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Confusione appalti: TAR Lazio e TAR Toscana su fronti opposti per centralizzazione acquisti e tutela delle PMI

Osserva il TAR Toscana: “Già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime.” Secondo la stazione appaltante “la gara è impostata in unico lotto per ottenere economie di mercato, a fronte di tipologie di prestazioni uguali per tutta la Regione”.

Il contradditorio quadro normativo in materia di strutturazione degli appalti pubblici – relativamente al dimensionamento della domanda – sfocia anche inevitabili contrasti giurisprudenziali. L’ordinamento dovrebbe tutelare contemporaneamente concorrrenza, PMI, economicità nell’impiego delle risorse pubbliche. Una difficile quadratura del cerchio.
L’ultima direttiva comunitaria in materia di appalti pubblici (2014/24/UE) accentua almeno apparentemente la tutela delle PMI. Che rappresentano, con il 99% delle aziende e il 65% del PIL, l’ossatura produttiva del vecchio continente.
Più specificamente, il “considerando” n. 78 della direttiva prevede quanto segue: “È opportuno che gli appalti pubblici siano adeguati alle necessità delle PMI. Le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero essere incoraggiate ad avvalersi del Codice europeo di buone pratiche, di cui al documento di lavoro dei servizi della Commissione del 25 giugno 2008, dal titolo «Codice europeo di buone pratiche per facilitare l’accesso delle PMI agli appalti pubblici», che fornisce orientamenti sul modo in cui dette amministrazioni possono applicare la normativa sugli appalti pubblici in modo tale da agevolare la partecipazione delle PMI. A tal fine e per rafforzare la concorrenza, le amministrazioni aggiudicatrici dovrebbero in particolare essere incoraggiate a suddividere in lotti i grandi appalti. Tale suddivisione potrebbe essere effettuata su base quantitativa, facendo in modo che l’entità dei singoli appalti corrisponda meglio alla capacità delle PMI, o su base qualitativa, in conformità alle varie categorie e specializzazioni presenti, per adattare meglio il contenuto dei singoli appalti ai settori specializzati delle PMI o in conformità alle diverse fasi successive del progetto”.

Il “considerando” n. 124, poi, nel premettere che, “dato il potenziale delle PMI per la creazione di posti di lavoro, la crescite e l’innovazione, è importante incoraggiare la loro partecipazione agli appalti pubblici, sia tramite disposizioni appropriate nella presente direttiva che tramite iniziative a livello nazionale”, ha posto in rilievo che “le nuove disposizioni della presente direttiva dovrebbero contribuire al miglioramento del livello di successo, ossia la percentuale delle PMI rispetto al valore complessivo degli appalti pubblici”, precisando che “non è appropriato imporre percentuali obbligatorie di successo ( nota: come avviene in altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti), ma occorre tenere sotto stretto controllo le iniziative nazionali volte a rafforzare la partecipazione delle PMI, data la sua importanza”.
Il nuovo Codice degli appalti pubblici e delle concessioni (D.lgs. n. 50 del 2016), che ha attuato, tra le altre, la direttiva 2004/24/UE, declina a livello nazionale il favor normativo verso le PMI.

In particolare, l’art. 51 regolamenta il dimensionamento della domanda, come segue:

Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, sia nei settori ordinari che nei settori speciali, al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti suddividono gli appalti in lotti funzionali di cui all’articolo 3, comma 1, lettera qq). Le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera di invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139. Nel caso di suddivisione in lotti, il relativo valore deve essere adeguato in modo da garantire l’effettiva possibilità di partecipazione da parte delle micro, piccole e medie.

Per «lotto funzionale», si intende uno specifico oggetto di appalto da aggiudicare anche con separata ed autonoma procedura, ovvero parti di un lavoro o servizio generale la cui progettazione e realizzazione sia tale da assicurarne funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dalla realizzazione delle altre parti.

Va rilevato che nel previgente quadro normativo la suddivisione in lotti doveva avvenire “ove possible ed economicamente conveniente”, condizione non prevista nuovo Codice.

L’art. 30, comma 1, del nuovo Codice, analogamente a quanto già espresso dall’art. 2 del d.lgs. 163/2006, oltre ad indicare che l’affidamento e l’esecuzione di appalti di opere, lavori, servizi, forniture e concessioni ai sensi del codice garantisce la qualità delle prestazioni e deve svolgersi nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza (principi ispirati alla tutela della pubblica amministrazione per il controllo ed il miglior utilizzo delle finanze pubbliche), ha specificato che le stazioni appaltanti rispettano altresì i principi di libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità nonché di pubblicità (principi ispirati alla tutela delle imprese concorrenti e del corretto funzionamento del mercato).

Il successivo settimo comma dello stesso art. 30 dispone che “i criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le microimprese, le piccole e medie imprese”.

L’art. 83, comma 2, d. lgs. n. 50 del 2016, infine, prevede che i requisiti di idoneità professionale e le capacità economica e finanziaria e tecniche – professionali sono attinenti e proporzionati all’oggetto dell’appalto, “tenendo presente l’interesse pubblico ad avere il più ampio numero di potenziali partecipanti, nel rispetto dei principi di trasparenza e rotazione”.

Secondo i giudici del TAR Lazio, la disciplina previgente, estremamente centrata sull’obiettivo di contenere la spesa pubblica, privilegiava l’aggregazione dell’acquisto da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell’evidenza pubblica, mentre oggi la situazione si sarebbe ribaltata e la direttiva 2014/24/UE, tra i suoi considerando, evidenzierebbe in particolare che le previgenti direttive vanno riviste ed aggiornate per facilitare in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici.
La direttiva, in sostanza, vedrebbe gli appalti pubblici come un importante motore di crescita dell’economia europea, che si può realizzare solo per mezzo dell’ampliamento della partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici.

Il nuovo codice seguirebbe le indicazioni comunitarie e disegnerebbe un sistema di gare pubbliche estremamente inclusivo: in particolare, occorrerebbe riferirsi agli artt. 30 (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appakti e concessioni), 51 (Suddivisione in lotti) e 83 (Criteri di selezione), tutti violati – secondo il TAR Lazio – dagli atti impugnati, ancorchè le forniture siano state articolate in più lotti. Di dimensioni e configurazioni tali, però, da limitare comunque le possibilità di partecipazione delle PMI , con conseguente mancato rispetto del principio comunitario della tutela della concorrenza. Un posizionamento della domanda che favorisce la partecipazione agli appalti pubblici delle PMI rappresenterebbe per l’appunto la declinazione del principi comunitari di libera concorrenza, , non discriminazione, trasparenza, proporzionalità. Con la massima partecipazione si otterrebbe anche il massimo risultato competitivo, anche nell’interesse della stazione appaltante.

Con due sentenze in successione (n. 9441/2016 e 1345/2017) il TAR Lazio-Roma ha sancito l’illeggittimità rispettivamente di una procedura per l’affidamento di servizi integrati di vigilanza bandita dalla Consip e una gara per l’affidamento dei servizi in global service nei nidi, nelle scuole dell’infanzia, nei servizi integrativi e nelle scuole d’arte e dei mestieri di Roma Capitale.
Eppure, l’appalto Consip era stato preceduto da una approfondita istruttoria sulla connotazione del mercato di rifermento e sulla quota di fatturato assorbita, assolutamente minoritaria già nel solo mercato pubblico (30%), tanto da ottenere per la procedura il nulla-osta dell’Antitrust, non essendo preclusa, tra l’altro, il ricorso agli istituti del raggruppamento temporaneo di imprese e dell’avvalimento.

Sul punto, il Tar Lazio osserva, in primo luogo, che la costituzione di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese o il ricorso all’avvalimento sono il frutto di scelte discrezionali di tutte le imprese coinvolte, per le quali non è sufficiente la volontà della piccola o media impresa che intende partecipare alla gara, essendo necessaria anche una coincidente volontà delle altre imprese nella costituzione dell’eventuale raggruppamento e dell’impresa o delle imprese ausiliarie nell’avvalimento. Pertanto, l’astratta possibilità di costituire un RTI o di ricorrere all’avvalimento non esclude che una preclusione alla possibile partecipazione individuale dell’impresa si concreti in un vulnus al principio del favor partecipationis e, quindi, in una lesione sia alla sfera giuridica dell’impresa che non può partecipare individualmente sia alle finalità pubblicistiche a base della normativa in materia.

Di segno opposto la sentenza del TAR Toscana – Firenze n. 1755/2016 che, nel decidere il ricorso avverso l’affidamento da parte dell’ESTAR della convenzione per la gestione del servizio e raccolta rifiuti sanitari di tutte le aziende sanitarie regionali (gara da oltre 49 milioni di euro, non suddivisa in lotti) giunge ad affermare che l’art. 51 D.Lgs.n. 50/2016 non pone il principio della suddivisione in lotti in termini assoluti, ben prevedendo la possibilità anche di un unico lotto (se adeguatamente motivata). Inoltre, sovraordinata alla normativa sugli appalti vi sarebbe quella emergenziale della cd. “Spending review”, che proprio partendo dalla finalità di razionalizzare e contenere la spesa pubblica ha introdotto l’obbligo di centralizzare gli acquisti. Se dunque si considera la necessità di ridurre la spesa come maggiormente rilevante rispetto al favor partecipationis, da ciò se consegue che la possibilità di ridurre l’importo d’aggiudicazione giustifica di per sé la mancata suddivisione in lotti della gara.

In particolare, il TAR Toscana osserva quanto segue.

“L’art. 51 del d.lgs n. 50 del 2016 ha mantenuto e in parte rafforzato il principio della “suddivisione in lotti”, posto in essere “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese” alle gare pubbliche, già previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006. Deve tuttavia evidenziarsi che, anche nel nuovo regime, il principio non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”.

Il principio della “suddivisione in lotti” può dunque essere derogato, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata; residua tuttavia la necessità di comprendere le indicazioni che l’ordinamento fornisca in ordine ai valori o interessi nel perseguimento dei quali la deroga può avvenire, giacché la regolamentazione procedimentale (obbligo di motivazione), pur significativa e importante, non copre lo spazio ancor più rilevante della legalità sostanziale e cioè della scelta del contemperamento degli interessi pubblici contrapposti. Risposta al quesito pare rinvenibile dall’esame della disciplina europea, di cui quella nazionale costituisce recepimento. Il <considerando> n. 78 della direttiva 2014/24/UE, occupandosi della questione, dopo aver posto in evidenza la necessità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche e il correlato strumento della suddivisione in lotti, si occupa anche della possibile scelta della stazione appaltante di non procedere all’articolazione in lotti e, oltre a prevedere la necessità di motivazione, si spinge anche a considerare le possibili ragioni giustificative di una tale scelta: evidenzia quindi che “tali motivi potrebbero, per esempio, consistere nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto”. Tra gli interessi che possono essere valorizzati dalle stazioni appaltanti per non procedere alla suddivisione in lotti vi è dunque anche quello dei costi cui la suddivisone in lotti può condurre. Ecco che già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime.

Ai fini della composizione dei suddetti contrapposti interessi assume rilievo, come dato di legislazione interna che consuma parte della scelta valutativa della stazione appaltante, la legislazione di c.d. spending review; viene in particolare in considerazione la disciplina di cui all’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, norma che, in relazione alla acquisizione di servizi specificamente individuati da parte di soggetti nominativamente indicati e al superarsi di soglie anch’esse specificamente fissate, impone l’aggregazione, centralizzando gli acquisti medesimi in <soggetti aggregatori> all’uopo creati. Il DPCM 24 dicembre 2015 (in G.U. 9 febbraio 2016, n. 32), cui la norma primaria ha rimesso la disciplina applicativa, sottopone alle gare centralizzate, in chiara funzione di risparmio di spesa, l’affidamento dei “servizi di smaltimento rifiuti sanitari” di importo superiore a € 40.000,00. Si tratta di regolamentazione che, pur non escludendo in radice la suddivisione in lotti, effettua una selezione delle tipologie di gare per le quali l’obiettivo di aggregazione in funzione del contenimento dei costi e dell’ottenimento di economie di scala appare oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore.

Nel caso in esame il soggetto aggregatore, che ha indetto la gara ai sensi della richiamata disciplina di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 e del DPCM del 24 dicembre 2015, ha correttamente motivato la scelta di non procedere alla suddivisione in lotti, statuendo che “la gara è impostata in unico lotto per ottenere economie di mercato, a fronte di tipologie di prestazioni uguali per tutta la Regione, come richiesto dalla mission di Estar dalla tipologia di gara ricompresa nell’elenco del DPCM 24/12/15, riservate ai soggetti aggregatori, considerando che l’attuale assetto di mercato, come evidenziato dal dialogo tecnico effettuato, non pregiudica la partecipazione alla gara”. Alla luce delle considerazioni sopra svolte e della normativa europea e interna richiamata si tratta di motivazione adeguata e idonea a rispondere all’obbligo di giustificazione di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016. Parte ricorrente invoca anche la violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 e del principio di libera concorrenza ivi garantito, con l’effetto di dover ulteriormente scrutinare se la scelta del lotto unico effettuata nella gara in considerazione non rischi di pregiudicare un confronto concorrenziale adeguato e molteplice, ponendo le gare nelle mani di pochi operatori. Anche questo profilo di contestazione può essere respinto. Risulta infatti significativo che, pur in presenza di gara a lotto unico di importo assai notevole, i requisiti di fatturato richiesti per la partecipazione sono parametrati su importi non proibitivi e che lasciano aperta la possibilità di ampia partecipazione degli operatori economici del settore. Infatti il Disciplinare di gara prevede che gli operatori interessati devono aver svolto nel triennio servizi corrispondenti per importo di almeno € 8.500.000,00 e quindi per concorrere è necessario un fatturato medio annuo intorno a € 2.800.000,00, ammontare non particolarmente preclusivo alla concorrenza, se si tiene conto che i limiti dimensionali per qualificare un operatore economico come “piccola impresa” arriva fino a 10 milioni di euro di fatturato annuo, anche se congiunto a numero di dipendenti (DM Attività Produttive 18 aprile 2005). D’altra parte gli operatori possono poi utilizzare tutto lo strumentario proprio del diritto degli appalti che consente anche ai più piccoli di accedere al mercato degli appalti pubblici (ATI, avvalimento)”.

Gli opposti orientamenti giurisprudenziali richiamati troveranno verosimilmente una sintesi da parte del Consiglio di Stato. Spiace constatare come ancora una volta le contradditorietà e incertezze della politica debbano essere risolte in chiave giudiziaria.

È di tutta evidenza che la scricchiolante impalcatura della centralizzazione della domanda (che è cosa diversa dalla centralizzazione delle procedure) si regge sulla possibilità di aggregazione dei fabbisogni, per ottenere, attraverso economie di scala alla produzione, minori prezzi. Del resto, si tratta della prima finalità connessa all’istituzione dei Soggetti aggregatori. Se la possibilità di tale compattamento viene meno, cessa la stessa ragion d’essere dei (costosi) Soggetti aggragatori. Mettendo fine al paradosso di soggetti “aggregatori” che unificano la domanda, per poi ri-disaggregarla più o meno nei lotti “di provenienza”. Per fare procedure aggregate frazionate in lotti bastano, e avanzano, le vecchie e care “unioni di acquisto”. A costo zero.

Documenti correlati: Sentenza Tar Lazio 30 agosto 2016

Sentenza Tar Lazio 1345-17

articolo a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.