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Anac: chiarimenti in merito al quinto d’obbligo e modifiche al contratto

L’Autorità ha adottato il Comunicato del Presidente del 23 marzo 2021 in risposta ad alcune segnalazioni in merito a problematiche applicative dell’articolo 106, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 ritenute meritevoli di chiarimenti al fine di favorire la corretta interpretazione e l’uniforme applicazione della disposizione in esame. In particolare, il Comunicato chiarisce che la disposizione in argomento è volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore la relativa esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto medesimo. Nel caso in cui, invece, si ecceda il quinto d’obbligo e, sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui all’articolo 106, commi 1 e 2, del Codice, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso di esito negativo, il diritto alla risoluzione del contratto. L’articolo in esame non può, quindi, essere inteso come ipotesi autonoma di modifica contrattuale, ulteriore rispetto alle fattispecie individuate ai commi 1 e 2 del medesimo articolo.

COMUNICATO DEL PRESIDENTE   23 marzo 2021

Indicazioni interpretative sull’articolo 106, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 e s.m.i., in merito alle modifiche contrattuali fino a concorrenza di un quinto dell’importo del contratto.

Sono pervenute all’Autorità alcune segnalazioni in merito a problematiche applicative dell’articolo 106, comma 12, del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50 (di seguito Codice) che si ritengono meritevoli di chiarimenti al fine di favorire la corretta interpretazione e l’uniforme applicazione della disposizione in esame. L’articolo 106 del codice dei contratti pubblici individua, ai commi 1 e 2, le ipotesi di modifiche contrattuali consentite senza necessità di ricorrere ad una nuova gara. Al comma 6 è chiarito che “Una nuova procedura d’appalto in conformità al presente codice è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico o di un accordo quadro durante il periodo della sua efficacia diverse da quelle previste ai commi 1 e 2”.

Il comma 12 del medesimo articolo prevede che, qualora in corso di esecuzione si renda necessario un aumento o una diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza del quinto dell’importo del contratto, la stazione appaltante può imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario. In tal caso l’appaltatore non può far valere il diritto alla risoluzione del contratto (cd. quinto d’obbligo).

Il dubbio prospettato attiene alla possibilità di considerare la fattispecie prevista al citato comma 12 come ipotesi autonoma e ulteriore di modifica contrattuale rispetto alle casistiche enucleate ai commi 1 e 2 della disposizione in esame e, in caso positivo, alla possibilità di accedere a tale istituto anche a prescindere dalla ricorrenza dei presupposti individuati dalla norma.

L’Autorità, previo confronto con il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili, ritiene di aderire ad una interpretazione restrittiva e comunitariamente orientata della norma in esame, nonostante la presenza di un orientamento contrario della giurisprudenza amministrativa. La scelta è dettata dalla considerazione che l’articolo 106 del Codice introduce una deroga al principio generale dell’evidenza pubblica, con conseguente divieto di applicazione al di fuori delle ipotesi specificamente e tassativamente indicate. Per tali motivi, si ritiene che la previsione del comma 12 non possa configurarsi come una fattispecie autonoma di modifica contrattuale, ma debba essere intesa come mera indicazione in ordine alla disciplina dei rapporti contrattuali tra le parti.

La norma, quindi, deve essere intesa come volta a specificare che, al ricorrere di una delle ipotesi previste dai commi 1, lettera c) e 2 dell’articolo 106, qualora la modifica del contratto resti contenuta entro il quinto dell’importo originario, la stazione appaltante potrà imporre all’appaltatore l’esecuzione alle stesse condizioni previste nel contratto originario senza che lo stesso possa far valere il diritto alla risoluzione del contratto. Nel caso in cui, invece, si ecceda il quinto d’obbligo e, sempre purché ricorrano le altre condizioni di cui all’articolo106, commi 1 e 2, del Codice, l’appaltatore potrà esigere una rinegoziazione delle condizioni contrattuali e, in caso di esito negativo, il diritto alla risoluzione del contratto.

La lettura prospettata trova giustificazione sulla base delle seguenti considerazioni. L’articolo 72 della direttiva 24/2014 non contempla la fattispecie in esame e chiarisce, al paragrafo 5, che “Una nuova procedura d’appalto in conformità della presente direttiva è richiesta per modifiche delle disposizioni di un contratto pubblico e di un accordo quadro durante il periodo della sua validità diverse da quelle previste ai paragrafi 1 e 2”.

Nella relazione illustrativa al codice dei contratti pubblici, all’articolo 106, si legge che: “I commi 11, 12 e 13 disciplinano le ipotesi di rinnovo, proroga tecnica e aumento del quinto d’obbligo già previsti dalla legislazione nazionale e dalla legge di contabilità del 1923”. Da questa previsione emerge l’intenzione del legislatore di disciplinare la fattispecie in continuità rispetto al regime previgente: l’articolo 132, comma 4, del decreto legislativo n. 163/06 prevedeva che «Ove le varianti di cui a comma 1, lettera e), eccedano il quinto dell’importo originario del contratto, il soggetto aggiudicatore procede alla risoluzione del contratto e indice una nuova gara alla quale è invitato l’aggiudicatario iniziale». Le varianti previste al comma 1, lettera e) erano solo quelle rese necessarie per il manifestarsi di errori o di omissioni del progetto esecutivo idonee a pregiudicare, in tutto o in parte, la realizzazione dell’opera ovvero la sua utilizzazione. Inoltre, per i servizi e forniture, l’articolo 311, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 207/2010 prevedeva che «Nei casi previsti al comma 2, la stazione appaltante può chiedere all’esecutore una variazione in aumento o in diminuzione delle prestazioni fino a concorrenza di un quinto del prezzo complessivo previsto dal contratto che l’esecutore è tenuto ad eseguire, previa sottoscrizione di un atto di sottomissione, agli stessi patti, prezzi e condizioni del contratto originario senza diritto ad alcuna indennità ad eccezione del corrispettivo relativo alle nuove prestazioni. Nel caso in cui la variazione superi tale limite, la stazione appaltante procede alla stipula di un atto aggiuntivo al contratto principale dopo aver acquisito il consenso dell’esecutore». I casi previsti dal comma 2 erano individuati con riferimento all’articolo 132 del codice. La modifica nei limiti del quinto era quindi configurata non come ipotesi autonoma ma come modalità esecutiva delle modifiche previste dal codice all’articolo 132. Inoltre, parte della dottrina riconosceva la possibilità dell’aumento del
quinto come opzione prevista nei documenti di gara. In tali ipotesi non era ritenuta necessaria la ricorrenza dei presupposti di imprevedibilità e sopravvenienza.

Inoltre, la configurazione dell’articolo 106, comma 12, del Codice come fattispecie autonoma appare incompatibile con le indicazioni fornite al comma 2 del medesimo articolo, che subordina la possibilità di ricorrere a modifiche del contratto, in carenza delle condizioni del comma 1 e senza esperire una nuova gara, al rispetto di limiti più stringenti di importo (il 10% del valore del contratto per i servizi e forniture e il 15% per i lavori). In sostanza, le previsioni del richiamato comma 2 sarebbero eluse e si rivelerebbero inutilmente date, se fosse consentita la possibilità, in generale, di modificare il contratto nel rispetto di un limite quantitativo superiore.

Si consideri, altresì, che l’utilità di una previsione autonoma sarebbe peraltro dubbia, sia rispetto al comma 1, lettera c) dell’articolo 106, che prevede la possibilità di modifica per fatti imprevisti e imprevedibili senza limiti di importo per i settori speciali e con limiti superiori (50%) per i settori ordinari, sia rispetto al comma 1, lettere a) ed e) del medesimo articolo. Tale disposizione consente, infatti, di prevedere, già nei documenti di gara, la possibilità di una futura modifica contrattuale senza limiti di importo, utilizzabile, ad esempio, nei casi in cui non sia possibile stimare con certezza il fabbisogno futuro.

Altra possibile lettura considera il comma 12 della disposizione in esame come ipotesi autonoma riferita ai soli casi di modifica meramente quantitativa del contratto. Tale interpretazione non sembra, però, supportata dal dato normativo: l’incipit del comma 1 e le successive previsioni si riferiscono, infatti, in modo generico alle modifiche, senza distinguere tra modifiche qualitative e quantitative.

Deve considerarsi, infine, che la previsione come fattispecie autonoma potrebbe condurre al cumulo delle diverse ipotesi di modifica contrattuale, con il superamento dei limiti di importo previsti dall’articolo 106 e il conseguente illegittimo ampliamento delle ipotesi derogatorie della normativa eurounitaria e nazionale in materia di affidamenti pubblici.

Per completezza di informazione, si segnala che l’Autorità, nell’ambito delle attività in corso, volte alla valutazione di possibili interventi sul codice dei contratti pubblici con l’intento di perseguire la semplificazione e la razionalizzazione dell’impianto normativo, ha avanzato alcune proposte di modifica dell’articolo 106, le quali devono tuttavia essere ancora valutate dal Parlamento e dal Governo.

Il Presidente