Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi
L’esercizio di poteri autoritativi o negoziali e l’accertamento in concreto del conflitto di interessi
Il Consiglio di Stato, con la recente sentenza del 27 novembre 2020 n. 7462, si è occupato del c.d. divieto di pantouflage e del conflitto di interessi nell’ambito dell’aggiudicazione di un appalto pubblico.
Come noto, l’art. 53, comma 16ter, del D.lgs. 165/2001 stabilisce che “I dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, non possono svolgere, nei tre anni successivi alla cessazione del rapporto di pubblico impiego, attività lavorativa o professionale presso i soggetti privati destinatari dell’attività della pubblica amministrazione svolta attraverso i medesimi poteri. I contratti conclusi e gli incarichi conferiti in violazione di quanto previsto dal presente comma sono nulli ed è fatto divieto ai soggetti privati che li hanno conclusi o conferiti di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni con obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti e accertati ad essi riferiti.”.
La previsione normativa – denominata divieto di pantouflage dal termine usato per gli alti funzionari pubblici francesi che ottengono ad un certo punto della carriera incarichi lavorativi da soggetti privati – va interpretata nel senso che gli ex dipendenti pubblici non possono nei tre anni successivi assumere rapporti di lavoro privati o incarichi professionali presso soggetti privati destinatari dell’attività del soggetto pubblico già datore di lavoro di tali funzionari.
La ratio dell’istituto del pantouflage è quella di evitare che durante il periodo di servizio il dipendente possa artatamente precostituirsi delle situazioni lavorative vantaggiose e così sfruttare a proprio fine la sua posizione e il suo potere all’interno dell’Amministrazione per ottenere un lavoro “attraente” in un’impresa privata con cui entra in contatto. La norma prevede quindi una limitazione della libertà negoziale per un determinato periodo successivo alla cessazione del rapporto per eliminare la “convenienza” di accordi fraudolenti (Delibera ANAC, n. 917 del 2 ottobre 2019).
La disposizione contempla, in caso di violazione del divieto ivi sancito, le specifiche sanzioni della nullità del contratto e del divieto per i soggetti privati che l’hanno concluso o conferito di contrattare con le pubbliche amministrazioni per i successivi tre anni, con contestuale obbligo di restituzione dei compensi eventualmente percepiti ed accertati ad essi riferiti (Delibera ANAC 917/2019 cit.).
Nell’ambito degli appalti pubblici tale disposizione concorre a neutralizzare la possibilità di incorrere nel c.d. conflitto di interessi di cui all’art. 42 D.Lgs. 50/2016, ossia nella situazione in cui la sussistenza di un interesse personale in capo ad un soggetto operante in nome o per conto della stazione appaltante che interviene a qualsiasi titolo nella procedura di gara, o potrebbe in qualsiasi modo influenzarne l’esito, è potenzialmente idonea a minare l’imparzialità e l’indipendenza della stazione appaltante nella procedura di gara. In altre parole, l’interferenza tra la sfera istituzionale e quella personale del funzionario pubblico si ha quando le decisioni che richiedono imparzialità di giudizio siano adottate da un soggetto che abbia, anche solo potenzialmente, interessi privati in contrasto con l’interesse pubblico (Linee Guida ANAC n. 15).
A chiusura, l’art. 80, comma 5 lett. d) del Codice del 2016 esclude la partecipazione alla procedura selettiva dell’operatore economico che “determini una situazione di conflitto di interesse ai sensi dell’articolo 42, comma 2, non diversamente risolvibile”, e se il conflitto di interessi è evidenziato in una fase più avanzata del procedimento di gara, od addirittura successivamente all’aggiudicazione, non può che trovare applicazione la misura demolitoria, che, secondo la regola generale, colpisce il provvedimento conclusivo della procedura, viziato in via derivata dal conflitto di interessi (Cons. Stato, sez. V, n. 7389/2019).
La sentenza in commento si inserisce nel quadro normativo e giurisprudenziale appena menzionato contribuendo a delineare l’ambito di applicazione del c.d. divieto di pantouflage e a definire la portata del conflitto di interessi.
Nel caso di specie la stazione appaltante aveva indetto gara per la concessione in uso di un’area di sosta e del relativo immobile, in cui era ubicato un bar, nonché dei servizi correlati.
In primo grado il TAR Veneto, con sentenza n. 1021/2019, aveva confermato la legittimità dell’aggiudicazione impugnata dal ricorrente.
La sentenza veniva appellata in base alla tesi secondo cui la stazione appaltante avrebbe violato il divieto di pantouflage in quanto sia l’Amministratore unico che uno dei soci della società aggiudicataria erano al contempo dipendenti dell’Amministrazione, essendo addetti alla gestione del parcheggio oggetto della concessione stessa, nonché risultavano essere in un rapporto di colleganza con i membri della Commissione giudicatrice (tutti interni alla stazione appaltante), tale da incidere – indebitamente – sulla valutazione delle offerte.
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello.
Il Collegio ha osservato che: “l’art. 53 co. 16 citato e non integrato per tale parte dal d. lgs. 39 del 2013, stabilisce che il divieto ha valore per i dipendenti che, negli ultimi tre anni di servizio, hanno esercitato poteri autoritativi o negoziali per conto delle pubbliche amministrazioni – ora anche per gli enti privati”.
Sulla base di tale disposizione il Giudice ha escluso, nel caso concreto, l’applicazione del divieto di pantouflage in quanto i due dipendenti della stazione appaltante in questione non erano in possesso di quei poteri autoritativi o negoziali che impediscono assunzioni o incarichi da parte di soggetti privati, svolgendo l’incarico di addetti alla gestione del parcheggio oggetto della concessione.
Alla luce dell’art. 42 D.Lgs. 50/2016 il Collegio ha statuito, inoltre, che il conflitto di interessi non può sussistere in via astratta basandosi su un pregresso rapporto di colleganza in cui non era nemmeno dimostrato se i componenti della commissione di gara lavoravano nello stesso ufficio dei rappresentanti dell’aggiudicataria, ma dovrebbe fondarsi su indizi concreti atti a dimostrare la sussistenza di un interesse comune tra concorrenti e commissari.
Tale pronuncia si inserisce in quel solco giurisprudenziale secondo cui “la nozione del conflitto di interessi ex art. 42, comma 2, d.lg. n. 50/2016 nell’affidamento di una determinata attività ad un funzionario che, contestualmente, sia anche titolare di interessi personali o di terzi non può essere predicata in via astratta, dovendo essere accertata in concreto sulla base di prove specifiche” (Cons. Stato, V, 6 maggio 2020 n. 2863; id., 17 aprile 2019 n. 2511).
In conclusione, quanto al conflitto di interessi, se è vero che per le sue descritte caratteristiche funzionali l’art. 42 cit. è una norma lato sensu “di pericolo”, in quanto le misure che essa contempla opererebbero per il solo pericolo di pregiudizio che la situazione conflittuale può determinare (così, Cons. Stato, sez. III, n. 355/2019 e sez. V, n. 3048/2020), la pronuncia in esame afferma, tuttavia, la necessità che tale situazione di conflitto sia verificata in concreto, alla luce di indizi e prove specifiche che il ricorrente ha l’onere di produrre in giudizio. Tale statuizione genera, tuttavia, delle perplessità in merito alla consistenza di tale onere probatorio che potrebbe risolversi, per le caratteristiche della fattispecie, in una probatio diabolica a carico del ricorrente.
In merito al divieto di pantouflage il Consiglio di Stato afferma, condivisibilmente, che per integrare tale fattispecie non è sufficiente che il soggetto che opera in nome e per conto dell’Amministrazione sia al contempo titolare di un interesse privato confliggente con l’interesse pubblico, ma è necessario che abbia quei poteri autoritativi e negoziali idonei a indirizzare l’attività amministrativa a vantaggio dei suoi interessi privati; in buona sostanza, il Collegio, in aderenza alla lettera della disposizione, reputa necessario limitare la portata soggettiva della norma a quei soggetti effettivamente dotati di tali prerogative negoziali e di poteri autoritativi nell’ambito dell’Amministrazione.
Riproduzione riservata