Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura di Pierluigi Piselli e Stefano de Marinis
Ad un anno dall’entrata in vigore del nuovo Codice appalti, adottato con il decreto legislativo del 31 marzo 2023, n.36, è possibile formulare alcune prime valutazioni sul senso e gli effetti di una operazione che, a distanza di soli 7 anni, ha portato alla cancellazione del precedente provvedimento con il quale erano state recepite le vigenti direttive comunitarie che regolano la materia, per ripercorrere tale processo ex novo; con ciò portando a tre le codificazioni avvicendatesi dal 2006 ad oggi.
Posto che le nuove regole sono di fatto operative dal primo luglio 2023, data in cui hanno acquistato efficacia al netto del pacchetto digitalizzazione partito ancor dopo, il primo gennaio 2024, ciò che riduce in modo importante l’ambito temporale rispetto al quale formulare giudizi definitivi, la prima domanda da porsi è se l’importante mutamento di approccio alla materia che tale intervento voleva perseguire – giacché laddove di questo si dubitasse l’azione intrapresa perderebbe di qualsiasi significato – abbia prodotto, o meno, i risultati auspicati.
Obiettivo il riallineamento con l’UE
Tali risultati attesi, in sintesi, sono da individuarsi nel definitivo riallineamento del quadro legislativo alla prospettiva comunitaria, restituendo centralità alla discrezionalità amministrativa al fine di rendere realmente efficace ed efficiente l’azione della mano pubblica nella realizzazione degli investimenti di cui il Paese, oltreché l’Europa di cui è parte, ha bisogno, altresì superando il problema della cosiddetta amministrazione difensiva, detto anche blocco della firma; in tale ottica, rilievo decisivo lo assume il tema della digitalizzazione in grado di coniugare discrezionalità e trasparenza oltreché efficienza ed efficacia dell’azione pubblica.
Al riguardo si è dell’avviso che il disboscamento di tutte quelle regole che il sistema si era dato sulla falsariga della disciplina comunitaria degli appalti, ma da questa non pretesa, così come l’approccio di matrice sostanziale che dall’impostazione comunitaria senz’altro discende, siano stati colti dagli operatori solo in una prima fase, comunque riconducendoli ad un’ottica di emergenzialità degli interventi che tende a riassorbirsi man mano che si va avanti, per tornare su approcci maggiormente legati alla tradizione ante nuovo codice.
Gli interventi del decreto “PNRR 4”
Non a tutti i livelli si coglie, infatti, che l’esigenza di accelerazione degli investimenti non può ritenersi esaurita con il superamento dell’emergenza pandemica ed il raggiungimento del traguardo di fine 2023, previsto dal PNRR per il completamento della fase di scelta degli operatori affidatari dei principali programmi di spesa. L’emergenza, se di emergenza si tratta, più propriamente l’esigenza di essere efficaci, è destinata a permanere ancora per anni, per lo meno fino all’esaurirsi delle risorse mobilitate per ammodernare significativamente il Paese dal PNC e dagli ordinari fondi europei, oltreché dai quelli nazionali, senza considerare i possibili slittamenti dello stesso PNRR.
In questo senso rilevano contenuti del decreto legge n.19/24, cosiddetto PNRR 4, che ulteriormente interviene, ad esempio, per mantenere l’applicabilità delle linee di intervento accelerate anche per quegli interventi da ultimo dirottati su altre fonti di finanziamento.
In sintesi il punto è quello di evitare che l’approccio innovativo che senza dubbio caratterizza il decreto 36 venga perduto, con progressivo riassorbimento delle nuove regole dallo stesso dettate al l’interno di logiche obsolete che l’intervento intendeva superare, ponendo in cima alla piramide valoriale il risultato, la fiducia nell’azione amministrativa e degli operatori economici, l’equilibrio contrattuale ecc.
Digitalizzazione del procurement, i dati ANAC
Come si diceva in apertura, importante in quest’ottica è anche non flettere sulla digitalizzazione dei processi, ovvero sulla gestione suo tramite dell’intero ciclo di vita dei contratti pubblici.
Al riguardo, proprio in questi giorni ANAC ha diffuso dati rassicuranti secondo i quali nel primo trimestre del 2024, nonostante le molte difficoltà di avvio del cosiddetto pacchetto digitale, il volume delle gare attivate supera i 78 miliardi di euro: non male per una scelta necessaria ma rinviata da oltre dieci anni, che cambierà il modo di gestire l’intero comparto del procurement pubblico.
Verso l’operatività del BIM: cosa cambia dal 2025
Su questo fronte altro significativo passaggio lo avremo con l’operatività del BIM (Building Information Modeling), vera e propria metodologia digitale avanzata sulla quale le stazioni appaltanti più avvertite hanno già investito, giacché in grado di ridurre tempi e costi di realizzazione assicurando la qualità dell’esecuzione e la migliore successiva gestione degli asset, dal primo gennaio 2025 obbligatoria per tutti i contratti di lavori di importo superiore al milione di euro.
Nuovo Codice appalti, il nodo delle difficoltà interpretative
Tanto premesso sul piano per così dire culturale, non è che non si registrino condivisibili prese di posizione circa la necessità di adeguare questa o quella previsione alle difficoltà interpretative nate a valle del primo anno di vita del codice. Prima tra tutte è quella che riguarda l’applicabilità agli affidamenti degli incarichi tecnici, quali progettazioni, direzione lavori ecc. della legge n. 49 del 2023 in materia di equo compenso delle prestazioni professionali.
Sul punto, a fronte di un richiamo a tale principio che si legge nel nuovo Codice, al comma 2 del l’articolo 8, dove peraltro si ipotizza anche il caso, seppur eccezionale, dell’incarico gratuito, tre diverse letture attualmente si affacciano sul fronte interpretativo: l’inapplicabilità della legge al codice dei contratti; la non ribassabilità dell’importo degli incarichi posto a base degli affidamenti quotato applicando sempre la tariffa professionale; la negoziabilità dei soli compensi riguardanti spese generali e oneri accessori; letture non sempre coincidenti tra ANAC e giurisdizioni amministrative, peraltro fin qui ferme al primo grado di giudizio, rinviano alla necessità di chiarimento a livello legislativo.
Procedure ordinarie per contratti con importi contenuti
Altro tema dibattuto riguarda l’applicabilità delle procedure ordinarie nei contratti d’importo più contenuto – 1 milione di euro per i lavori e 221 mila per forniture e servizi – che, in continuità rispetto alle scelte già operate dai provvedimenti di semplificazione finalizzati a favorire la ripresa post pandemica dispongono l’utilizzo di quelle negoziate senza bando e gli affidamenti diretti.
La quantificazione della manodopera
Problemi ulteriori si pongono sia relativamente alla possibilità, da parte dell’operatore economico, di determinare in maniera diversa dalla quantificazione operata dall’amministrazione appaltante il costo della manodopera, il cui importo, secondo la legge delega e lo stesso codice, deve essere scorporato dalla base d’asta su cui formulare il ribasso di gara, così come da tempo avviene per la sicurezza, sia per la possibilità di utilizzare, sempre da parte dell’operatore economico, un contratto collettivo nazionale di lavoro diverso, ancorché a parità di tutele, rispetto a quello prescelto dalla stazione appaltante.
La nuova disciplina delle modifiche
Ulteriori elementi che potrebbero trovare ragione di chiarimento, ovvero di implementazione sul piano operativo, riguardano rispettivamente la nuova disciplina delle modifiche che possono essere apportate alla composizione dei raggruppamenti di imprese in sede di gara in forza delle innovative previsioni recate dall’articolo 97, specie con riferimento al concetto di salvezza dei contenuti sostanziali dell’offerta, e le modalità di applicazione della nuova disciplina riguardante la revisione dei prezzi, specie sul fronte dei servizi e delle forniture.
Conclusione
In questo quadro, ad un anno di operatività del nuovo codice l’adozione di un provvedimento che ne corregga alcune previsioni, secondo una tradizione non certo nuova ma comunque utilmente seguita anche a livello comunitario, potrebbe senz’altro essere auspicabile; l’importante è non utilizzare un momento di giusto check up per rimetterne in discussione logiche e scelte di fondo per dar vita ad una controriforma di cui il settore, ed il Paese, non sentono certo bisogno.
Sul fronte della digitalizzazione, per quel che riguarda gli aggiustamenti l’utilizzo di applicativi certificati da MIT e/o Anac al fine di evitare che tramite le soluzioni operative in essi contenute possano accreditarsi vere e proprie violazioni di legge, per lo più difficilmente leggibili sarebbe una misura da considerare. (fonte: Agenda digitale)