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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Il consiglio di stato conferma l’illegittimità della limitazione quantitativa al subappalto prevista dall’ordinamento nazionale

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market

Nel silenzio della “Legge europea 2020” in via di adozione.

Il limite quantitativo al subappalto “deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019 (C-63/18) e 27 novembre 2019 (C-409)”.  Lo afferma il C.di S. nella sentenza n. 389/2020, provvedimento in cui viene anche esclusa una commistione  tra avvalimento e subappalto.

Le recenti decisioni della Corte di giustizia europea hanno  travolto i limiti quantitativi al subappalto previsti dalla legislazione nazionale, creando un vuoto normativo che ancora non è stato colmato dal legislatore, nonostante la procedura di infrazione 2018/2273 nei confronti dello Stato italiano.

La legge comunitaria 2020, in via di adozione, rappresenterebbe  lo strumento  per  un sistemazione normativa chiara e definitiva, in modo da eliminare le incertezze che gravano sulla formulazione dei bandi. Di tale revisione normativa,  però, non vi è, nel documento in bozza,  traccia.  In materia di subappalto è previsto quanto segue: viene abrogata definitivamente, in risposta parziale alla lettera di messa in mora inviata dalla Commissione UE all’Italia in data 24 gennaio 2019 (procedura di infrazione n. 2018/2273), la previsione dell’obbligo di indicazione della terna di subappaltatori contenuta nell’art. 105, comma 6, del Codice, e viene contestualmente posto fine all’attuale regime di sospensione di tale regola con la soppressione dell’art. 1, comma 18, del decreto Sblocca-cantieri. Di conseguenza, viene modificato in via altrettanto definitiva anche l’art. 80 del Codice, nelle parti in cui è contemplato l’obbligo – oggi parimenti sospeso – di esclusione dei concorrenti per mancato possesso dei requisiti di ordine generale in capo ai subappaltatori indicati nella terna (commi 1 e 4).

Dopo la sentenza CGUE del 26 settembre 2019 (C-63/18)   l’ANAC, nel sollecitare un intervento del legislatore sulla materia, sposa una tesi “possibilista” sul mantenimento di un limite quantitativo al subappalto, purchè non generalizzato e da modulare in funzione dello specifico comparto produttivo di rifermento, in quanto questo risulti più o meno esposto a lavoro nero , infortunistica, infiltrazioni criminali e condizionamenti. Il tutto accompagnato da efficaci accorgimenti per la verifica in sede di gara dei subappaltatori, mantenendo anche i controlli e l’individuazione degli stessi in fase esecutiva (Atto di segnalazione n. 8 del 13.11.2019 e Comunicato Presidente del 23.10.2019).

Il quadro normativo di riferimento

I limiti al subappalto sono per la prima volta inseriti nell’ordinamento giuridico italiano con l’art. 18 della legge 19 marzo 1990, n. 55. Tale norma è confluita successivamente nell’art. 34 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, poi nell’art. 118 del previgente codice dei contratti pubblici di cui al del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e infine nell’art. 105 del vigente Codice. In particolare, il comma 2 dell’art. 105 prevede che “Il subappalto è il contratto con il quale l’appaltatore affida a terzi l’esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto. […] Fatto salvo quanto previsto dal comma 5, l’eventuale subappalto non può superare la quota del 30 per cento dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture.” Il limite quantitativo del 30% è stato innalzato al 40% dal decreto legge 18 aprile 2019, n. 32 (c.d. “sblocca-cantieri”), in sede di conversione con la legge 14 giugno 2019, n. 55, verosimilmente con l’intento di superare i problemi avanzati dall’Unione europea con l’apertura della procedura di infrazione n. 2018/2273 riguardante varie disposizioni del Codice, tra cui anche talune inerenti il subappalto. Lo stesso decreto sblocca-cantieri ha poi inciso su un’altra previsione dell’art. 105, ovvero il comma 6, disponendo la sospensione fino al 31 dicembre 2020 dell’obbligo di indicare la terna dei subappaltatori per gli appalti di importo superiore alle soglie di cui all’art. 35. La finalità della più stringente norma nazionale rispetto a quella prevista dal legislatore comunitario è sempre stata, come è noto e come risulta dalla riproposizione del limite quantitativo nelle normative sugli appalti che si sono succedute dal 1990 fino al nuovo Codice del 2016, quella della tutela degli interessi generali di primaria importanza della sostenibilità sociale, dell’ordine e della sicurezza pubblica, in un contesto – quello del subappalto – in cui i maggiori rischi di infiltrazione criminale e di condizionamento dell’appalto si associano a minori capacità di controllo e verifica dei soggetti effettivamente coinvolti nell’esecuzione delle commesse. Le ragioni di tutela dei richiamati interessi generali sono peraltro contemplati nei Considerando n. 40 e 41 della direttiva 2014/24/UE (nel seguito, “Direttiva”). Ad esempio, il Autorità Nazionale Anticorruzione stabilisce che “[…] “Nessuna disposizione della presente direttiva dovrebbe vietare di imporre o di applicare misure necessarie alla tutela dell’ordine, della moralità e della sicurezza pubblici, della salute, della vita umana e animale o alla preservazione dei vegetali o altre misure ambientali in particolare nell’ottica dello sviluppo sostenibile, a condizione che dette misure siano conformi al TFUE”. Sulla scorta di questi principi, anche il Consiglio di Stato, nel parere n. 855/2016 reso sullo schema di Codice del 2016, segnalava la possibilità per il legislatore nazionale di porre, in tema di subappalto, norme di maggior rigore rispetto alle direttive europee, motivate da pregnanti ragioni di ordine pubblico, di tutela della trasparenza e del mercato del lavoro, e pertanto non tali da rappresentare un ingiustificato goldplating. In sede di adozione del richiamato decreto sblocca-cantieri, l’Autorità, tramite un documento pubblicato sul proprio sito il 17 maggio 2019 a fini conoscitivi, aveva svolto un primo approfondimento sulle principali novità introdotte dal decreto stesso, tra cui anche le modifiche che qui interessano inerenti la disciplina del subappalto. È stato evidenziato, in particolare, che l’innalzamento della quota di affidamento subappaltabile (dal 30% al 50%, poi scesa al 40% in sede di conversione del decreto legge) e la completa eliminazione della verifica dei requisiti del subappaltatore in gara non rispondevano alle osservazioni avanzate in sede di procedura di infrazione. L’assenza di un limite al subappalto, sosteneva l’Autorità, viene a livello europeo strettamente correlata alla necessità che i documenti di gara impongano ai concorrenti di indicare l’intenzione di subappaltare e i subappaltatori proposti, di modo che l’amministrazione sia posta in condizioni di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario. Per contro, le modifiche introdotte dal decreto legge tendevano a ridurre i limiti per il subappalto senza adottare accorgimenti per la verifica in sede di gara dei subappaltatori, mantenendo i controlli e l’individuazione degli stessi in fase esecutiva.

 La sentenza 26 settembre 2019 (C-63/18)   della CGUE

La sentenza in esame scaturisce da una domanda di pronuncia pregiudiziale con cui il TAR Lombardia, con ordinanza 148 del 19 gennaio 2018, chiedeva alla Corte di accertare se i principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi, di cui agli artt. 49 e 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), l’art. 71 della Direttiva, il quale non contempla limitazioni quantitative al subappalto, e il principio di proporzionalità, ostino all’applicazione di una normativa nazionale in materia di appalti pubblici, quale quella italiana contenuta nell’art. 105, comma 2, terzo periodo, del Codice, in base alla quale il subappalto non può superare la quota del 30% dell’importo complessivo del contratto. Nell’ordinanza di rimessione, il TAR Lombardia segnalava che la previsione di un limite generale del 30% per il subappalto, tanto per i contratti di lavori quanto per quelli di servizi e forniture, impedisce agli operatori economici di subappaltare ad altri soggetti una parte consistente delle opere, rendendo così più difficoltoso l’accesso al mercato delle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, ostacolando l’esercizio della libertà di stabilimento e di prestazione dei servizi e precludendo agli stessi committenti pubblici di ottenere un numero più alto e diversificato di offerte. Nella richiamata ordinanza veniva precisato che le ragioni di ordine pubblico e di contrasto alla criminalità, che sono a fondamento del limite al subappalto, potevano essere adeguatamente tutelate qualora i documenti dell’appalto avessero richiesto agli offerenti di indicare in sede di offerta le parti da subappaltare e i subappaltatori incaricati, in conformità all’art. 71 della Direttiva secondo cui, analogamente alla precedente disposizione comunitaria (art. 25 della direttiva 2004/18/CE), l’amministrazione aggiudicatrice ha il diritto, per l’esecuzione di parti essenziali dell’appalto, di vietare il ricorso a subappaltatori quando non sia stata in grado di verificare le loro capacità in occasione della valutazione delle offerte e della selezione dell’aggiudicatario. La CGUE ha accolto la questione pregiudiziale sollevata. Anzitutto, la stessa ha rilevato che il summenzionato art. 71 prevede la possibilità per l’amministrazione aggiudicatrice di chiedere o di essere obbligata dallo Stato membro a chiedere all’offerente di informarla sulle intenzioni di quest’ultimo in materia di subappalto e a verificare se sussistano motivi di esclusione dei subappaltatori a norma dell’art. 57 della Direttiva stessa che fa riferimento, in particolare, alla partecipazione a un’organizzazione criminale, alla corruzione o alla frode.

Secondo la Corte, in sostanza, in virtù dell’art. 71 della Direttiva, ma anche dello stesso art. 105 del Codice, in presenza di obblighi informativi e di adempimenti procedurali per i quali l’impresa subappaltatrice può essere assoggettata a controlli analoghi a quelli che ricadono sull’impresa aggiudicataria, il limite al subappalto non costituisce lo strumento più efficace e utile per assicurare l’integrità del mercato dei contratti pubblici. In particolare, si afferma che se la stazione appaltante è in condizione di conoscere in anticipo le parti dell’appalto che si intendono subappaltare nonché l’identità dei subappaltatori proposti, e di verificare in capo a questi il possesso dei requisiti di qualificazione e l’assenza dei motivi di esclusione, non vi è ragione per introdurre un limite generalizzato e astratto per il ricorso al subappalto. La CGUE ha in definitiva stabilito che il limite quantitativo al subappalto, pari al 30% nel momento in cui è a stata posta la domanda pregiudiziale, imponendo una limitazione alla facoltà di ricorrervi per una parte del contratto fissata in maniera astratta e in una determinata percentuale dello stesso, a prescindere dalla possibilità di verificare le capacità di eventuali subappaltatori e senza menzione alcuna del carattere essenziale degli incarichi di cui si tratterebbe, si pone in contrasto con gli obiettivi di apertura alla concorrenza e di favorire l’accesso delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici. Deve al contempo segnalarsi che la Corte ha rilevato come la criticità del limite quantitativo del ricorso al subappalto si ricollega alla sua applicazione indipendentemente dal settore economico interessato, dall’appalto di cui trattasi, dalla natura dei lavori o dall’identità dei subappaltatori, e al fatto che la disciplina italiana non lascia spazi a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante, e ciò anche qualora questa sia in grado di verificare l’identità dei subappaltatori interessati e ove accerti che il limite non sia necessario al fine di contrastare le infiltrazioni criminali nell’ambito dell’appalto in questione.

Proposte di modifica normativa

Il recente pronunciamento della CGUE  26 settembre 2019 (C-63/18)    richiede una urgente modifica della disciplina di riferimento affinché la normativa nazionale sia riportata in sintonia con i principi stabiliti dal legislatore e dal Giudice europeo. Occorre inoltre fornire alle stazioni appaltanti indicazioni normative chiare, così da scongiurare eventuali contenziosi, prevedendo una rivisitazione dei meccanismi di regolazione del subappalto mediante una opportuna “compensazione” tra i diritti di libertà riconosciuti a livello europeo e le esigenze nazionali di sostenibilità sociale, ordine e sicurezza pubblica, che sono sempre stati alla base della limitazione all’utilizzo dell’istituto. Tale modifica urgente si rende altresì necessaria per garantire il corretto svolgimento dell’attività istituzionale dell’Autorità, soprattutto consultiva e di vigilanza, che, specie nella verifica preventiva degli atti di gara in sede di alta sorveglianza del Presidente ex art. 30 del d.l. 90/2014 e di vigilanza collaborativa ex art. 213, comma 3, lett. h), del Codice, è chiamata a valutare in tempi piuttosto stringenti la conformità al Codice degli atti di gara adottati dalle stazioni appaltanti.

Sul limite quantitativo al subappalto

Nel contesto sopra descritto, appare preliminarmente utile evidenziare come la Corte di Giustizia, pur stabilendo la non conformità al diritto UE del limite quantitativo al subappalto, non sembra aver sancito la possibilità per gli offerenti di ricorrere illimitatamente al subappalto. Partendo da tale premessa, come già sopra evidenziato, la Corte ha segnalato che il problema del limite quantitativo derivi da un’applicazione indiscriminata rispetto al settore economico interessato, alla natura dei lavori o all’identità dei subappaltatori e al fatto che la disciplina interna non lascia alcuno spazio a valutazioni caso per caso da parte della stazione appaltante circa l’ effettiva necessità di una restrizione al subappalto stesso. Se ne ricava un quadro normativo in cui la regola generale dovrebbe essere quella del subappalto senza limitazioni quantitative a priori, al chiaro fine di favorire l’ingresso negli appalti pubblici delle piccole e medie imprese, promuovere l’apertura del mercato e la concorrenza in gara. Nell’adeguare la disciplina nazionale in senso conformativo all’orientamento della Corte si dovrebbero prevedere alcuni accorgimenti e “contrappesi”. Anzitutto, viene in rilievo la questione di un eventuale subappalto del 100% delle prestazioni oggetto del contratto, ovvero di una parte talmente rilevante di esse che, di fatto, la commessa viene svolta sostanzialmente da terzi e non dal soggetto aggiudicatario. In merito, si ricorda la disposizione dell’art. 105, comma 1, del Codice, secondo cui “I soggetti affidatari dei contratti di cui al presente codice di norma eseguono in proprio le opere o i lavori, i servizi, le forniture compresi nel contratto. Il contratto non può essere ceduto a pena di nullità, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 106, comma 1, lettera d).” Con tale norma, chiaramente finalizzata a consentire una ordinata esecuzione delle commesse, il legislatore ha inteso stabilire la regola generale secondo cui l’operatore economico deve eseguire in proprio l’appalto, anche al fine di evitare che una impresa partecipi alla gara al solo fine di aggiudicarsi il contratto per delegarne poi la sostanziale esecuzione a soggetti terzi non verificati in gara. Al riguardo, come accennato, se da un lato il Giudice europeo ha censurato il limite al subappalto previsto dal diritto interno, dall’altro non sembra aver stabilito la possibilità per gli offerenti di ricorrervi in via illimitata. Infatti, in un passaggio della sentenza si legge che “Tuttavia(…) una restrizione come quella di che trattasi nel procedimento principale eccede quanto necessario al raggiungimento di tale obiettivo”. Con ciò il Giudice lascerebbe in qualche modo intendere che la limitazione non è in sé inammissibile quanto, piuttosto, che l’entità del limite in essere (pari 30% al momento della decisione) appare eccessiva rispetto allo scopo da perseguire. Sul punto, è di tutta evidenza che il subappalto dell’intera prestazione o quasi, specie se necessario al fine di ottenere la qualificazione in gara (c.d. “subappalto necessario”), snaturerebbe il senso dell’affidamento al contraente principale, dovendosi in tal caso favorire – a fronte di un massiccio coinvolgimento di soggetti terzi – la partecipazione diretta alla gara da parte di tali soggetti, con assunzione della responsabilità solidale verso la stazione appaltante, analogamente a quanto avviene in altri istituti (ad esempio, nei raggruppamenti temporanei di impresa e nei consorzi ordinari, cfr. art. 48, comma 5, del Codice), atteso che il subappaltatore non ha alcun obbligo nei confronti della stazione appaltante. Ai sensi del comma 8 dell’art. 105, infatti, “Il contraente principale è responsabile in via esclusiva nei confronti della stazione appaltante”. Tra l’altro, si osservi che l’art. 71 della Direttiva, così come il previgente art. 25 della direttiva 2004/18/CE, prevede che nei documenti di gara l’amministrazione aggiudicatrice possa chiedere o possa essere obbligata da uno Stato membro a chiedere all’offerente di indicare nell’offerta “le eventuali parti dell’appalto che intende subappaltare a terzi”, nonché i subappaltatori proposti. Anche la Direttiva parla, dunque, di “parti” dell’appalto da subappaltare a terzi, lasciando quindi intravedere che la regola generale cui attenersi è quella del subappalto di una porzione e non dell’intera commessa. Un primo aspetto che si segnala al legislatore è dunque quello di valutare il mantenimento del divieto (formale o sostanziale) di subappalto dell’intera commessa o di una sua parte rilevante. Per gli altri casi, una possibile soluzione per superare i rilievi della Corte di Giustizia potrebbe essere quella di prevedere la regola generale dell’ammissibilità del subappalto, richiedendo alla stazione appaltante l’obbligo, alla stregua di fattispecie con finalità similari, come la mancata suddivisione in lotti dell’appalto di cui all’art. 51, comma 1, del Codice, di motivare adeguatamente un eventuale limite al subappalto in relazione allo specifico contesto di gara, evitando di restringere ingiustificatamente la concorrenza. In tal senso, alcuni dei criteri, da fissare in via esemplificativa, potrebbero individuarsi a partire da quelli indicati dalla Corte nella sentenza, cioè il settore economico o merceologico di riferimento, la natura (ad esempio principale/prevalente o accessoria) della prestazione, ma anche specifiche esigenze che richiedono di non parcellizzare l’appalto, con finalità di carattere preventivo rispetto a fenomeni di corruzione, spartizioni o di rischio di infiltrazioni criminali emafiose, ma anche di carattere organizzativo, per una più efficiente e veloce esecuzione delle prestazioni. Altro criterio che potrebbe essere oggetto di valutazione è quello inerente il valore e la complessità del contratto, al fine di consentire maggiore libertà per appalti di particolare rilevanza che suggeriscono di accordare più flessibilità nella fase realizzativa. Riguardo al criterio del settore economico menzionato dalla Corte di Giustizia, delle restrizioni potrebbero essere motivate, ad esempio, in ragione del limitato numero di operatori economici qualificati o dei possibili partecipanti, proprio al fine di promuovere la più ampia concorrenza, atteso che la presenza di uno o più subappaltatori potrebbe favorire accordi spartitori in fase di gara. Altra possibilità, nell’affidamento dei lavori pubblici, è quella di far valere eventuali ragioni di sicurezza alla luce delle specificità del cantiere, laddove la presenza di molteplici addetti appartenenti a più operatori potrebbe aumentare i rischi di scarso coordinamento e attuazione delle misure di tutela del lavoro. Il legislatore, inoltre, al fine di bilanciare la maggiore libertà di subappalto con le esigenze di trasparenza e di garanzia di affidabilità, in particolare al superamento di determinate soglie, potrebbe stabilire l’obbligo di indicare i subappaltatori già in fase di gara al fine di consentire alla stazione appaltante di conoscere preventivamente i soggetti incaricati e di effettuare le opportune verifiche che, naturalmente, non si sostituirebbero a quelle ulteriori in fase esecutiva propedeutiche all’autorizzazione al subappalto di cui all’art. 105, comma 4, del Codice. In sostanza, in caso di limiti al subappalto adeguatamente motivati ma entro determinate soglie, si potrebbe confermare l’attuale sistema della mera indicazione della intenzione di subappaltare alcune parti del contratto e di verificare il subappaltatore in fase di autorizzazione. Oltre determinate soglie, invece, si potrebbe prevedere la verifica obbligatoria dei subappaltatori anche in fase di gara. In tale secondo caso, potrebbe altresì considerarsi la possibilità di concedere al concorrente la facoltà (non l’obbligo) di indicare un elenco di subappaltatori potenziali entro un determinato (e limitato) numero; tale limitazione, oltre a ridurre i rischi poc’anzi evidenziati, consentirebbe di contenere adempimenti e oneri dichiarativi per imprese e stazioni appaltanti. Al tale riguardo, occorre anche evidenziare la necessità che un più ampio ricorso al subappalto non si traduca in maggiori incentivi all’elusione della disciplina antimafia. Poiché l’informazione antimafia è richiesta per i subcontratti, cessioni o cottimi di importo superiore a 150.000 euro [cfr. art. 91, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159], un massiccio ricorso al subappalto, in astratto finalizzato a promuovere l’efficienza esecutiva anche tramite il coinvolgimento delle PMI, potrebbe nascondere finalità elusive della normativa antimafia (ancorché vietate si sensi del comma 2 del citato art. 91), ad esempio mediante l’impiego di molteplici subappaltatori con quote di attività inferiori alla soglia prevista per i controlli antimafia. Si tratta, in conclusione, di individuare nuovi equilibri nel bilanciare le esigenze di flessibilità organizzativa ed esecutiva per gli operatori incaricati della commessa con una adeguata, irrinunciabile, prevenzione di rischi corruttivi, collusivi, e di turbative in fase di affidamento ed esecuzione. A tale ultimo riguardo, si osservi che le possibilità di verifica e controllo dei subappaltatori e la bontà dei controlli stessi dipendono dalle effettive capacità, risorse e mezzi della stazione appaltante, non sempre adeguati soprattutto per i committenti di minori dimensioni. Sarebbe pertanto opportuna l’introduzione di misure che promuovano un’adeguata capacità amministrativa nelle attività di verifica e di autorizzazione dei subappalti da parte delle stazioni appaltanti.

Il Consiglio di Stato, nella richiamata sentenza n. 389/2020, affronta contestualmente la problematica relativa alla distinzione tra avvalimento e subappalto e  afferma quanto segue:

“Deve escludersi poi che nel caso di specie si sia in presenza di una fattispecie di cessione del contratto d’appalto o di un subappalto totalitario delle attività previste nel contratto di avvalimento.

Nessuna violazione dell’art. 89, comma 8, del codice dei contratti pubblici è ravvisabile per il fatto che all’ausiliaria sia affidata una quota preponderante delle attività oggetto dell’appalto e finanche di quelle principali, mentre al concorrente residui la sola direzione e coordinamento di tali attività. Nel prevedere che in caso di avvalimento l’appalto «è in ogni caso eseguito dall’impresa che partecipa alla gara, alla quale è rilasciato il certificato di esecuzione, e l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore nei limiti dei requisiti prestati», la richiamata disposizione del codice dei contratti pubblici ha inteso affermare la regola secondo cui l’unico responsabile dal punto di vista giuridico dell’esecuzione del contratto è il concorrente aggiudicatario e che le prestazioni in concreto svolte dall’ausiliaria sono comunque riconducibili all’organizzazione da esso predisposta per l’adempimento degli obblighi assunti nei confronti della stazione appaltante (Cons. Stato, sez. V, 16 marzo 2018, n. 1698). Non è pertinente al riguardo neppure il richiamo all’istituto del subappalto previsto dall’art. 105 del codice dei contratti pubblici ed ai limiti ad esso relativi (30% per cento «dell’importo complessivo del contratto di lavori, servizi o forniture», secondo la formulazione del comma 2 della disposizione richiamata applicabile ratione temporis, che peraltro deve ritenersi superato per effetto delle sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea del 26 settembre 2019 (C-63/18) e 27 novembre 2019 (C-409).  Il subappalto dà infatti luogo ad un contratto derivato, rilevante nella fase di esecuzione del rapporto, contraddistinto dal fatto che il rischio imprenditoriale ed economico inerente all’esecuzione delle prestazioni in esso previste è assunto dal subappaltatore attraverso la propria organizzazione, mentre il subappaltante rimane responsabile nei confronti dell’amministrazione aggiudicatrice, ai sensi di quanto previsto dall’art. 105, comma 8, d.lgs. n. 50 del 2016 (in termini, in relazione alla previgente disciplinare di cui al codice dei contratti pubblici approvato con decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, cfr. Cons. Stato, V, 25 febbraio 2015, n. 936, 16 aprile 2013, n. 2105, 26 marzo 2012, n. 1726).

Il riferimento contenuto invece nell’art. 89, comma 8, del codice dei contratti pubblici all’istituto del subappalto, relativamente alle prestazioni eseguite materialmente dall’ausiliario, è oggetto di una facoltà («l’impresa ausiliaria può assumere il ruolo di subappaltatore»), destinata anch’essa ad operare nella fase di esecuzione del contratto e la cui concretizzazione postula l’assenso dell’amministrazione. Per questa ipotesi non è comunque previsto un limite quantitativo come nel caso del subappalto vero e proprio, ai sensi del sopra richiamato art. 105, comma 2, d.lgs n. 50 del 2016, ma è richiesto il solo rispetto del limite «dei requisiti prestati» dall’ausiliario. Ciò in coerenza con la finalità tipica dell’avvalimento, di utilizzo delle capacità tecniche ed economiche di terzi necessarie per qualificarsi nelle procedure di affidamento di contratti pubblici, ed affinché all’impresa ausiliaria non siano in concreto affidate prestazioni eccedenti la propria capacità tecnica.

Si tratta di una diversità di disciplina per i profili di interesse nel presente giudizio che impedisce di operare una commistione tra i due istituti, così che le censure vanno respinte (Cons. Stato, sez. V, 17 dicembre 2019, n. 8535).”