Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Leonardo De Vecchi.
Il Giudice Amministrativo sta iniziando a dedicarsi con maggior frequenza al tema dei “contratti continuativi di cooperazione”, che, ai sensi dell’art. 105, comma 3, lett. c-bis del Codice dei Contrati Pubblici (D.Lgs. 50/2016) non configurano, negli affidamenti pubblici, delle ipotesi di subappalto. E l’indirizzo giurisprudenziale che sta sorgendo è univocamente restrittivo.
La norma citata prevede che, nell’ambito degli appalti pubblici, non integri un subappalto – e non sia, dunque, soggetto alle stringenti restrizioni previste dallo stesso art. 105, tra cui, soprattutto, il noto limite del 30% – l’affidamento di prestazioni a terzi disposto tramite “contratti continuativi” (definiti genericamente “di cooperazione, servizio e/o fornitura”) sottoscritti in epoca anteriore all’indizione della procedura di gara.
Le incertezze derivanti dall’applicazione di tale norma, in un ambito delicato come quello del subappalto pubblico, sono peraltro accresciute dal fatto che essa è stata introdotta nel Codice dei Contratti Pubblici con il Decreto correttivo (D. Lgs. 56/2017, in vigore dal 20 maggio 2017) su richiesta delle Commissioni parlamentari; il fatto, dunque, che essa non fosse presente nella prima bozza del Decreto correttivo ha fatto sì che non vi sia stato alcun riferimento illustrativo nella Relazione governativa di accompagnamento allo schema di decreto e che né il Consiglio di Stato né la Conferenza Unificata si siano pronunciati su di essa nei pareri resi prima della definitiva approvazione del decreto.
In questa situazione, si segnalano due recenti sentenze, una del TAR Sicilia – Palermo (Sez. III, n. 2583 del 6 dicembre 2018) ed una del Consiglio di Stato (Sez. V, n. 7256 del 27 dicembre 2018), entrambe restrittive, ma sulla base di criteri ermeneutici diversi e, anzi, sostanzialmente discordanti.
Il TAR Sicilia ha esaminato una fattispecie in cui un operatore economico partecipante ad una gara per l’affidamento di servizi assicurativi ha offerto, tramite terzi, ma senza dichiarare il subappalto, anche le attività di un ispettorato sinistri. Il TAR ha affermato che tali attività costituiscono una “frazione rilevante e ineliminabile” dell’oggetto del contratto e che, dunque, devono essere oggetto di subappalto e non possono rientrare in un contratto continuativo di cooperazione in quanto le prestazioni di questo devono essere “limitate ad attività sussidiarie e secondarie rispetto a quelle propriamente rientranti nell’oggetto dell’appalto”. Il TAR è giunto a tale affermazione ragionando a contrario: se fosse possibile affidare a terzi, senza subappalto, le attività che costituiscono l’oggetto dell’affidamento, dovrebbe dubitarsi della stessa “congruenza” costituzionale e comunitaria della norma.
Anche il Consiglio di Stato si è pronunciato in senso restrittivo, ma con affermazioni divergenti. Nel caso oggetto di giudizio un concorrente di una procedura per l’affidamento di servizi di ristorazione scolastica si era impegnato, senza dichiarare il subappalto, ad effettuare tramite terzi alcune prestazioni aggiuntive (interventi edili volti a migliorare il refettorio scolastico). Il Consiglio di Stato ha riconosciuto che tali prestazioni debbano essere affidate in subappalto e non possano essere oggetto di un contratto continuativo di cooperazione in quanto le prestazioni di tale tipologia di contratto “continuativo” “sono rivolte a favore dell’operatore economico affidatario del contratto di appalto con il soggetto pubblico, e non, invece, direttamente a favore di quest’ultimo, come avviene nel caso di subappalto”. Secondo il Consiglio di Stato, dunque, occorre verificare “la direzione delle prestazioni”: se esse sono “a favore” dell’amministrazione si avrà inevitabilmente un subappalto.
A prescindere da quale sia la chiave interpretativa corretta, è evidente che la giurisprudenza sta cercando di porre un freno al rischio che, attraverso i contratti continuativi di cooperazione, vengano aggirati i vincoli previsti per il subappalto pubblico. Si tratta, del resto, di interventi il linea con la tradizionale avversione dell’ordinamento italiano verso il subappalto pubblico, a tutela del principio di personalità nell’esecuzione dell’appalto e ad evitare, a valle della procedura di affidamento, il pericolo di infiltrazioni criminali nel mercato delle commesse pubbliche.
Sotto questo aspetto, non può farsi a meno di osservare come, recentemente, la disciplina italiana in tema di subappalto pubblico sia finita nuovamente nel mirino della Commissione Europea, la quale ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia contestando la “mancata conformità del quadro giuridico italiano alle direttive del 2014 in materia di contratti pubblici” e inserendo, fra i rilievi più gravi, il già citato limite del 30% per le prestazioni subappaltabili ed il divieto per un subappaltatore di fare a sua volta ricorso a un altro subappaltatore (c.d. “subappalto a cascata”).
Il tema spinoso dei contratti continuativi di cooperazione si inserisce dunque nel persistente scontro dialettico tra diverse esigenze: da un lato le tradizionali restrizioni italiane, a garanzia dell’ordine pubblico, dall’altro le spinte comunitarie, a garanzia di una maggiore concorrenza e apertura dei mercati. Nel mezzo le pubbliche amministrazioni appaltanti e gli operatori economici aspiranti appaltatori, alle prese con una disciplina sempre insidiosa.
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