Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market
Le procedure per gli acquisti ospedalieri di farmaci nel 2019 e la risposta del mercato agli imprevisti fabbisogni indotti dalla pandemia
La preponderanza dei farmaci “patent” (oltre 90% in valore) rende marginale la quota contendibile del mercato ospedaliero, oggetto, peraltro, di una spirale ribassista nei prezzi che allontana i produttori dalle gare e quindi dalle forniture. Un lotto su quattro va deserto. Sul fronte della pandemia, il mercato ha saputo rispondere anche alla domanda di molecole “dimenticate”, con un ruolo importante giocato dai farmaci “equivalenti”. E’ quanto emerge dell’edizione 2020 dell’Osservatorio sui farmaci generici, realizzato da Nomisma per Egualia (già Assogenerici) e da rilevazioni AIFA.
L’importanza della biodiversità della produzione
Le imprese associate a Egualia sono state coinvolte in una survey. Nella prima fase emergenziale, nel periodo di massima criticità, il 58% delle imprese ha visto aumentare la domanda di farmaci e di queste ben il 93% è riuscita a soddisfare completamente o parzialmente l’aumento della domanda; inoltre, il 58% del totale ha riorientato la produzione verso le categorie di prodotti a maggior rischio di carenza. Riguardo al grado di intensità con cui le aziende hanno messo in atto diverse strategie per incrementare la produzione il 71% ha indicato di aver fatto ricorso alle scorte di magazzino, il 57% di aver usufruito di deroghe emergenziali da parte delle autorità per velocizzare la disponibilità di prodotto sul mercato, il 57% di aver aumentato i turni di lavoro e previsto straordinari per il personale, il 21% di aver impegnato nuovo personale per la produzione, il 50% di aver utilizzato la leva dell’importazione, e il 14%, infine, di aver acquistato nuovi macchinari. La survey mette anche chiaramente in evidenza i colli di bottiglia che hanno aggiunto criticità al percorso: oltre il 57% delle imprese ha indicato di essere stata ostacolata dalla penuria o assenza di elementi necessari alla produzione; il 73% di aver avuto problemi ad approvvigionarsi di principi attivi; il 54% ha avuto la stessa difficoltà con gli intermedi di sintesi; il 43% ha lamentato interruzioni anomale della supply chain. Le attese degli operatori per l’immediato futuro si concentrano sul rendere la catena di approvvigionamento più sicura e meno soggetta a fluttuazioni (96%) cui si aggiunge il desiderio di moltiplicare il numero delle fonti di approvvigionamento lungo ogni fase produttiva diversificando il rischio (88%).
Rispetto ai farmaci di vecchia generazione, per il 38% delle aziende intervistate sarebbe necessaria una revisione dei criteri di prezzo per questi prodotti da parte degli ospedali. Altri – 27%- sono favorevoli all’introduzione di meccanismi per l’abbattimento dei costi di produzione (attraverso sgravi fiscali) e infine una parte ridotta indica la possibile soluzione nella destinazione di sovvenzioni statali per le imprese. La quasi totalità reclama catene di approvvigionamento più sicure e meno soggette a fluttuazioni, un numero di fonti di approvvigionamento adeguato lungo tutte le fasi produttive per diversificare il rischio, l’accorciamento della catena grazie all’incremento della produzione europea».
Per il presidente di Egualia, Enrique Häusermann: «La crisi che stiamo ancora vivendo ha messo in luce tutti problemi legati alla globalizzazione della produzione farmaceutica – ha detto -. L’intera Europa si è scoperta ancora troppo dipendente, soprattutto nei momenti critici, da paesi extra-europei per l’approvvigionamento degli sostanze intermedie per sintetizzare i principi attivi e quindi produrre i farmaci.
Oggi abbiamo la possibilità di investire in progetti strategici per il Paese, attraverso le risorse che arriveranno con il Recovery Fund: possiamo finalmente investire sul futuro». Chiari gli obiettivi: «C’è da riflettere sul concetto di globalizzazione della produzione farmaceutica – ha concluso Häusermann – ma è necessario anche ripensare la struttura distributiva e individuare nuovi modelli di approvvigionamento pubblico dei farmaci perché non può e non potrà esserci sostenibilità del SSN senza garantire sostenibilità alle imprese che lo riforniscono dei prodotti essenziali alla prosecuzione delle sue attività». In ospedale i farmaci generici rappresentano circa il 30% delle forniture a volumi e solo il 2,4% a valori, ma sia l’andamento della percentuale dei lotti non aggiudicati (23% del totale dei banditi nel 2019) che il tasso di partecipazione alle gare (ovvero il rapporto tra offerte presentate e lotti banditi, in diminuzione e fermo a 1,15) testimoniano la crescente difficoltà da parte delle aziende a trovare condizioni sufficienti per l’avvio della competizione. “Le gare al massimo ribasso – conclude Nomisma – hanno determinato la progressiva flessione della concorrenza: i numeri dicono che a rischiare di andare deserte sono soprattutto le gare per le forniture dei prodotti più datati che hanno subito una inarrestabile erosione dei prezzi e la cui produzione potrebbe finire con l’essere inibita da un insufficiente livello di remuneratività. Ma sono gli stessi farmaci che si sono confermati essenziali nella gestione della pratica clinica soprattutto nella crisi epidemiologica ancora in corso”.
SPESA E GARE OSPEDALIERE
La farmaceutica ospedaliera viene regolata da procedure di gara con un budget, dal 2019, fissato al 6,69% del Fondo Sanitario Nazionale.
Al 2019, la spesa ospedaliera ha finanziato l’acquisto di 1,5 miliardi di unità minime frazionabili di medicinali con una prevalenza, in termini di volumi, dei farmaci branded off patent (37,8%), seguiti dai farmaci protetti da brevetto (32,4%) e dai farmaci generici, che rappresentano poco meno del 30% del totale.
Prosegue anche nel 2020 il trend di aumento degli ultimi anni con la spesa farmaceutica ospedaliera che va oltre il tetto di spesa (di ben 2.700 mln in 12 mesi). La spesa farmaceutica per acquisti diretti (compresi quelli acquistati in distribuzione diretta e per conto – Dpc), nel 2020 al netto dei gas medicinali (10.699 mln di euro) ha registrato uno scostamento assoluto di 2.700 mln di euro) rispetto al tetto del 6,69%. Nessuna Regione è riuscita a rispettare il tetto di spesa. Per quanto riguarda la spesa per gas medicinali, lo scostamento assoluto rispetto al tetto dello 0,20% della spesa per acquisti diretti per gas medicinali è stato di -0,4 mln di euro. La spesa diretta per acquisti di farmaci di classe H (farmaci somministrati soltanto in ospedale), al netto dei farmaci innovativi, è di 2,8 miliardi in calo rispetto al 2019 mentre il canale della distribuzione diretta risulta essere in forte crescita, soprattutto per il canale della Dpc.
Dal 2016 al 2019, si osserva una significativa crescita della presenza sul mercato di farmaci generici che, con aumento delle quantità vendute pari al 29%, vedono incrementare la propria quota sul totale di 6,4 punti percentuali (dal 23,4% del 2016 al 29,8% del 2019). Differenziale che va sostanzialmente ad assorbire l’arretramento subito dai farmaci in patent che, nello stesso periodo, passano a rappresentare dal 40,3% al 32,4% della spesa farmaceutica ospedaliera complessiva (-18,7% dei volumi venduti).
Meno deciso il trend favorevole dei farmaci generici in termini di valori: nonostante dal 2016 al 2019 le risorse economiche dedicate a questo segmento aumentino del 52,5%, passando da 156 a 238 milioni di euro, la loro incidenza in valore sulla spesa farmaceutica ospedaliera riesce a guadagnare appena 0,4 punti percentuali.
Parallelamente, i farmaci in patent, nonostante la significativa diminuzione dell’incidenza in volume, arrivano a coprire il 91,3% del totale in valore (+2 punti percentuali rispetto al 2016, ma -1,4 punti rispetto al 2018), a scapito della quota dei medicinali off patent che nei tre anni si riduce di 2,5 punti, attestandosi sul 6,3%. Focalizzando l’attenzione sulla parte di mercato non coperta da brevetto, si osserva un aumento delle unità vendute pari al 14,3%, cui è corrisposto un incremento in valori del 3,7%. È da sottolineare, tuttavia, che quest’ultimo risultato di segno positivo è riconducibile unicamente all’inversione di trend verificatosi nell’ultimo anno: dal 2016 al 2018, infatti, il mercato ha registrato un’importante flessione, passando da 832 a 728 milioni di euro (-12,4%); flessione che è stata poi recuperata fra il 2018 e il 2019 grazie ad un incremento dei valori pari al 18,5%.
Nei tre anni considerati, il peso dei farmaci generici sul totale mercato off patent aumenta di 5 punti percentuali in volume e di 8,8 punti in valore, guadagnando terreno rispetto ai medicinali off patent che, tuttavia, incidendo per il 72,4% sul mercato totale del fuori brevetto, rimangono decisamente prevalenti in termini di assorbimento di risorse economiche.
LE PROCEDURE DI GARA DELLE STRUTTURE PUBBLICHE
L’analisi delle numerosità delle gare bandite mette in luce una netta prevalenza delle RDO e delle procedure negoziate rispetto alle gare aperte, seppur nell’ultimo anno si assista ad significativo decremento di queste tipologie di gara (-30,2%), che si contrappone alla notevole crescita registrata fra il 2016 il 2018 (+127%).
Parallelamente, dal 2017 al 2019, sempre con riferimento alle RDO e alle procedure negoziate, diminuisce progressivamente il numero dei lotti totali banditi per gara che passano da 821 a 480, arrivando a pesare nel
2019 per il solo 5% sul totale dei lotti (- 3 punti percentuali rispetto al 2017).
Si mantiene costante nel triennio la media dei lotti banditi per procedura di gara, che oscilla fra valori pari a 2 e a 3.
Per quanto riguarda le gare aperte (SDA, appalto specifico, procedura aperta), il 2019 conferma la sostanziale stabilità che ha caratterizzato la numerosità nel triennio 2015-2018, mentre segna una battuta d’arresto per il trend crescente relativo al numero dei lotti, aumentato del 67% tra il 2015 e il 2018 e diminuito del 7,8% tra il 2018 e il 2019. Battuta d’arresto che, a fronte dalla costanza del numero di gare, ha determinato nell’ultimo anno una riduzione della media dei lotti banditi, passata da 171 nel 2018 a 148 nel 2019.
Al fine di interpretare il generale andamento delle gare pubbliche ospedaliere, è opportuno leggere tali evidenze alla luce di altri due indicatori, funzionali, l’uno, alla quantificazione del grado di “ricaduta” delle procedure di gara; l’altro, alla misurazione dell’intensità di partecipazione delle imprese alle gare stesse. L’analisi congiunta dei due indicatori permette, inoltre, di formulare ipotesi circa l’allineamento dei prezzi rispetto alla sostenibilità e alla remuneratività della produzione.
Il primo indicatore è rappresentato dalla percentuale dei lotti non aggiudicati rispetto al totale di quelli banditi. Nell’arco del decennio considerato, il valore dell’incidenza mostra andamenti altalenanti ma un trend di crescita positivo, che nel 2019 si conclude con circa un lotto su quattro non aggiudicato.
È bene sottolineare che il risultato della non aggiudicazione è generalmente riconducibile a due principali fattori: l’assenza di offerte congrue oppure l’assenza assoluta di offerte, il caso delle gare deserte.
La lettura del secondo indicatore, il tasso di partecipazione alle gare delle Imprese (rapporto fra il numero delle offerte complessivamente presentate dalle imprese in un anno ed il numero di lotti banditi nel medesimo anno), porterebbe a propendere per la prevalenza di questo secondo fattore, seppur con alcune avvertenze. Il crollo registrato fra il 2015 e il 2016 può essere in parte ricondotto all’avvio della rilevazione per via telematica delle RDO e delle procedure negoziate; tuttavia, il tasso di partecipazione subisce un calo anche nel periodo compreso fra il 2016 e il 2019, passando dall’1,56 all’1,15. Dal momento che, negli stessi anni, il grado di partecipazione delle imprese alle sole gare aperte (appalto specifico) rimane pressoché costante, tale decremento è da ricondurre prevalentemente alle RDO e alle procedure negoziate che già di per sé, in virtù del loro carattere straordinario, implicano un numero di offerte (e dunque di imprese partecipanti) fisiologicamente
inferiore rispetto alle procedure aperte.
In conclusione, sia l’andamento della percentuale di lotti non aggiudicati (in aumento) che quello del tasso di partecipazione alle gare (in diminuzione) testimoniano la crescente difficoltà da parte delle imprese di trovare nel sistema le condizioni necessarie e sufficienti che giustifichino la presentazione delle offerte e, dunque, l’avvio della competizione.
Il criterio del massimo ribasso, quindi, se da una parte ha consentito nel tempo il contenimento di una quota della spesa ospedaliera, dall’altra, sembra aver determinato un’eccessiva pressione sui prezzi e, indirettamente, una progressiva flessione della concorrenza, oltre che criticità nel reperimento delle forniture. Inoltre, la pressione sui prezzi porta con sé un’ulteriore esternalità negativa: la non aggiudicazione dei lotti per mancanza di offerte incentiva il ricorso alle RDO e alle procedure negoziate e contribuisce alla frammentazione del sistema delle gare e alla creazione di nuovi costi, sia per le imprese (costrette a investire maggiori risorse nelle attività di monitoraggio e nelle procedure tecnico-amministrative), sia per le pubbliche amministrazioni (a causa dell’aumento dei prezzi di offerta su cui tali costi vengono ribaltati).
Tali considerazioni appaiono confermate dall’analisi che incrocia il numero medio di offerte per lotto aggiudicato con la scadenza brevettuale dei medicinali oggetto di gara. L’indicatore mostra come il tasso di partecipazione delle imprese sia inversamente correlato al numero degli anni intercorsi dalla
scadenza brevettuale: le imprese concorrono negli anni immediatamente successivi alla scadenza ma con l’aumentare degli anni rispetto alla fine della protezione brevettuale diminuiscono il loro tasso di partecipazione alle gare, a causa della progressiva erosione dei prezzi.
Si manifesta, dunque, nuovamente il rischio di eccessiva riduzione della concorrenza ma anche un’importante criticità legata alla fornitura di farmaci di “vecchia generazione”, la cui produzione potrebbe essere inibita da un livello di remuneratività ritenuta insufficiente dalla imprese. Farmaci che, come dimostrato dall’emergenza da Covid-19, sono non solo ancora largamente impiegati nella pratica clinica ma anche essenziali nella gestione di situazioni di crisi epidemiologiche.
REAGIRE ALL’IMPREVISTO: LA RISPOSTA DELLE IMPRESE DI FARMACI GENERICI .ALL’EMERGENZA DA COVID-19
Un’ulteriore riflessione a cui il Paese è stato costretto ha senza dubbio riguardato il ruolo e le caratteristiche della filiera industriale della salute, nonché la capacità di “tenuta” del vigente sistema globalizzato anche in circostanze straordinarie.
Le diffuse polemiche sugli approvvigionamenti di dispositivi e di medicinali hanno spinto istituzioni, operatori e opinione pubblica ad interrogarsi sulla validità e sul funzionamento di quelli che fino ad oggi sono stati i modelli di riferimento, ponendo legittimi interrogativi sul livello di integrazione mondiale delle filiere produttive e sulle possibili criticità, di approvvigionamento e logistica, connesse ad un improvviso picco di domanda.
I CONSUMI FARMACEUTICI DURANTE LA PRIMA FASE DI EMERGENZA
Il monitoraggio effettuato dall’AIFA circa le dinamiche di utilizzo dei farmaci durante la fase di emergenza della pandemia ha riguardato quattro grandi gruppi di medicinali:
1. Quelli specificatamente impiegati nelle terapie anti Covid-19;
2. I farmaci iniettivi e l’ossigeno, prevalentemente utilizzati nelle terapie intensive;
3. I farmaci utilizzati in regime ospedaliero e territoriale per il trattamento delle patologie croniche;
4. I farmaci acquistati privatamente dai cittadini tramite il canale delle farmacie territoriali.
Per quanto riguarda i medicinali per la cura delle malattie croniche, non sono state riscontrate variazioni significative nei consumi ad eccezione – in regime ospedaliero – dell’incremento registrato per la classe degli antivirali (gli antivirali HIV passano da una media pre-Covid di 0,98 confezioni per 10.000 abitanti ab die a una media post-Covid di 1,10 confezioni; gli altri antivirali da 0,21 a 0,22) e della riduzione dell’utilizzo di farmaci DAA per HCV (si passa da 0,04 a 0,01 confezioni al giorno per 10.000 abitanti), verosimilmente riconducibile alla valutazione, da parte delle strutture infettivologiche, di prorogabilità delle terapie sulla base dell’andamento epidemiologico dell’epatite C nel nostro Paese.
Guardando, invece, le categorie o i principi attivi oggetto di approvvigionamento da parte delle farmacie pubbliche o private, si osserva un significativo aumento di idrossiclorochina (media pre-Covid: 0,68 confezioni; media post-Covid: 1,44 confezioni), di farmaci a base di acido ascorbico (vitamina
C) (0,16; 0,21) e di ansiolitici per uso non parenterale (23,22; 24,11); di contro, si rileva un livello inferiore di acquisti rispetto al trimestre pre-Covid di antiinfiammatori non steroidei (il cui consumo passa da 0,14 a 0,08) e antipiretici (da 36,04 a 31,61).
Di portata decisamente superiore le variazioni che hanno riguardato i consumi dei farmaci utilizzati nei trattamenti di pazienti con Covid-19 e degli iniettivi e ossigeno.
Nel primo caso, i dati AIFA evidenziano un notevole incremento dell’azitromicina e dell’idrossiclorochina, per cui le differenze assolute fra il periodo pre e post-Covid risultano pari, rispettivamente, a 0,76 e a 0,60: nel periodo dicembre 2019-febbraio 2020 sono state consumate in media 0,39 confezioni per 10.000 abitanti al giorno di azitromicina e 0,01 di idrossiclorochina; tali valori hanno raggiunto l’1,15 e lo 0,61 fra marzo e maggio 2020. Nel caso dell’idrossiclorochina, l’incremento assoluto è corrisposto ad un aumento relativo del 4.662%. È interessante notare come, dal lato della produzione, in
entrambi i casi la maggioranza del consumo sia stato garantito dal mercato domestico: risulta, infatti, che le confezioni importate incidano sul totale delle consumate solo per il 17% nel caso della azitromicina e per il 12% in quello della idrossiclorochina.
Sempre nell’ambito dei principi attivi la cui variazione in consumi è risultata statisticamente significativa, seguono il tocilizumab IV, per cui si è passati da un utilizzo medio di 0,04 confezioni ab die a 0,06 e il darunavir/cobicistat (antivirale anti-HIV) (da 0,04 a 0,05).
Infine, focalizzando l’attenzione sui farmaci iniettivi e sull’ossigeno, prevalentemente funzionali allo svolgimento delle attività nelle terapie intensive, si osservano importanti variazioni per l’ossigeno che, nei mesi dell’emergenza, vede aumentare il consumo di 18,70 confezioni per 10.000 abitanti ab die
(da 53,46 a 71,16); per gli anestetici generali (da 0,82 confezioni a 1,77), gli
stimolanti cardiaci iniettivi (da 1,56 a 2,15), i curari iniettivi con effetti miorilassanti
(da 0,19 a 0,58), l’acido ascorbico (da 0,22 a 0,68), gli ipnotici (da 0,31a 0,77) e gli antidoti (0,19 a 0,33).
È da sottolineare che nell’ambito di queste ultime categorie di medicinali, i consumi che hanno subito il più elevato incremento percentuale sono stati quelli relativi ai curari iniettivi (+264% tra il periodo pre e post-Covid) che, insieme alla idrossiclorochina, si classificano dunque come i prodotti ad aver determinato il maggiore shock di domanda rispetto ai quantitativi generalmente richiesti.
Fra i farmaci iniettivi maggiormente utilizzati dalle strutture ospedaliere per la gestione dell’emergenza, particolare rilevanza è stata rivestita da alcuni specifici principi attivi, fra cui midazolam cloridrato, propofol, morfina, rocuronio bromuro, cisatracurio besilato.
Dal lato della fornitura dei principi attivi in analisi, i dati sui consumi permettono di estrapolare due significative evidenze: la prima consiste nel fatto che, fatta eccezione per il rocuronio, la parte prevalente dei consumi risulta garantita da farmaci generici, che coprono il fabbisogno di midazolam, propofol e morfina con una quota compresa fra l’81% e il 91% e il fabbisogno di cisatracurio con una che oscilla fra il 50% e il 62%.
Il secondo aspetto è relativo alla sostanziale stabilità, su tutti i mesi considerati dell’incidenza dei farmaci generici e non generici sul totale; evidenza che denota la capacità di entrambi i segmenti di rispondere allo straordinario shock di domanda verificatosi a marzo, con un aumento delle produzioni in grado di assorbire l’incremento di fabbisogno e di garantire totalmente il mantenimento della rispettive quote di mercato.
Tale considerazione è desumibile anche dall’analisi degli ordinativi di fornitura ricevuti dalle imprese di farmaci generici, che dimostra come quest’ultime siano riuscite a far fronte ad un aumento della domanda che, anche solo guardando al differenziale fra il marzo 2019 e il marzo 2020, ha raggiunto valori
compresi fra il +128% della morfina e il +782% del rocuronio; percentuali che, se incrociate con quelle relative ai consumi, sembrano aver garantito il soddisfacimento sia dei bisogni reali che di quelli potenziali .
RIFLESSIONI CONCLUSIVE E INDICAZIONI DI POLICY
L’accelerazione oltremisura della produzione ha fatto emergere, ostacoli, colli di bottiglia, problemi di tenuta della catena del valore e limiti connessi alla rigidità autorizzativa.
Alcuni di questi limiti sono stati corretti e superati, in tempo reale, durante l’affannosa corsa produttiva per garantire i farmaci alla popolazione.
Nella fase dell’emergenza AIFA è opportunamente entrata nell’ottica di un sistema autorizzativo flessibile che ha permesso il rientro nel nostro Paese di farmaci prodotti o destinati all’estero. Dal momento che il sistema flessibile ha funzionato è lecito domandarsi se alcune buone prassi attivate durante l’emergenza potranno fungere da riferimento per realizzare una mediazione, un punto di incontro, tra le procedure burocratiche pre-Covid e quelle post-Covid. In questo possibile incontro non bisogna sottovalutare l’apporto
che potranno conferire le nuove tecnologie di industria 4.0, in particolare l’Internet of Things e i Big Data. Esse, monitorando in tempo reale tanto la linea produttiva quanto il prodotto finito potranno garantire, al contempo,
flessibilità e qualità del controllo.
La tenuta della catena del valore è stata messa a dura prova, incrinata da elevate pressioni produttive e competitive. Si impone una riflessione per comprendere come rendere più sicura e stabile la catena e le fonti di approvvigionamento.
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L’emergenza Covid ha posto alla ribalta farmaci e principi attivi “dimenticati” la cui produzione, ampia e immediata, è stata fondamentale per salvare vite umane. Ciò è stato possibile perché comunque, seppur in quantità limitatissima, erano ancora in produzione. Le leggi del mercato sono spietate.
Cancellano dalla produzione farmaci considerati obsoleti per i quali, date le bassissime o inesistenti marginalità, non vi è più convenienza produttiva.
Abbiamo scoperto, l’importanza, il patrimonio nascosto e potenziale, di tali farmaci “dimenticati”. È necessario rintracciare, assieme allo Stato, strade economicamente percorribili per mantenere in vita una “biodiversità di produzione”:
Un bene meritorio di importanza vitale in casi straordinari quale quello che stiamo vivendo.