Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Angelo Lucio Lacerenza.
Che il nuovo Codice degli appalti fosse “nato prematuro” era noto dal testo, come dimostra la vasta disciplina transitoria su molti aspetti anche di grande rilievo, a partire dalle SOA. La nota dolente è che il testo, alla prova dei fatti e del contesto giuridico italiano, rischia di generare non pochi contenziosi ed incertezze, a danno di imprese e stazioni appaltanti.
La sorte del “famigerato art. 38” del vecchio Codice (così detto per la quantità di contenzioso che aveva prodotto) sembrerebbe accompagnare l’attuale art. 80 del d.lgs. 50/2016, e sotto piu’ aspetti. Sotto un profilo soggettivo, in caso di partecipazione agli appalti di soggetti diversi da D.I., S.N.C. e S.A.S., tra coloro che devono rendere le dichiarazioni di moralità risultano genericamente individuati i “soggetti muniti di poteri di rappresentanza, di direzione o di controllo”. Se, a parere di chi scrive, non ci sono dubbi per i sindaci e loro supplenti, revisori dei conti e membri dell’organismo di vigilanza ove adottato il modello 231, resta l’enigma dei procuratori speciali i cui poteri di rappresentanza hanno alimentato una vasta e talvolta alternante giurisprudenza in costanza del vecchio Codice, incertezza che permarrebbe anche ora stante la genericità della norma. Sotto un profilo procedurale, la norma grava le commissioni anche della verifica dei requisiti di qualificazione della terna obbligatoria dei subappaltatori da indicare già in sede di gara, con un conseguente appesantimento del procedimento di gara.
Se l’obiettivo era di semplificare gli oneri documentali a carico delle imprese, la norma sul Documento di gara unico europeo DGUE (art. 85) non pare aver colto nel segno. L’aver previsto che le stazioni appaltanti “accettano” il DGUE lascerebbe intendere una volontarietà della sua presentazione, non già un obbligo, almeno sino al 18 aprile 2018. Peccato che il Documento non sia allineato con il d.lgs. 50/2016 (essendo stato pubblicato dalla UE lo scorso gennaio quando l’Italia era ancora alle prese con i principi generali del Codice); che vi siano difficoltà di funzionamento del link messo a disposizione per il servizio di compilazione del Documento; che sussiste un diverso atteggiarsi delle amministrazioni, non richiedendolo affatto da parte di talune, altre prevedendone la presentazione da parte del solo legale rappresentante del concorrente, tal’altre da parte di tutti i soggetti apicali previsti dall’art. 80.
Sulle cauzione provvisorie e definitive (artt. 93 e 103), ed in particolare sulla possibilità di cumulare le riduzioni dell’importo da garantire al ricorrere di determinate certificazioni di qualità, sarebbe interessante conoscere se fosse volontà del Legislatore o trattasi di refuso l’aver escluso dal cumulo l’abbattimento del 15% in caso di possesso di UNI EN ISO 14064-1 o di UNI ISO/TS 14067, posto che quando il Codice ha voluto escludere il cumulo lo ha fatto espressamente (ad esempio in caso di certificazione OHSAS 18001).
Riserve suscita la previsione del rating di legalità anche tra i criteri di valutazione dell’offerta (art. 95 co. 13) in considerazione del fatto che esso attiene più propriamente alla qualificazione dell’impresa, come specificato dallo stesso Codice a proposito del sistema reputazionale (art. 83 co. 10), e non già alla diversa fase della valutazione dell’offerta tecnica proposta dall’operatore. Sempre sul versante reputazionale urterebbe contro il principio del diritto alla difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione l’aver previsto “l’incidenza del contenzioso sia in sede di partecipazione alle procedure di gara che in fase di esecuzione del contratto” ai fini del conseguimento della certificazione dell’Anac (art. 83 co. 10); il che equivale a “scoraggiare” le imprese dal ricorrere al giudice pur di conseguire la certificazione stessa. Bene ha fatto l’Anac a sollevare dubbi sulla norma nei suoi “Criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese” posti in pubblica consultazione lo scorso 10 giugno.
Non meno dubbi sorgono a proposito di alcuni profili circa la valutazione delle offerte. E’ il caso del criterio del “costo del ciclo di vita” dell’appalto (art. 96) che comprende tutti i costi – o parti di essi – legati al ciclo di vita della commessa. Il criterio, ove non meglio chiarito, rischia di ampliare in modo non proporzionale il novero dei dati che gli offerenti devono esporre nella propria offerta economica, ad esempio negli appalti di fornitura laddove i beni dopo aver esaurito la loro funzione devono essere smaltiti da operatori specializzati che di regola sono diversi dai fornitori dei beni stessi (tipico è il caso dei toner che, esauriti, devono essere smaltiti come rifiuti speciali secondo le prescrizioni del d.lgs. 152/2006).
Incertezze ancor più significative suscita la norma sull’anomalia delle offerte nelle gare da aggiudicare al prezzo più basso (art. 97 co. 2). Per individuare la soglia di anomalia è necessario procedere al sorteggio pubblico, prima dell’apertura delle offerte economiche, di uno tra i 5 criteri indicati dal Codice (si tratta di 5 diverse medie aritmetiche); qualora ad essere sorteggiato fosse il quinto criterio (lett. e), la soglia è il frutto di un complesso calcolo che combina media aritmetica dei ribassi, scarto medio aritmetico dei ribassi e applicazione di un coefficiente scelto, con un secondo sorteggio, tra una serie di valori indicati dal Codice (0,6; 0,8; 1; 1,2; 1,4). Al di là della complessità del calcolo (che non pochi problemi creerà alle stazioni appaltanti), e con buona pace dello scopo della norma di non creare cordate tra i partecipanti all’appalto, il Legislatore ha di fatto affidato l’aggiudicazione degli appalti (e quindi il destino delle imprese) alla “cabala”, atteso che da simulazioni effettuate sull’applicazione dei diversi criteri ad una stessa gara risulterebbero soglie di anomalia diverse a seconda dell’applicazione di questo o quel criterio.
Per non parlare del fatto che ai fini della giustificazione dell’offerta la stazione appaltante può chiedere per iscritto al concorrente la presentazione delle proprie argomentazione assegnando un termine secco di almeno 15 giorni (art. 97 co. 5), venendo così meno la possibilità, prevista dal vecchio Codice, del contraddittorio in una fase estremamente complessa della procedura di gara (a parere di chi scrive, con grave lesione dei diritti di difesa degli operatori).
Le incertezze non mancano anche dopo l’aggiudicazione. Sul subappalto, al limite del 30% sull’importo complessivo del contratto (art. 105 co. 2) si affiancherebbe l’ulteriore limite del 30% (art. 105 co. 5) sulle opere superspecialistiche che superano il 10% dell’importo totale dei lavori, con la conseguenza, non irrilevante, di poter operare nei fatti con due distinti subappalti.
Rilevante è la norma sulla obbligatoria indicazione della terna di subappaltatori per gli appalti di importo superiore alle soglie comunitarie e per i quali non sia necessaria una particolare specializzazione (art. 105 co. 6), con facoltà per la stazione appaltante di estendere tale obbligo anche agli appalti di importo più modesto. Premesso che simile norma era già prevista dall’art. 34 dell’abrogata legge 109/1994 (fino a un massimo di 6 subappaltatori), non possono sottacersi difficoltà applicative poiché vi sono alcuni settori “di nicchia” nei quali operano pochissimi operatori, con conseguente difficoltà di trovare subappaltatori; poiché l’appalto è un contratto di durata che si svilupperà anche a distanza di moltissimi mesi rispetto alla presentazione dell’offerta, momento nel quale scatta l’obbligo di indicare la terna; per le vicende successive alla presentazione dell’offerta che potrebbero investire il subappaltatore nominato (esempio, perdita dei requisiti di qualificazione); per l’appesantimento della procedura di gara, atteso che la commissione dovrà verificare il possesso dei requisiti anche dei subappaltatori indicati; poiché il Codice non chiarisce se un’impresa indicata in sede di gara come subappaltrice possa partecipare alla medesima procedura anche in proprio o come componente di un RTI.
In tema di risoluzione del contratto di appalto da parte della stazione appaltante, infine, meriterebbe un approfondimento la diversa disciplina sulla facoltà o sulla doverosità di attivare il rimedio al ricorrere, tuttavia, dei medesimi reati escludenti previsti dall’art. 80 (artt. 108 co. 1, lett. c, art. 108 co. 2, lett. b).
La citata rassegna non ha pretesa di esaurire le molte ombre del Codice, rispetto alle quali sarebbe auspicabile un intervento riparatore del Legislatore. In mancanza del quale non resta che affidarsi all’opera chiarificatrice delle Corti giudiziarie nazionali ed europee e dell’Anac.
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