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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Il “risultato” prima di tutto

Il “risultato” di una procedura di appalto, cioè il giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto – obiettivo enfatizzato dal nuovo Codice – va perseguito anche se un errore della stazione appaltante nella redazione della documentazione di gara porta all’esclusione di un concorrente. Quindi, nessuna ripetizione della gara.

Un concorrente è indotto a inserire il valore dell’offerta economica in un campo dell’offerta tecnica denominato “punteggio tecnico-valore offerto”, senza la compilazione del quale il sistema non consente l’avanzamento della procedura (inserimento però vietato dalla legge di gara e dalla giurisprudenza). L’operatore economico avrebbe dovuto inserire un numero a caso, come ha fatto l’altro concorrente.  Secondo il Consiglio di Stato (sentenzaSez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924) l’errore non scusabile non è della stazione appaltante per la equivoca predisposizione del formulario di gara, ma del concorrente che, inserendo in un campo dell’offerta tecnica il valore economico dell’offerta, ha dimostrato scarsa diligenza nella lettura del bando e scarsa conoscenza della normativa. Avendo anche richiesto chiarimenti senza utilizzare le apposite funzionalità previste dalla piattaforma ed incorrendo quindi in ritardi procedimentali. Errori tutti inammissibili, per un operatore economico professionale che partecipa ad appalti pubblici. Quindi, in nome del supremo obiettivo del “risultato”, la gara, pur viziata da errata formulazione del disciplinare, non va annullata.   

Anche se la procedura di cui sopra è espletata in vigenza del D.lgs. n. 50/2016, la giustizia amministrativa comincia ad esprimersi sulla concreta declinazione del “principio di risultato” previsto dal nuovo Codice dei contratti.

Così recita l’art. 1 del D.lgs. n. 36/2023: “Art. 1. (Principio del risultato)

1. Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza.

2. La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. La trasparenza è funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del presente decreto, di seguito denominato “codice” e ne assicura la piena verificabilità.

3. Il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità. Esso è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’Unione Europea.

4. Il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto, nonché per:

  1. valutare la responsabilità del personale che svolge funzioni amministrative o tecniche nelle fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti;
  2. attribuire gli incentivi secondo le modalità previste dalla contrattazione collettiva.” Il Consiglio di Stato, nel confermare con sentenza  Sez. V, 27 febbraio 2024, n. 1924  il pronunciamento del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia n. 484/2023, con il quale è stato respinto il ricorso proposto avverso gli atti di una procedura di evidenza pubblica indetta  per l’affidamento del “Servizio biennale di deposito, custodia e gestione degli archivi documentali della Città Metropolitana di Bari”,  ne riprende le argomentazioni di rigetto del ricorso, ribadendo che  “anche ammettendo che la schermata, così come concepita, potesse indurre nell’errore commesso dalla ricorrente, tuttavia, pur prendendo atto delle novità e quindi delle possibili difficoltà di utilizzazione della piattaforma, lo stesso obbligo di lealtà, trasparenza e correttezza, alla cui osservanza parte ricorrente richiama la stazione appaltante, non poteva non gravare sulla ricorrente stessa, anch’essa tenuta a un obbligo di buona fede nella formulazione dell’offerta; obbligo che, coniugato con l’onere di diligenza aggravata, certamente ricadente sull’operatore professionale (quale può definirsi la società ricorrente), avrebbe dovuto suggerire la formulazione di uno specifico quesito all’Amministrazione, proprio in ragione di quella che la stessa società ha definito – in ricorso – “inusuale collocazione dello stesso campo, ordinariamente funzionale a generare l’offerta economica di sistema”. La società ricorrente ha formulato una richiesta di chiarimenti all’Amministrazione (a mezzo PEC e non a mezzo piattaforma e scaduto il termine originario per la presentazione delle offerte) ma afferente alle asserite difficoltà di caricamento dell’offerta economica e non già allo specifico profilo che ne ha poi determinato l’esclusione. l’errore commesso non può apparire scusabile stante la diligenza a cui era tenuta la società quale operatore professionale.” In sede di ricorso avverso la sentenza del TAR, l’appellante riafferma di essere stato indotto in errore dalla stessa stazione appaltante; confidando nella corretta impostazione del modello di offerta tecnica ha seguito le indicazioni fornite dalla legge di gara, riportando nell’apposito spazio il corrispettivo economico per la erogazione del servizio in caso di aggiudicazione;
  3. la stazione appaltante, anziché prendere atto del proprio errore ha ritenuto di traslarne sui concorrenti le conseguenze, chiedendo loro chiarimenti “al fine di determinare il significato attribuito dalle stesse ai valori inseriti .. non essendo chiara la connotazione dei valori inseriti nel campo “punteggio tecnico-valore offerto”;
  4.  l’errore nella predisposizione delle regole di gara non può ridondare in danno dei concorrenti;
  5.  una specifica richiesta di chiarimenti avrebbe potuto essere formulata dalla ricorrente soltanto laddove essa avesse avuto dei dubbi in ordine alle modalità di compilazione del modulo di offerta tecnica; nel caso di specie, tuttavia, la ricorrente non ha avuto dubbi in ordine all’obbligo di indicare il valore economico della propria offerta nel campo “Valore offerto”, dal momento che la rubrica di tale campo non poteva che indurre l’appellante ad inserire proprio il citato valore economico della propria offerta;
  6. alla ricorrente non avrebbe potuto essere imputata alcuna condotta negligente, dato che il concorrente non aveva contezza delle modalità con le quali il sistema telematico avrebbe trattato il dato numerico inserito dai concorrenti alla voce “valore offerto”.”

Rispetto a queste argomentazioni il Consiglio di Stato fa notare quanto segue:  “(…..)  La procedura per cui è causa è una semplicissima R.D.O. (richiesta di offerta) sulla piattaforma www.acquistinrete.it – sezione Mercato Elettronico della Pubblica Amministrazione (M.E.P.A.). Una procedura rutinaria per qualunque operatore economico dotato di una diligenza minima (non certo “aggravata” come definita dal primo Giudice).

La procedura, come noto, è sostanzialmente guidata (e semplicissima) e genera le schermate che agevolano la compilazione dei campi. È altrettanto noto, e non può sfuggire a qualunque operatore minimamente avveduto, che la procedura consente di interloquire con la stazione appaltante alla quale possono essere richiesti chiarimenti (nell’ambito della piattaforma) con un servizio di messaggistica.

È un dato incontestabile che la società appellante sia uscita dalla piattaforma per chiedere chiarimenti alla stazione appaltante per il tramite di una PEC. Va peraltro osservato, e anche questa è una circostanza nota a qualunque operatore avveduto, che un conto è utilizzare la piattaforma deputata al governo della procedura, un conto è inviare una PEC che transita per il protocollo generale dell’ente in prossimità del termine di scadenza per la presentazione delle offerte. La scansione temporale per presentare le richieste di chiarimenti all’interno della piattaforma non è casuale per due motivi:

  1. la stazione appaltante deve poter vagliare le richieste in tempo utile;
  2. la piattaforma è, di norma, sorvegliata dal responsabile della fase di affidamento incaricato di rispondere ai chiarimenti.

Anche queste sono circostanze note a ogni operatore minimamente diligente.

(….)  Quel che è accaduto, molto semplicemente, è che la società ricorrente non ha utilizzato correttamente la piattaforma, neppure avvalendosi dei mezzi che la medesima piattaforma mette a disposizione degli operatori economici. La conseguenza è che per un errore del tutto evidente, la società ricorrente ha inserito nel campo relativo all’offerta tecnica dati relativi all’offerta economica, da un lato violando in modo flagrante l’art. 5 del disciplinare di gara, dall’altro, tenendo un contegno ben differente rispetto a quello dell’altro operatore partecipante alla procedura che ha diligentemente utilizzato gli strumenti messi a disposizione dalla piattaforma telematica.

Una minima conoscenza della piattaforma consente di comprendere che:

a) non esiste alcuna manomissione della piattaforma, neppure gestita dalla stazione appaltante;

b) non esiste alcun equivoco nella gara per cui è causa, che poteva essere agevolmente portata a termine semplicemente seguendo la procedura;

c) l’appellante, più che dolersi della gara, si duole del funzionamento della piattaforma, le cui funzionalità non sono state utilizzate correttamente dalla stessa appellante.

In definitiva, l’appellante si deve dolere della propria mancanza di cautele minime. Nell’ambito delle gare pubbliche, è necessario adempiere, con scrupolo e diligenza, a quanto previsto dal bando e dalle norme tecniche. La disciplina di gara è posta a garanzia di tutti i partecipanti e il suo erroneo utilizzo rimane a rischio del partecipante nell’ambito della propria autoresponsabilità.

(…..) Non è superfluo osservare, nonostante la procedura sia stata indetta nella vigenza del D.lgs. 50/2016, che l’operato della stazione appaltante è perfettamente in linea col principio del risultato previsto dall’art. 1 del D.lgs. 36/2023.(….)

L’art. 1 è collocato in testa alla disciplina del nuovo Codice dei contratti pubblici ed è principio ispiratore della stessa, sovraordinato agli altri. Si tratta di un principio considerato quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l’azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell’obiettivo finale che è:

a) nella fase di affidamento giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto;

b) nella fase di esecuzione (quella del rapporto) il risultato economico di realizzare l’intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto.

Il richiamo operato dall’appellante al principio della fiducia di cui all’art. 2 del nuovo Codice dei contratti pubblici (pagina 7 della memoria depositata il 10 ottobre 2023), più che avallare le tesi della medesima appellante, le confuta. L’affermazione secondo cui “il legislatore ha inteso valorizzare il comportamento legittimo, trasparente e corretto dell’amministrazione e degli operatori economici, che si presume tale, e che non si fonda più sul “sospetto” è del tutto corretta. L’appellante, però, da tale corretta premessa non trae altrettanto corrette conclusioni. Il principio della fiducia di cui all’art. 2 del nuovo Codice dei contratti pubblici amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della P.A., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile. Il principio del risultato e quello della fiducia sono avvinti inestricabilmente: la gara è funzionale a portare a compimento l’intervento pubblico nel modo più rispondente agli interessi della collettività nel pieno rispetto delle regole che governano il ciclo di vita dell’intervento medesimo. Regole che l’appellante, all’evidenza, non ha rispettato.”

Il Consiglio di Stato aveva precedentemente evidenziato che il principio di risultato era comunque già immanente nell’ordinamento: “Dunque, se obiettivo precipuo della legge di gara è quella di garantire impianti il più possibile moderni ed efficienti, ecco che la sostituzione di telecamere a tecnologia desueta e superata con telecamere a tecnologia avanzata sono in grado di assicurare un simile obiettivo e dunque il conseguente risultato cui tende la stazione appaltante. Principio, quello del risultato, ora consacrato nell’art. 1 del nuovo codice dei contratti (decreto legislativo n. 36 del 2023) ma che, in ossequio al principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., poteva ritenersi ben presente nell’ordinamento dei pubblici appalti anche in costanza del precedente regime normativo (decreto legislativo n. 50 del 2016)  (sent. Sez. V, 15/12/2023, n. 9790).

Sui rapporti tra principio di risultato e principio di concorrenza (che nella sentenza in commento appare sacrificato) vale la pena di richiamare alcune considerazioni esplicative contenute nella relazione di accompagno al d.lgs. n. 36/2023, in commento all’art. 1:

“(….) Il comma 2 enuncia il valore funzionale della concorrenza e della trasparenza, che sono tutelate non come mero fine, ma, più correttamente, come mezzo in vista del raggiungimento del risultato.

La concorrenza, in particolare, è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti. Si collega così il risultato, inteso come fine, alla concorrenza, intesa come metodo (sulla scorta di quanto avviene per l’art. 97 Cost., in cui il buon andamento è legato all’imparzialità, al punto da essere stati considerati per lungo tempo una vera e propria endiadi). Il nesso tra “risultato” e “concorrenza”, la seconda in funzione del primo, è già rafforzato dalla dizione del comma 1, dove si specifica che non si persegue “un risultato purché sia”, ma un risultato “virtuoso”, che accresca la qualità, diminuisca i costi, aumenti la produttività, etc. Una diversa impostazione (secondo cui la P.A. non cura più l’interesse pubblico, perché il suo obiettivo diventa la gara) sarebbe, oltre che irragionevole, ancor più difficile da sostenere in un contesto economico-sociale che, nel quadro di un drammatico conflitto bellico, oggi richiede una nuova leva economica, da realizzare anche (e soprattutto) nel settore delle commesse pubbliche.

(….) La disciplina introdotta è in linea con il diritto UE e con la Costituzione.

La CGUE, sempre attenta agli aspetti sostanziali del singolo caso, non ha mai dato seguito ad approcci meramente formalistici, ispirati al solo rispetto della legalità o a una tutela fideistica della concorrenza. Basti pensare al ripetuto rifiuto di ogni automatismo e alla continua valorizzazione dei poteri discrezionali della

stazione appaltante, specie in merito all’affidabilità degli operatori economici.

Si pensi, ancora, al rapporto tra in house e mercato, rispetto al quale la Corte di giustizia ha tante volte ribadito (pur salvando la disciplina italiana sui limiti all’in house) che il diritto UE non impone il mercato, ma solo il rispetto della concorrenza se si sceglie di andare sul mercato. Il che significa che, se un “risultato” può essere realizzato meglio in “autoproduzione”, la P.A. lo può (e forse lo deve) fare, perché il suo compito è curare gli interessi della collettività, che non necessariamente coincide con la sollecitazione pro-concorrenziale degli interessi economici delle imprese a competere per avere un contratto.

Significativa è anche la posizione assunta dalla nostra Corte Costituzionale nella sentenza n. 131/2020, sui rapporti tra tutela della concorrenza, da un lato, e solidarietà/sussidiarietà orizzontale dall’altro, dove si afferma che la concorrenza non è un fine, ma uno strumento, che può essere “sacrificato” se ci sono interessi superiori da realizzare. La “demitizzazione” della concorrenza come fine da perseguire ad ogni costo è alla base, inoltre, anche della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 177 del codice appalti di cui al D.lgs.n. 50/2016 (sentenza n. 218/2021, che pure chiarisce che il perseguimento della tutela della concorrenza incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti).

L’idea che l’Amministrazione in materia di appalti debba perseguire solo la concorrenza rischia, allora, di contrastare con il più generale principio di buon andamento, di cui il “principio del risultato” rappresenta una derivazione “evoluta”, sulle orme di studi di autorevolissima dottrina, che ormai da decenni auspica e teorizza “l’amministrazione del risultato”. Il risultato si inquadra nel contesto della legalità e della concorrenza: ma tramite la sua codificazione si vuole ribadire che legalità e concorrenza da sole non bastano, perché l’obiettivo rimane la realizzazione delle opere pubbliche e la soddisfazione dell’interesse della collettività. Questa

“propensione” verso il risultato è caratteristica di ogni azione amministrativa, perché ogni potere amministrativo presuppone un interesse pubblico da realizzare.

Il comma 3, recependo gli approdi di numerosi studi sulla c.d. amministrazione del risultato, chiarisce che il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità ed è perseguito nell’interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell’UE.

Il comma 4 prevede che il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e per l’individuazione della regola del caso concreto. Si tratta, quindi, di un principio guida nella ricerca della soluzione del caso concreto, al fine di sciogliere la complessità, spesso inevitabile, che deriva dall’intreccio di principi, norme di diritto dell’Unione Europea, norme di legge ordinaria, atti di regolazione e indirizzi della giurisprudenza.

La previsione finale del comma 4, alla lettera a)in coerenza con il principio della fiducia declinato nell’art. 2, valorizza il raggiungimento del risultato come elemento da valutare, in sede di responsabilità (amministrativa e disciplinare), a favore del personale impiegato nei delicati compiti che vengono in rilievo nella “vita” del contratto pubblico, dalla programmazione fino alla sua completa esecuzione. Lo scopo è quello di contrastare, anche attraverso tale previsione, ogni forma di burocrazia difensiva: in quest’ottica si “premia” il funzionario che raggiunge il risultato attenuando il peso di eventuali errori potenzialmente forieri di responsabilità.

La lettera b) del comma 4specifica, nella stessa ottica, che il risultato rappresenta anche criterio per l’attribuzione e la ripartizione degli incentivi economici, rimandano alla naturale sede della contrattazione collettiva per la concreta individuazione delle modalità operative.”