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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
Misurare la corruzione è un’operazione complessa. Gli indici utilizzati, peraltro, comportano il rischio di produrre risultati imprecisi. Matura così l’esigenza internazionale di nuove misurazioni
La misurazione della corruzione nel contesto italiano: brevi premesse
La corruzione è un reato particolarmente insidioso, che corrode in maniera sotterranea e implacabile le fondamenta della pubblica amministrazione. In tal senso Giuseppe Busia, presidente dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione), ha recentemente descritto la corruzione come un «fenomeno nascosto, spesso imprevedibile e con caratteristiche che variano nel tempo, luogo e contesto». Pertanto, si può facilmente intuire la complessità della sua misurazione, a maggior ragione laddove si miri a comparare ordinamenti giuridici diversi tra loro.
Ad ogni modo, è indubbio che l’attenzione per la corruzione e i reati ad essa limitrofi resti particolarmente alta in Italia, ove – soprattutto – gli strascichi della vicenda giudiziaria di Tangentopoli e l’incessante allerta per le inflitrazioni della criminalità organizzata in materia di appalti hanno cristallizzato nell’opinione pubblica l’idea di un paese in cui il malaffare è così radicato da essere pressoché inestirpabile. Non sorprende, dunque, il poco invidiabile posizionamento che l’Italia generalmente occupa nelle classifiche dedicate a misurare la corruzione nel mondo.
In realtà, si deve notare che le classifiche più accreditate si basano su indici di rilevazione che penalizzano – rectius potrebbero penalizzare – l’Italia, con naturali ricadute sulla sua reputazione internazionale e quindi sulla sua economia.
I limiti degli indicatori attualmente utilizzati
Un caso paradigmatico è quello di Transparency International, la più nota organizzazione internazionale che, da circa trent’anni, si occupa di misurare la corruzione nel mondo. Nel redigere la propria annuale classifica, l’organizzazione si affida al cosiddetto Corruption Perceptions Index (CPI), ossia determina il tasso di corruzione di un territorio sulla base delle risposte ai questionari fornite da un campione della popolazione di riferimento. In altri termini, la misurazione della corruzione si fonda non su dati oggettivi, bensì sulla percezione che i cittadini hanno del livello di corruzione all’interno del proprio paese. Una percezione che, tuttavia, può sia sopravvalutare che minimizzare la reale entità dell’oggetto d’indagine, anche in considerazione di quanto il tema sia avvertito come prioritario.
Sul punto, nel 2019 l’Eurispses dava atto che l’Italia, in ambito OCSE, è il Paese con la più alta corruzione percepita (circa 90%). Eppure, riscontrava una netta discrepanza tra la percezione della corruzione in Italia e l’esperienza diretta o di un familiare di fatti di corruzione negli ultimi 12 mesi, un dato, quest’ultimo, che appariva «in linea con le altre nazioni sviluppate». Si scorge, cioè, una possibile distorsione tra corruzione reale e percepita.
La questione è scandagliata nel dettaglio da Giovanni Tartaglia Polcini – magistrato, componente del Comitato scientifico dell’Eurispes e consigliere giuridico presso il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale -, il quale sintetizza le criticità insite negli indicatori di natura percettiva invocando il cosiddetto “paradosso del Trocadero“, secondo cui «più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno». In sostanza, gli ordinamenti più solerti nel contrasto al malaffare tendono a essere percepiti come più corrotti, in quanto l’incessante attenzione per i fatti di corruzione lascia intendere l’esistenza di un contesto pubblico gravemente compromesso.
La tesi assume risvolti ancor più allarmanti se, come ribadito da Eurispes nell’ultimo Rapporto Italia, si considera che nel corso degli anni il CPI di Transparency «è assurto a livello internazionale a parametro di riferimento sulla affidabilità dei paesi e dei loro sistemi giuridici ed economici». La classifica, dunque, benché fondata su percezioni e non su dati necessariamente reali, oggi viene intesa come una sorta di pagella dei sistemi nazionali tout court, potendo così pregiudicarne la reputazione e gli investimenti esteri.
E’ per tali ragioni che si è fatta pressante la richiesta di correggere gli indici finora utilizzati, tentando di fornire una rappresentazione più fedele delle realtà nazionali. Ciò, evidentemente, non per l’orgogliosa pretesa di ogni paese di risalire posizioni nelle classifiche internazionali, bensì per la proficuità di una fotografia realistica nel più efficiente contrasto al fenomeno corruttivo. L’enfasi sulla mera percezione, all’opposto, espone al rischio di risposte legislative inadeguate, a maggior ragione nell’epoca del populismo penale in cui è assai facile piegare i principi costituzionali – in primis la proporzionalità della pena – alle ragioni del consenso elettorale.
Il riconoscimento internazionale del problema e le nuove prospettive
Le considerazioni fin qui richiamate sono emerse anche in ambito internazionale, essendo la lotta alla corruzione una delle priorità di ogni organizzazione tra Stati.
Una pietra miliare, in materia, è innanzitutto la Convenzione ONU contro la corruzione del 2003, la quale, firmata da 140 Stati, ha consacrato l’universalità della questione. Negli anni successivi, l’impegno internazionale nel contrasto al rischio corruttivo si è rinnovato nelle numerose conferenze organizzate dall’ONU, a riprova della crescente volontà di confrontarsi per definire soluzioni condivise e diffondere best practices. Tra le occasioni di incontro, vanno segnalate due recenti conferenze che si sono soffermate proprio sugli aspetti critici degli strumenti di misurazione della corruzione, segnatamente agli indicatori percettivi.
In primo luogo, il 31 agosto e il 1° settembre 2023 si è tenuta a Vienna la “Global Conference On Harnessing Data To Improve Corruption Measurement“, organizzata dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC), dall’Accademia Internazionale Anti-Corruzione (IACA) e dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Per il nostro paese sono intervenuti, tra gli altri, i citati Giovanni Tartaglia Polcini e Giuseppe Busia.
Durante l’incontro, esponenti dei governi, della società civile e del mondo accademico hanno sottolineato la necessità di sviluppare indicatori affidabili, che assicurino solidità scientifica, risultati oggettivi e la possibilità di un loro uso globale, al fine di migliorare la cooperazione internazionale nella lotta alla corruzione. I suggerimenti emersi sono poi confluiti nei “Principi di Vienna” (“Vienna Principles Towards a Global Framework for the Measurement of Corruption“), ove viene esplicitamente precisato, recependo le doglianze italiane, che «un aumento nel numero dei procedimenti non consente di concludere per un aumento o una diminuzione del livello di corruzione, ma semplicemente indica un aumento dei livelli di applicazione della legge». Sotto questo profilo, va notato che già durante la Conferenza ONU contro la corruzione ospitata da Abu Dhabi nel 2019, come ricordato dal ministro Nordio, l’Italia presentò una risoluzione che mirava a promuovere lo sviluppo di indicatori oggettivi, chiedendo di valorizzare «la risposta della giustizia penale ai reati di tipo corruttivo».
L’ultima tappa, nel percorso di ridefinizione degli indici di misurazione della corruzione, si è tenuta pochi giorni fa ad Atlanta, sede della decima sessione della Conferenza ONU contro la corruzione, che ha visto la partecipazione record di oltre 2.000 rappresentanti governativi provenienti da 160 paesi. Per l’Italia erano presenti il ministro della Giustizia Carlo Nordio e, nuovamente, Tartaglia Polcini, i quali hanno rimarcato la necessità di indicatori oggettivi che non pregiudichino gli interessi degli Stati sulla base di mere percezioni. La conferenza si è quindi conclusa con l’adozione della risoluzione “Atlanta 2023: promuovere l’integrità, la responsabilità e la trasparenza nella lotta alla corruzione”, che fissa tra gli obiettivi quello di strutturare un quadro statistico (“UN statistical framework“) il quale, nel misurare la corruzione, privilegi l’utilizzo di indicatori cosiddetti “giurimetrici” in luogo degli indicatori percettivi, sviluppando metodologie che perseguano l’oggettività dei risultati ottenuti.
Sembra così definitivamente tracciata la via internazionale verso un superamento delle rilevazioni fondate su mere percezioni.
Verso l’oggettività delle misurazioni
Dunque, preso atto che le misurazioni fondate su indici percettivi comportano l’ineliminabile rischio di fornire dati distorti – e quindi poco utili a delineare strumenti di contrasto efficaci -, è divenuta impellente l’individuazione di nuovi metodi di misurazione. La necessità di un cambio di paradigma è riconosciuta e sollecitata anche in campo internazionale, ove si mira a reperire indicatori che offrano soprattutto dati comparabili, un aspetto particolarmente rilevante nell’ottica di fissare degli standard comuni. Occorre perciò soffermarsi sugli indici che, attualmente, si presentano idonei al raggiungimento dei suddetti obiettivi.
Nel corso della citata Conferenza di Vienna, il presidente dell’ANAC ha evidenziato come l’autorità amministrativa italiana abbia già elaborato degli indici in tal senso, peraltro conformi all’”UNODC’s statistical framework to measure corruption“, l’odierno punto di riferimento a livello mondiale. Ad esempio, in materia di appalti l’ANAC ha individuato 17 indicatori, utilizzabili per calcolare le soglie di rischio all’interno di ogni Comune italiano, tra i quali figurano gli scostamenti dei costi e dei tempi delle opere, le offerte escluse o gli inadempimenti delle opere aggiudicate. Nel medesimo settore è poi celebre l’indice Golden-Picci, il quale esamina il costo stanziato per specifiche opere pubbliche al fine di ravvisare eventuali difformità rispetto ai costi previsti per opere simili nel territorio considerato.
Più in generale, nei consessi internazionali l’Italia ha posto l’enfasi sulle statistiche giudiziarie, chiedendo di rivalutare l’impegno nel perseguimento dei reati di corruzione. Come si è visto in precedenza, infatti, l’intensità dell’azione penale, anziché essere valorizzata, avrebbe l’effetto paradossale di amplificare la percezione dei cittadini rispetto alla reale situazione corruttiva nazionale, a discapito della propria credibilità sul piano internazionale.
E’ pertanto opportuno esplorare l’implementazione dei predetti strumenti. D’altro canto, si deve ammettere che gli indicatori oggettivi, sebbene garantiscano dati più attendibili, ad oggi restano piuttosto eterogenei nonché esposti a limiti intrinseci (si pensi alle statistiche giudiziarie, giocoforza succubi dei dilatati tempi processuali). Di conseguenza non pare possibile, quantomeno nel breve periodo, prescindere del tutto dagli indicatori percettivi, risultando frattanto ottimale l’utilizzazione di un indicatore composito che corrobori le misurazioni percettive con i dati oggettivi già disponibili. Ciò fino all’auspicata predisposizione di indicatori di natura oggettiva riconosciuti e condivisi; oppure, come si dirà a breve, fino a una rigenerazione dell’essenza delle classifiche.
Considerazioni finali
Tanto premesso, al di là delle recriminazioni sui risultati fallaci delle classifiche internazionali, sarebbe fatale una sottovalutazione dei rischi corruttivi in Italia. Va in proposito segnalato che Raffaele Cantone, allora presidente dell’ANAC, pur riconoscendo le criticità insite nel CPI di Transparency, dubitava che il dato ivi indicato fosse distante dalla realtà.
Ciò nondimeno, è innegabile che il progressivo ricorso a indicatori di natura oggettiva resti più proficuo delle misurazioni basate su mere percezioni. Soltanto una precisa comprensione del fenomeno corruttivo, infatti, consente di mettere a punto gli strumenti più idonei al suo contrasto.
Peraltro, il mutamento che appare realmente decisivo non è tanto quello degli indicatori, quanto quello delle prospettive. In effetti, ciò che emerge dai citati confronti internazionali è un vero e proprio rinnovamento degli scopi delle misurazioni, a prescindere dagli indicatori utilizzati: non più stilare classifiche, bensì individuare soluzioni efficaci ed esportabili negli altri paesi. Ne consegue un ridimensionamento del valore intrinseco delle classifiche, le quali dovrebbero piuttosto ispirare collaborazioni tra paesi più e meno virtuosi.
D’altronde, la corruzione è un problema globale, che impone la definizione di strategie comuni da attuare collettivamente. (fonte: Studio Cataldi)