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Considerazioni a margine della qualificazione delle stazioni appaltanti

a cura dell’avvocato Lucio Lacerenza.

L’art. 38 del d.lgs. 50/2016 disciplina, in modo lungimirante, la qualificazione delle stazioni appaltanti. Non altrettanta attenzione si evince, tuttavia, nella puntuale regolamentazione della materia. Ma andiamo con ordine.

Primo. Ai fini della qualificazione, e quindi della iscrizione nell’apposito elenco tenuto da Anac, le cifre del processo di acquisizione ad evidenza pubblica sono (i) la capacità di programmazione e progettazione, (ii) la capacità di affidamento, (iii) la capacità di verifica sull’esecuzione e controllo dell’intera procedura (co. 3). In altri termini, indicatori necessari per garantire buon andamento, efficacia ed efficienza alla funzione di acquisto. Se questo è, non si comprende la ratio del Legislatore nel sottrarre al processo di qualificazione il Ministero delle infrastrutture, Provveditorati interregionali per le opere pubbliche, Consip, Invitalia e soggetti aggregatori, i quali infatti sono di diritto iscritti nell’elenco tenuto da Anac (co. 1).

Secondo. La qualificazione – di primaria importanza per assicurare la bontà dei processi di acquisto – nel momento in cui si scrive pare ferma allo stato di annuncio. Non v’è traccia infatti del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che avrebbe dovuto definire – entro 90 giorni dall’entrata in vigore del Codice – i requisiti tecnico organizzativi per l’iscrizione nell’elenco Anac dei soggetti qualificati (co. 2), né delle conseguenti modalità attuative di Anac (co. 6). Il ritardo rischia di ledere lo spirito della norma, ovvero garantire la qualità, l’efficienza e l’efficacia dei processi di acquisto ad evidenza pubblica. Norma che, a sommesso parere, avrebbe dovuto avere immediata applicazione, sin dall’entrata in vigore del Codice se vi volevano conseguire gli scopi prefissati. Verrebbe da dire, norma che avrebbe dovuto “anticipare” il Codice per consentirne la sua piena applicazione!

Terzo. L’emanando citato decreto dovrebbe tener conto della “professionalizzazione” delle stazioni appaltanti. Ai proclami del Legislatore della riforma circa le risorse fresche da destinare alla formazione del personale in vista delle sfide del nuovo Codice (programmazione, progettazione, adempimenti connessi alla trasparenza) non pare seguita, al momento, nessuna iniezione di danari per conseguire l’auspicata professionalizzazione, e cio’ in favore di tutte le stazioni appaltanti, anche di quelle iscritte di diritto nell’elenco Anac.

Quarto ed ultimo: i requisiti tecnico organizzativi di iscrizione all’elenco Anac, che l’art. 38 distingue in “requisisti di base” e “requisiti premianti” (co. 4). Tra primi, la presenza di strutture organizzative adeguate, il sistema di formazione e aggiornamento del personale (la “professionalizzazione” ritorna!), il numero di gare svolte, il rispetto dei tempi di pagamento verso le imprese, l’adempimento degli obblighi di comunicazione verso Anac (profilo aggiunto dal c.d. “decreto correttivo” del Codice, in discussione). Quanto ai secondi, l’attuazione delle misure anticorruzione, la presenza di sistemi di gestione della qualità conformi alla normativa ISO 9001 e per la prevenzione della corruzione conformi alla normativa ISO 37001 (aggiunto dal citato decreto correttivo), la disponibilità di tecnologie telematiche, il livello di soccombenza nel contenzioso, il rispetto dei criteri ambientali minimi. A ben vedere, si tratta di indicatori necessari per assicurare la bontà dei processi di acquisto ad evidenza pubblica. In altri termini, indicatori che dovrebbero essere osservati da tutti i soggetti acquirenti, anche da quelli iscritti di diritto nell’elenco Anac delle stazioni appaltanti qualificate.

Se quanto sopra ha un fondo di ragione, molto ancora il Legislatore dovrà meditare per far crescere un Codice “nato pretermine”.

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