Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Incarichi esterni conferiti dalla Pubblica Amministrazione e responsabilità erariale

L’”autosufficienza” operativa della p.a. non è presunta. Il principio è sancito dalla Corte dei Conti.  

La dotazione in organico di personale astrattamente idoneo a compiere la funzione esternalizzata non è una sufficiente motivazione per determinare un danno erariale. Incrinate dal Collegio giudicante della Corte dei Conti la presunzione di colpa e l’inversione dell’onera della prova,  a base del giudizio per danno erariale instaurato dalla Procura.

L’autonomia organizzativa e funzionale delle pubbliche amministrazioni (comprese le cosiddette “aziende” sanitarie) è fortemente condizionata anche  in materia di “esternalizzazione” di attività.  Singole scelte gestionali sono soggette alla valutazione del giudice contabile e possono innescare un giudizio di responsabilità erariale.

Nell’affidamento di incarichi esterni la procura erariale non può invocare criteri presuntivi per dimostrare la sussistenza del “danno ingiusto” procurato all’ente ma deve supportare la propria pretesa con la prova concreta che effettivamente sarebbe stato possibile reperire, all’interno dell’ente, personale interno idoneo a svolgere l’incarico.

Il pronunciamento  n. 97/2021 della  sede di Trento della sezione giurisdizionale della Corte dei Conti della regione TAA su un caso di reiterato affidamento esterno dell’attività di inventariazione dei beni mobili di un Comune,  stabilisce  parità  tra le parti in giudizio (la procura erariale e il soggetto citato in giudizio); il che implica, necessariamente, che sia accolto il principio dell’onere della prova senza alcuna inversione.  

L’onere della prova incombe sulla procura erariale secondo canoni e principi generali in tema di prove e, in particolare, in applicazione dell’articolo 2697 del codice civile che stabilisce che ”Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”

Spetta alla Procura Regionale, e non al convenuto, dimostrare: (a) la presenza in servizio di qualificate professionalità interne, astrattamente idonee ad espletare l’incarico stesso; (b) la disponibilità in concreto di tali professionalità alla esecuzione dell’incarico; (c) la mancanza di complessità nella materia da esaminare, in ipotesi di incarico di consulenza”

Nel caso in trattazione la Procura inquirente evidenzia che il ricorso a professionalità esterna può essere ammesso solo per esigenze temporanee, ne è precluso il rinnovo e la possibilità e l’estensione temporale dell’eventuale proroga sono circoscritte al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili all’incaricato. Nel caso di specie, non solo due incarichi sono in prosecuzione temporale l’uno rispetto all’altro, ma reiterano precedente incarico conferito al medesimo soggetto anche per il triennio 2012-2014 (determina del responsabile del servizio finanziario n. 41 del 05.12.2012).

Omettendo di adottare le misure organizzative necessarie per espletare i suoi compiti istituzionali mediante il personale dipendente, e ricorrendo sistematicamente all’outsourcing di tali mansioni ordinarie, l’amministrazione (oltre alla violazione della disciplina sugli incarichi) avrebbe violato la regola basilare di “autosufficienza”, per la quale le amministrazioni pubbliche devono far fronte alle proprie competenze istituzionali con il più proficuo utilizzo delle risorse interne.

In sede giudicante la Corte  premette che non solo l’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001, ma l’intera disciplina in materia di conferimento di incarichi a soggetto esterno all’amministrazione è improntata al principio che l’affidamento all’esterno di mansioni attinenti l’attività istituzionale costituisce una deviazione dalla regola generale secondo la quale l’amministrazione deve provvedere all’ordinario svolgimento dei compiti con le proprie risorse di personale, onde garantirne l’efficiente impiego e limitare la spesa per la remunerazione di terzi esperti alla sussistenza delle particolari ed eccezionali condizioni di legge.  Per questo motivo, la presenza di tali condizioni – in termini generalissimi: l’effettiva necessità dell’incarico e l’inesistenza di adeguato personale interno al quale affidare i compiti che ne sono oggetto – deve essere valutata dall’amministrazione con particolare ponderazione, con riferimento a tutti i requisiti e le condizioni, di fatto e procedurali, imposte dall’ordinamento.

Tuttavia, l’accertamento del prospettato illecito segue le regole proprie della cognizione del giudice contabile nell’ordinario giudizio di responsabilità, la quale deve estendersi a tutti gli elementi dell’illecito (senza la compresenza dei quali non si configura responsabilità amministrativo contabile) senza esaurirsi con il rilievo di vizi di legittimità (tra cui la carenza della motivazione dell’atto di incarico o dell’istruttoria ad esso sottesa), e, al contempo, deve limitarsi alla causa petendi, cioè ai fatti contestati ai convenuti. Da tali premesse discendono due prime conclusioni.

La natura “apparente” o “postuma” della motivazione dei due atti di incarico, o l’inesistenza di alcuna documentazione su una previa verifica del personale interno disponibile, sono non di per sé elementi rilevanti ai fini del decidere in quanto solo sintomatici della presenza di vizi di legittimità degli atti di incarico; dovendosi, invece, accertare l’effettiva sussistenza (o meno) dei presupposti della responsabilità amministrativo contabile, i “presupposti di legittimità” di cui all’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001 devono essere verificati con riferimento alla concrete circostanze di fatto che si presentavano al momento del conferimento degli incarichi in questione.

Relativamente alla condotta commissiva invece loro imputata (consistente nel conferimento dell’incarico con propria determinazione), la Procura attrice ravvede nella reiterazione del medesimo incarico un sintomo di colpa grave per aver i convenuti consolidato una prassi contra legem “nonostante una dotazione di personale da ritenersi oltremodo adeguata per il proficuo e diretto espletamento delle attività esternalizzata”; nella fattispeice, pertanto, tale elemento assumerà una sua rilevanza solo ad esito dell’accertamento della sussistenza degli altri presupposti dell’illecito, mentre non ne avrà alcuna nel caso la domanda sia da respingere per mancanza di prova relativamente alla circostanza che ai due incarichi in questione i convenuti avrebbero potuto “far fronte con personale in servizio”. Conseguentemente, rispetto all’accertamento dell’elemento soggettivo risulta prioritario accertare quest’ultima condizione (la presenza di adeguato personale in servizio al momento del conferimento dei due incarichi).

La legge individua i “presupposti di legittimità” in presenza dei quali può procedersi al conferimento all’esterno di “incarichi individuali ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria” precisando, quale condizione del tutto generale, che tali incarichi possono essere conferiti solo per “obiettivi e progetti specifici e determinati” e per fronteggiare “specifiche esigenze cui [le amministrazioni pubbliche] non possono far fronte con personale in servizio”. Analoghe sono le previsioni, sul punto, dell’art. 39 quinquies della L.P. n. 39/1990, che quali “Condizioni di ammissibilità” del conferimento di incarichi a soggetti esterni prevede la ricorrenza “di una o più delle seguenti condizioni”, tra cui “a) esigenze cui non può essere fatto fronte con personale in servizio, trattandosi dell’affidamento di incarichi ad alto contenuto di professionalità qualora non presente o comunque non disponibile all’interno dell’amministrazione; b) impossibilità di svolgere l’attività con il personale interno in relazione ai tempi di realizzazione dell’obiettivo; c) quando, per particolari situazioni di urgenza o di emergenza, non sia possibile o sufficiente l’apporto delle strutture organizzative interne”.

L’art. 7, comma 6, ultimo capoverso, del citato d.lgs. n.165/2001 dispone anche che “Il ricorso ai contratti di cui al presente comma per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei soggetti incaricati ai sensi del medesimo comma come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Dall’insieme di tali disposizioni si trae che (in forza del citato art. 7, comma 6, lett. a) e delle analoghe previsioni della L.P. 39/1990) è consentito il conferimento a soggetto esterno di compiti ordinari attinenti alle funzioni istituzionali, purché temporaneamente e per “obiettivi”, cioè per singoli target (e non con inserimento stabile del soggetto esterno nell’organizzazione amministrativa, vietato dall’ultimo capoverso dell’art. 7, comma 6, d.lgs. n. 165/2001), e purché l’amministrazione versi in condizioni di carenza di personale interno adeguato a svolgere i compiti oggetto dell’incarico.

Il Collegio conviene con la consolidata giurisprudenza nell’affermare il principio che la produzione di tabelle del personale in organico o l’elencazione di dipendenti in servizio, da parte della Procura attrice, non costituiscano di per sé una prova sufficiente a tali fini.

Vi deve invero essere agli atti la prova che vi fosse personale interno adeguato (quanto a professionalità) e disponibile per lo svolgimento delle mansioni oggetto dell’incarico esternalizzato (in relazione alle mansioni già espletate presso l’amministrazione, all’articolazione dell’orario di lavoro, al carico di lavoro del servizio di appartenenza e ad ogni altro elemento rilevante). Tali circostanze devono essere accertate caso per caso, in base al quadro probatorio risultante dalle produzioni di entrambe le parti, con riferimento alla specificità delle indicazioni sul personale interno prodotte dalla Procura attrice (poiché, come detto, su di essa ricade la prova dei fatti a fondamento della domanda, la cui consistenza individua l’estensione dell’onere della controprova a carico dei convenuti), al contenuto dell’incarico (poiché una più elevata specializzazione delle mansioni oggetto di incarico restringe l’ambito del personale “adeguato” a svolgerle ai soli dipendenti in possesso delle necessarie professionalità) e alla peculiare situazione dell’organizzazione dell’ente interessato (considerando le sue dimensioni anagrafiche, operative e ogni altro documentato elemento che possa incidere sulla concreta disponibilità del personale interno).

Il quadro probatorio offerto dalla Procura regionale sulla disponibilità di personale dipendente del Comune di OMISSIS consiste nell’elencazione in citazione dei dipendenti in servizio al 30.12.2015 e al 30.05.2019 (18 nel 2015 e 17 nel 2019), identificati per titolo di studio posseduto e categoria di appartenenza, dalla quale l’attore trae la conclusione che presso il Comune “erano disponibili numerosi e qualificati dipendenti perfettamente in grado di svolgere le incombenze” affidate all’esterno.   Rispetto a questi dipendenti la Procura non ha offerto alcun elemento per accertare se si trattasse di personale effettivamente disponibile.  Per contro, i convenuti hanno fornito elementi documentali sull’affermata non disponibilità in concreto di personale.

Dal complessivo quadro probatorio si trae la conclusione che manca la prova del carattere illecito di quanto contestato ai convenuti, sia quanto alla disponibilità di adeguato personale comunale che di adeguato personale di altri Comuni in convenzione per la gestione associata di servizi.