Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi
Con ordinanza del 9 aprile 2020 n. 2332 la Sezione V del Consiglio di Stato ha rimesso all’Adunanza plenaria la questione relativa alla consistenza, alla perimetrazione e agli effetti degli obblighi dichiarativi gravanti sugli operatori economici in sede di partecipazione alle procedure di gara, con particolare riferimento all’individuazione dei presupposti della falsità dichiarativa e delle differenze intercorrenti con l’omessa dichiarazione, ai sensi dell’art. 80, comma 5, lettere c e b-bis, d.lgs. n. 50 del 2016.
L’ordinanza muove dalla considerazione che le violazioni degli obblighi dichiarativi hanno assunto una “valenza autonoma” nel Codice dei Contratti Pubblici, nel senso che, secondo l’art. 80, comma 5, lett. c) e b-bis), sono da considerarsi esse stesse situazioni che integrano la fattispecie di “grave illecito professionale”.
Gli obblighi dichiarativi trovano le loro origini, da un lato, sul generale dovere di chiarezza e di completezza informativa di cui agli artt. 1337 e 1338 del codice civile, gravando dunque su ogni operatore economico l’onere di fornire alla Stazione appaltante ogni dato o informazione comunque rilevante, al fine di metterla in condizione di acquisire, e quindi di valutare, tutte le circostanze e gli elementi idonei ai fini della ammissione al confronto competitivo, e, dall’altro, nel generale principio di correttezza di cui all’art. 30 D.lgs. 50/2016, ed in specie di quella professionale richiamata dall’art. 80, comma 5, lett. c) bis..
Il passaggio dell’obbligo dichiarativo da strumento per accertare la sussistenza dei requisiti di moralità e professionalità a causa autonoma di grave errore professionale pone però in primo luogo, come ricorda l’ordinanza di rimessione, il tema della necessità di una puntuale perimetrazione della portata e dei limiti degli obblighi informativi al fine di contemperare l’interesse a individuare un operatore economico affidabile per l’Amministrazione con quello della massima partecipazione e della certezza delle regole della procedura.
L’equilibrio tra tali interessi può essere raggiunto attraverso il principio di tipicità dei motivi di esclusione (espressamente scolpito all’art. 83, comma 8 del Codice) da intendersi in senso sostanziale e non come mera elencazione formale delle cause di esclusione, e cioè attraverso una sufficiente “tipizzazione, in termini di tassatività, determinatezza e ragionevole prevedibilità delle regole operative e dei doveri informativi”.
Il problema è particolarmente rilevante per il caso delle omissioni dichiarative, in relazione alle quali occorre distinguere tra il “semplice non dire” (irrilevante o che comunque legittima l’esclusione per la sussistenza di un illecito professionale “sostanziale” e dunque diverso dalla mera mancata dichiarazione) e il “non dire ciò che si doveva dire”, che determina di per sé la sanzione espulsiva e che implica la necessità di individuare in maniera precisa le condizioni per ritenere giuridicamente dovuta l’informazione.
In questa prospettiva, sposando l’orientamento giurisprudenziale secondo cui l’elencazione degli illeciti professionali ha un carattere meramente esemplificativo, essendo rilevante ogni vicenda pregressa, anche non tipizzata, dell’attività professionale dell’operatore economico di cui fosse accertata la contrarietà a un dovere posto da una norma civile, penale o amministrativa (Cons. Stato, sez. V, 24 gennaio 2019, n. 586; id. 25 gennaio 2019, n. 591; id. 3 gennaio 2019, n. 72; id., sez. III, 27 dicembre 2018, n. 7231), gli obblighi informativi assumono la natura di doveri, non strumentali ma, finali, con la conseguenza che l’omissione, la reticenza e l’incompletezza diventano equiparabili alla decettività e alla falsità, e quindi illeciti professionali (Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2018, n. 3592, 25 luglio 2018, n. 4532, 19 novembre 2018, n. 6530; III Sez., 29 novembre 2018, n. 6787).
Invece, secondo altro orientamento, un simile generalizzato obbligo informativo sarebbe eccessivamente oneroso per il concorrente (Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2019, n. 5171; id. 3 settembre 2018, n. 5142), nonché eccessivamente esteso anche sotto il profilo temporale, e quindi in violazione dell’art. 57, § 7 della Direttiva 2014/24/UE, che ha peraltro fissato in tre anni dalla data del fatto la rilevanza del grave illecito professionale (Linee guida ANAC n. 6/2016, precedute dal parere della Commissione speciale del Consiglio di Stato n. 2286/2016 del 26 ottobre 2016; Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2020, n. 1605).
A tali due orientamenti si è poi sovrapposto un ulteriore filone interpretativo che distingue tra: a) l’“omissione” delle informazioni dovute ai fini del corretto svolgimento della procedura di selezione, che comprende anche la reticenza, cioè l’incompletezza, con conseguente facoltà della stazione appaltante di valutare la stessa ai fini dell’attendibilità e dell’integrità dell’operatore economico, e b) la “falsità” delle dichiarazioni, ovvero la presentazione nella procedura di gara di dichiarazioni non veritiere, rappresentative di una circostanza in fatto diversa dal vero. A tali due ipotesi si è però aggiunta anche quella delle informazioni “fuorvianti”, e cioè consistenti in una manifestazione decettiva in positivo.
Secondo tale ricostruzione le informazioni “omesse” o “fuorvianti” rileverebbero nell’ambito della procedura, mentre le informazioni “false” sarebbero sanzionate con l’obbligo di segnalazione all’ANAC gravante sulla stazione appaltante in forza dell’art.80, comma 12, D. Lgs. 50/2016 e la possibile iscrizione nel Casellario, destinata ad operare anche nelle successive procedure (cfr. Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407). In tale contesto, l’omissione non determina l’automatica esclusione dalla gara, richiedendo sempre una valutazione da parte della stazione appaltante in merito all’affidabilità dell’operatore economico, a differenza della falsità.
A ciò si aggiunge un ulteriore profilo. La falsità costituisce frutto del mero apprezzamento di un dato di realtà, cioè di una situazione fattuale per la quale possa porsi l’alternativa logica vero/falso, accertabile automaticamente anche in sede giudiziale, mentre l’omissione non potrebbe essere apprezzata in quanto tale, dovendo essere valutate le circostanze taciute, accertando che siano idonee a dimostrare l’inaffidabilità del concorrente; tale valutazione ampiamente discrezionale, non potrebbe essere rimessa all’organo giurisdizionale, ma dovrebbe essere effettuata dalla stazione appaltante.
Si comprende bene che, in un simile contesto, è assolutamente necessario porre chiarezza partendo dall’individuazione dell’esatto ambito di ciò che deve essere dichiarato.
Viene demandato dunque all’Adunanza Plenaria il difficile compito di tipizzare – in senso sostanziale – tali cause di esclusione fornendo parametri e regole che le rendano ragionevolmente prevedibili e, quindi, sindacabili.
È certamente apprezzabile l’intento dell’ordinanza in commento di sollecitare “la creazione di un argine” alla disparità di trattamento generata dalla forte discrezionalità applicativa della P.A. delle cause di esclusione conseguenti alla violazione degli obblighi dichiarativi, ed alle disorientanti oscillazioni giurisprudenziali.
Occorre infatti ricordare che la situazione descritta non rappresenta solo la mera conseguenza dell’assenza di una legislazione particolarmente puntuale, che demanda all’Amministrazione l’onere di stabilire sia la regula iuris che la sua applicazione, ma è dovuta anche a quella parte della giurisprudenza che, sulla scorta anche degli indirizzi dell’ANAC, ha ritenuto che l’individuazione tipologica dei gravi illeciti professionali – certamente oggetto degli obblighi dichiarativi – avesse carattere meramente esemplificativo, estendendone quindi l’ambito a dismisura.
La difficile sfida che l’Adunanza Plenaria deve cogliere è quella quindi di individuare i limiti esterni al sindacato della Stazione appaltante fornendo ex ante dei criteri volti a individuare i presupposti, i limiti, la portata e gli effetti delle fattispecie che compongono la violazione degli obblighi dichiarativi di cui all’art. 80, comma 5, D.Lgs 50/16, realizzando l’ambizioso fine, da un lato, di realizzare la massima partecipazione alle procedure selettive senza incorrere in disparità di trattamento e, dall’altro, di consentire l’accertamento dell’affidabilità del concorrente.
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