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La spesa sanitaria pubblica di un paese dipende dal suo Pil. L’Italia non cresce, ma pur con meno risorse il nostro sistema sanitario nazionale ottiene comunque risultati migliori di altri. Un suo piano di rilancio richiede però scelte politiche precise.
La spesa sanitaria dipende dal Pil
In questi giorni di epidemia, politici, opinionisti e gente comune vanno ripetendo che in Italia si spende troppo poco per la sanità, che il sistema è sottofinanziato rispetto a Francia e Germania e che le attuali difficoltà derivano dai troppi tagli di spesa, di personale e posti-letto operati nell’ultimo decennio. Mezze verità, diventate ormai luoghi comuni, che nascondono una verità molto più semplice, ma amara: lo stato può spendere per la sanità, come per l’istruzione, la ricerca e tutto il resto, in proporzione alla “ricchezza” prodotta ogni anno dall’economia nazionale. Sono i vincoli macroeconomici, prima ancora che di bilancio pubblico, a determinare il finanziamento del Ssn. Nell’ultimo decennio (2010-2019) l’economia italiana, in termini reali, è cresciuta solo dello 0,6 per cento (-4,1 e +4,9 per cento nei due quinquenni) e dunque non si potevano pretendere maggiori finanziamenti. Ma è nelle difficoltà che si rivela anche la forza del nostro servizio sanitario.
Se un bulgaro – o un rumeno – affermasse che la sua sanità è sottofinanziata rispetto all’Italia (308 e 388 euro pro capite rispettivamente contro 1.864 euro), mostrerebbe di non comprendere che è l’arretratezza del suo paese la vera causa della minore spesa. E che dire di un rigorista italiano che, nei primi anni Duemila, avesse sostenuto la necessità di tagli alla spesa sanitaria, perché superava quella di Giappone e Regno Unito?
A quanto dovrebbe ammontare, dunque, la spesa sanitaria pubblica di un paese? Sono i 5.995 euro pro capite della Norvegia (il massimo mondiale), i 4.357 della Svezia, i 3.443 della Germania o i 2.993 della Francia? Non esiste una risposta univoca. A livello teorico la risposta è che lo stato dovrebbe spendere fino al punto in cui l’utilità marginale dell’ultimo euro speso in sanità eguagli quella dell’ultimo euro speso per istruzione, difesa, giustizia e così via. La regola, però, non è suscettibile di quantificazione pratica e non resta che affidarsi al confronto con i “vicini di casa”, i paesi simili al nostro per dimensione, sviluppo economico o comunità istituzionale: i paesi dell’Unione europea o dell’Ocse.
Il confronto con gli altri paesi
Il semplice confronto sui livelli di spesa pro capite non offre, tuttavia, nessuna indicazione politica: se nel grafico a barre si guarda a destra, ai paesi che spendono più dell’Italia, si sosterrà che il nostro paese è sottofinanziato e deve spendere di più; se si guarda a sinistra, si troveranno motivi per tagliare la spesa e i suoi sprechi. Per rispondere alla domanda, serve una correlazione tra il livello di spesa sanitaria e una o più variabili esplicative, prima fra tutte il Pil nazionale. Nella tabella 1 sono riportati i dati del confronto con i paesi dell’Unione europea e quelli degli Usa, per un quadro più generale.
Nel 2017 i 28 paesi dell’Ue avevano speso per la sanità, pubblica e privata, 1.511 miliardi di euro, per una popolazione di 513 milioni di abitanti, quando nello stesso anno gli Stati Uniti avevano speso ben 3.324 miliardi di dollari (2.943 miliardi di euro) per una popolazione di 325 milioni di abitanti (dati Eurostat e U.S. Department of Health). In termini pro capite, l’Ue aveva speso 2.947 euro e gli Stati Uniti tre volte tanto, 9.050 euro (10.224 dollari). In percentuale al Pil significa il 9,8 per cento in Europa contro il 17,1 per cento negli Usa. Nell’Ue la sanità pubblica incideva per l’85 per cento della spesa totale, mentre negli Usa per il 51 per cento, ma in valori pro capite la spesa sanitaria pubblica americana superava quella europea (4.600 contro 2.258 euro), collocandosi al secondo posto a livello mondiale – e questo per coprire solo il 34 per cento della popolazione (gli assistiti da Medicare, Medicaid, Chpi, Va).
L’Europa si conferma come la culla del welfare state e l’Italia, con il 74 per cento, si piazza sui valori più alti. Esiste tuttavia una forte variabilità nella spesa pro capite, che passa da un minimo di 303 euro in Bulgaria a un massimo di 4.357 in Svezia. I paesi del Nord Europa, più ricchi, presentano indici di prezzo dei beni e servizi sanitari più alti (Danimarca 1,39) di quelli dell’Est (Romania 0,48), per cui in termini di standard di potere d’acquisto, le differenze di spesa si attutiscono: ad esempio, i 388 euro di spesa della Romania acquistano un paniere di beni e servizi che vale 809 euro, rispetto alla media europea di 2.258 euro.
L’Italia, con un reddito di 28.690 euro e una spesa di 1.864 euro figura come l’ultimo dei paesi più sviluppati o il primo di quelli meno sviluppati e si colloca in coincidenza quasi perfetta con il punto sulla retta interpolante. In termini di politiche significa che l’Italia spende una cifra compatibile con il suo attuale livello di sviluppo economico. Potrà avere una spesa sanitaria come la Francia e la Germania se e quando il suo Pil arriverà a 35 o 40 mila euro.
Nove paesi sopra la retta interpolante – i più ricchi – sono, da un lato, i più generosi nell’erogare i benefici (per esempio, spese per long-term care, prodotti omeopatici) ma, dall’altro, soffrono di un probabile eccesso di spesa, dovuto a molte cause: maggiore presenza di privato profit, elevato numero di addetti e di posti-letto ospedalieri, prezzi più alti dei farmaci e delle prestazioni sanitarie e forse anche minore efficienza produttiva dei servizi sanitari.
Rimane però un’ultima domanda fondamentale: i paesi che spendono più dell’Italia hanno anche migliori performance o migliori outcome (esiti) di salute? Spendere di più non significa, di per sé, ottenere migliori risultati. L’Italia, infatti, dimostra migliori performance di molti paesi più ricchi, pur spendendo meno. È prima nell’Ue per mortalità prevenibile (151 decessi per 100 mila abitanti contro 215 della Germania, 184 della Francia, 211 del Regno Unito), in ottima posizione per mortalità evitabile nelle strutture sanitarie (93 decessi evitabili per 100 mila abitanti contro 116 della Germania e 117 del Regno Unito), per mortalità infantile (2,8 per 1000 nati vivi contro 3,4 in Germania, 3,7 in Francia, 3,8 nel Regno Unito e, in generale, per la speranza di vita (83,4 anni contro 82,7 per la Francia, 81,2 per il Regno Unito e 81 per la Germania). È prima nell’Ue per sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi in tutti i tipi di tumore (63 per cento contro il 57 per cento dell’Ue).
Certo, ci sono anche zone d’ombra in Italia, ci sono il Nord e il Sud, la burocrazia, le liste d’attesa, la corruzione, gli sprechi, ma ciò che emerge da questi rapidi confronti è che a segnare un distacco con le performance di altri paesi è la globalità del nostro Servizio sanitario nazionale (è forse l’unico a includere la veterinaria e uno dei pochi a fare prevenzione) e la qualità delle risorse umane – professionalità, know-how, dedizione, scuola medica – piuttosto che il loro numero. In altri termini, è la capacità di “rendimento” del sistema, il suo saper trasformare i (pochi) soldi dei finanziamenti in risultati di salute.
La strada per il rilancio
Tutto bene dunque? Dopo il risanamento finanziario dell’ultimo decennio (2008-2018), il Sistema sanitario nazionale avrebbe necessità di maggiori finanziamenti e di risorse umane per un rilancio. La strada maestra è la crescita del Pil. Ma è un sentiero stretto e impervio, perché vi sono altri due “vincoli” di bilancio, che molti paesi dell’Ue non hanno: la maggiore spesa per interessi sul debito pubblico (3,9 per cento del Pil contro 1,9 della Francia e 1 della Germania) e per pensioni (15,8 per cento del Pil contro 14,9 della Francia e 11,9 della Germania).
Se, per ipotesi, l’onere degli interessi fosse pari alla media europea, l’Italia potrebbe contare su 35 miliardi aggiuntivi per la sanità. Per incrementare i fondi al Ssn l’Italia ha di fronte a sé quattro possibili strade: i) rilanciare la crescita economica, ii) finanziare la spesa sanitaria in deficit o con l’aiuto del Meccanismo europeo di stabilità, (iii) diminuire lo spread e l’onere degli interessi sul debito pubblico, (iv) ridurre l’enorme evasione fiscale. Quale sceglierà il governo?
Vittorio Mapelli (la Voce info)