Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Leonardo De Vecchi.
Segnaliamo una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, n. 3332 del 22 maggio 2019) che ha ulteriormente rafforzato, in una direzione nuova, i già stringenti obblighi dichiarativi in tema di illeciti professionali per gli operatori economici che concorrono alle procedure di gara per l’affidamento degli appalti pubblici.
Preliminarmente giova ricordare che si è consolidato un orientamento giurisprudenziale (supportato anche dalle Linee Guida n. 6 dell’ANAC) secondo cui sussiste l’obbligo per gli offerenti di dichiarare – senza alcun filtro valutativo – tutti i comportamenti astrattamente idonei a porre in dubbio la loro moralità professionale (e, in particolare, tutte le vicende pregresse, concernenti fatti risolutivi, errori o altre negligenze comunque rilevanti e occorse in precedenti rapporti contrattuali con Pubbliche Amministrazioni diverse dalla stazione appaltante). Solo in tal modo, infatti, si consente all’Ente appaltante di valutare autonomamente, nell’esercizio della propria discrezionalità, se tali comportamenti integrino un grave illecito professionale ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 tale da comportare l’esclusione dell’operatore economico.
Si è detto, al riguardo, che il predetto obbligo dichiarativo costituisce espressione dei generali principi di lealtà e affidabilità contrattuale, posti a presidio dell’elemento fiduciario nei rapporti contrattuali facenti capo alla Pubblica Amministrazione, con la conseguenza che incorre nell’esclusione dalla gara il concorrente che renda una dichiarazione non veritiera e comunque incompleta (esclusione disposta ai sensi dell’art. 80, comma 5, lett. c bis) o lett. f bis) D.Lgs. 50 2016; sulla differenza tra le due ipotesi, la prima discrezionale e la seconda automatica, vi sono opinioni non sempre convergenti: si vedano, da ultimo, Consiglio di Stato n. 2407 del 12 aprile 2019 e n. 2553 del 19 aprile 2019).
Sulla base di tale orientamento è stata affermata la necessità, per l’operatore, di dichiarare le risoluzioni contrattuali subite e finanche l’applicazione di penali contrattuali che lo hanno riguardato (TAR Sicilia – Palermo, n. 1210/2017; C.G.A.R.S. n. 575/2018; TAR Campania – Napoli n. 6423/2018), così come le condanne subite dai soggetti apicali, anche per reati diversi da quelli tassativamente previsti dal comma 1 dell’art. 80 (Consiglio di Stato, n. 1649/2019).
La sentenza in commento, forte della particolarità della fattispecie, si è spinta oltre.
Nel caso in esame, infatti, l’operatore economico aveva potuto partecipare alla procedura di gara utilizzando i requisiti di partecipazione (fatturato specifico e contratti analoghi) ottenuti tramite conferimento di ramo d’azienda. Tra cedente e cessionaria del ramo d’azienda il Consiglio di Stato ha rilevato una “indiscutibile continuità aziendale” derivante dal fatto che le due società condividevano il nome, la sede, il Consiglio di Amministrazione e il Collegio Sindacale, il che ha indotto il Giudice Amministrativo a ritenere che l’operazione di conferimento fosse volta a ricostruire una posizione corretta ed inattaccabile rispetto ai requisiti di moralità professionale, che la cedente si era vista minacciati da una risoluzione contrattuale subita tempo addietro.
Il Consiglio di Stato ha dunque affermato che, in forza del principio ubi commoda, ibi incommoda, con il trasferimento del ramo d’azienda, così come sono stati trasferiti i requisiti di partecipazione, si sono trasferiti anche gli illeciti professionali relativi al medesimo complesso aziendale e il relativo obbligo dichiarativo. E, non avendo l’operatore rispettato tale obbligo, il Consiglio di Stato ha accertato che doveva disporsi l’esclusione dello stesso dalla procedura di gara.
Incidentalmente è altresì interessante notare come il Consiglio di Stato abbia respinto la tesi difensiva – accolta, invece, in primo grado – volta a valorizzare il fatto che la risoluzione contrattuale subita dalla cedente era stata contestata in giudizio dalla stessa. Tale circostanza è stata infatti ritenuta non rilevante alla luce di un’interpretazione comunitaria della norma e delle indicazioni date dall’ANAC nelle già citate Linee Guida n. 6 e condivise dal Consiglio di Stato (Comm. Spec. n. 2616/2018), suggellate dal fatto che il Legislatore, con il D.L. 135/2018, ha riformulato la norma consentendo alle Amministrazioni, purché motivatamente, di escludere il concorrente che abbia subito una risoluzione per inadempimento o una condanna risarcitoria nonostante queste siano state contestate in giudizio (comma 5, lett. c ter)).
In definitiva si può affermare che, anche a dispetto delle peculiarità della fattispecie, che hanno indotto il Consiglio di Stato ad un approccio sostanziale, la sentenza conferma la centralità acquisita, nella prospettiva dei requisiti di moralità professionale necessari per aspirare alle commesse pubbliche, dagli illeciti professionali (a discapito del tema delle condanne penali, prevalente nella vigenza del precedente D.Lgs. 163/2006 e ormai, invece, residuale), imponendo agli operatori economici degli obblighi dichiarativi molto incisivi e lasciando alle Amministrazioni ampi margini discrezionali.
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