l‘AIFA modifica il livello ATC cui la Commissione Tecnico Scientifica dell’AIFA poteva risalire nell’equivalenza: tale criterio precedente risulta disvelato dalla sentenza CDS 13/06/2016 che qui di seguito in estratto riportiamo, anche, per ai più non noti, quattro criteri finalizzati a valutare che gli stessi farmaci:
1. appartengano alla stessa classe ATC, al III° o IV° livello;
2. abbiano indicazioni terapeutiche autorizzate sovrapponibili negli usi richiesti;
3. presentino una analoga via di somministrazione;
4. posseggano analoga modalità di rilascio del principio attivo.
Con l’attuale Determina la CTS non potrà più effettuare, per le regole che si è data, l’equivalenza terapeutica tra prodotti al III livello ma si dovrà limitare al IV. Questo raffredda le possibilità di confronto tra categorie di farmaci che non hanno in comune meccanismi d’azione pur avendo gli stessi obiettivi terapeutico-funzionali e prestazionali (ad es. ACE–inibitori, diuretici, betabloccanti e sartani con obiettivo ipertensione arteriosa).
La relativa “timidezza” regolatoria dell’AIFA in materia di equivalenza terapeutica, verrebbe comunque superata nel segno di un clamoroso “cambiamento”. Secondo quanto recentemente anticipato a mezzo stampa dalla Ministra della Salute Giulia Grillo, sarebbe allo studio una riscrittura del prontuario farmaceutico, concordata con le Regioni, dove i medicinali verrebbero classificati, e rimborsati, non più per principio attivo ma secondo ‘classi terapeutiche omogenee’. In sostanza, l’equivalenza terapeutica che esce dal consumo ospedaliero per estendesi al ben più corposo consumo territoriale.