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L’affidamento diretto del d.l. semplificazioni non è una procedura di gara secondo il Consiglio di Stato

a cura dell’avvocato Anna Cristina Salzano

Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3287 del 23 aprile 2021 si è occupato di definire le peculiarità dell’affidamento diretto sotto-soglia, nella modalità ulteriormente semplificata rispetto a quella ordinaria del Codice Appalti, così come introdotta dall’art. 1 comma 2, lett. a) e b), del decreto legge n. 76/2020 (“Decreto semplificazioni”).

Come noto, il d.l. semplificazione, convertito con modificazione con la Legge n. 120/2020, con l’intento di incentivare gli investimenti pubblici durante il periodo emergenziale, ha introdotto procedure di aggiudicazioni semplificate sia per i contratti sotto soglia che sopra soglia comunitaria.

Nello specifico l’art. 1 del suddetto decreto ha previsto che qualora la determina a contrarre, o altro atto di avvio del procedimento equivalente, sia adottato entro il 31 dicembre 2021, “in deroga agli articoli 36, comma 2, e 157, comma 2, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recante Codice dei contratti pubblici”, si applicano le procedure di affidamento previste dal presente articolo, e quindi:

a) affidamento diretto per lavori di importo inferiore a 150.000 euro e per servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo inferiore a 75.000 euro (nella previsione originaria del D.L. ante conversione il limite era 150 mila Euro);

b) procedura negoziata, senza bando, di cui all’articolo 63 del decreto legislativo n. 50 del 2016, previa consultazione di almeno cinque operatori economici, ove esistenti, nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate, individuati in base ad indagini di mercato o tramite elenchi di operatori economici, per l’affidamento di servizi e forniture, ivi compresi i servizi di ingegneria e architettura e l’attività di progettazione, di importo pari o superiore a 75.000 euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016 e di lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro, ovvero di almeno dieci operatori per lavori di importo pari o superiore a 350.000 euro e inferiore a un milione di euro, ovvero di almeno quindici operatori per lavori di importo pari o superiore a un milione di euro e fino alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo n. 50 del 2016. Le stazioni appaltanti danno evidenza dell’avvio delle procedure negoziate di cui alla presente lettera tramite pubblicazione di un avviso nei rispettivi siti internet istituzionali. L’avviso sui risultati della procedura di affidamento, la cui pubblicazione nel caso di cui alla lettera a) non è obbligatoria per affidamenti inferiori ad euro 40.000, contiene anche l’indicazione dei soggetti invitati”.

Nel caso al vaglio dei giudici di Palazzo Spada la stazione appaltante aveva attivato una procedura ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. a), e aveva richiesto ad alcuni operatori economici di presentare un preventivo per l’acquisto, al prezzo di più basso, di alcune tipologie di attrezzature sinteticamente descritte.

Trattandosi di affidamento diretto, la stazione appaltante specificava nella richiesta che si sarebbe comunque riservata di avviare eventuali negoziazioni con uno o più operatori economici interpellati ritenuti idonei all’esecuzione della prestazione richiesta, senza alcun vincolo sulla scelta finale.

Sta di fatto che a seguito del ricevimento dei preventivi, la stazione appaltante decideva di procedere con l’aggiudicazione di solo una parte delle attrezzature indicate nella richiesta di preventivo e alla società che aveva offerto il prezzo più basso.

Una delle società invitate proponeva ricorso al TAR asserendo l’illegittimità dell’aggiudicazione per violazione della lex specialis di gara, ritenendo che il prodotto offerto dall’aggiudicatario non rispondesse ai requisiti richiesti dalla stazione appaltante e per violazione della par condicio avendo la stazione appaltante proceduto all’acquisito di solo una parte dei beni originariamente richiesti.

Il Tar Liguria accoglieva il ricorso ritenendo fondata la censura sulla difformità del prodotto aggiudicato rispetto a quanto richiesto dalla stazione appaltante.

Di fatto quindi il TAR considerava l’affidamento diretto alla stregua di una vera e propria procedura di gara.

Il Consiglio di Stato, riformando la sentenza del TAR Liguria, ha tratteggiato le caratteristiche e le peculiarità dell’affidamento diretto introdotto dal decreto semplificazioni.

Nello specifico, il Collegio ha evidenziato che nel caso di specie si trattava di un “affidamento diretto” ai sensi della lettera a), comma 2, dell’art. 1 del decreto legge semplificazioni, che non prevede espressamente la consultazione degli operatori economici, e che lo stesso art. 36 del Codice Appalti, così come modificato dal decreto sblocca cantieri, prevede la consultazione di cinque operatori economici solo nell’ipotesi di cui alla lettera b), ovvero per gli appalti di servizi e forniture nel caso di affidamenti diretti superiori a 40.000 Euro e sotto la soglia comunitaria.

Peraltro, evidenzia il Consiglio di Stato, sia l’art. 32, comma 2, del Codice Appalti, sia l’art. 1, comma 3, del decreto legge semplificazioni, richiedono esclusivamente che la stazione appaltante motivi in merito alla scelta dell’affidatario indicando nella determina a contrarre, o in un atto equivalente, sinteticamente l’oggetto dell’affidamento, l’importo, il fornitore, le ragioni della scelta del fornitore, il possesso da parte sua dei requisiti di carattere generale, nonché il possesso dei requisiti tecnico-professionali, ove richiesti.

Pertanto, attese le caratteristiche del procedimento di acquisto posto in essere dalla stazione appaltante, ovvero un affidamento sotto-soglia, ulteriormente semplificato rispetto a quello previsto dal Codice Appalti, la stazione appaltante era libera di individuare il prodotto più rispondente alle proprie esigenze.

In definitiva, secondo il Collegio, la mera procedimentalizzazione dell’affidamento diretto, mediante l’acquisizione di una pluralità di preventivi e l’indicazione dei criteri per la selezione degli operatori, non trasforma l’affidamento diretto in una procedura di gara, né abilita i soggetti che non siano stati selezionati a contestare le valutazioni effettuate dall’Amministrazione circa la rispondenza dei prodotti offerti alle proprie esigenze.

Tale decisione appare peraltro allineata con i pareri del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 10 dicembre 2020 n. 753 e n. 764 sulle procedure introdotte dal decreto legge semplificazioni, in cui il Ministro ha precisato che il cosiddetto “affidamento diretto” non presuppone una particolare motivazione, né lo svolgimento di indagini di mercato, né l’obbligo di richiedere preventivi, poiché la finalità è quella di addivenire ad affidamenti in tempi rapidi per appalti di modico valore, con procedure snelle. Le stazioni appaltanti hanno la possibilità di mettere a confronto più offerte, ma ciò rappresenterà una best practice e non un obbligo, fermo restando il rispetto dell’art. 30 del Codice Appalti riguardante l’obbligo di rispettare i principi di non discriminazione e trasparenza.

La pronuncia in commento fornisce utili spunti di riflessione: innanzitutto emerge come le continue modifiche normative che hanno interessato gli appalti pubblici e, soprattutto, i contratti sotto soglia comunitaria, di fatto accrescono sempre più l’incertezza in cui si trovano a operare le S.A. le quali, ai fini di una presunta maggior tutela, creano delle procedure “ibride”, con l’inevitabile rischio di produrre effetti opposti a quelli di semplificazione desiderati dalla normativa. Inoltre, la sentenza sottrare di fatto dal vaglio di legittimità gli affidamenti diretti sotto soglia comunitaria lasciando spazio all’immaginario secondo cui per tali affidamenti l’Amministrazione agisce quasi come fosse un privato decidendo liberamente il proprio contraente, con il solo rispetto dei principi di non discriminazione e trasparenza, la cui concreta applicazione – però – appare invero angusta nell’ambito delle “non” procedure di cui trattasi.

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