Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
Avv. Anna Cristina Salzano
Il Consiglio di Stato, con sentenza 8718/2023 del 6 ottobre 2023, si è pronunciato in merito alla natura sostanziale delle clausole immediatamente escludenti, in relazione ad un’oggettiva insostenibilità economica della base d’asta proposta, alla luce dei principi a baluardo degli effetti distorsivi sul mercato.
Nello specifico, si trattava di una procedura aperta per l’affidamento in “concessione della progettazione, realizzazione, manutenzione e conduzione di un servizio di telecardiologia per la gestione dell’emergenza cardiologica ospedaliera e territoriale e di quella ordinaria del servizio di elettrocardiografia ospedaliera e territoriale e dei reparti di cardiologia delle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali dell’ASP di Cosenza”, che vedeva l’amministrazione appellante reiterare le censure mosse in primo grado concernenti, essenzialmente, nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso proposto dalla società ricorrente in quanto carente di interesse non avendo partecipato alla gara.
L’appellante infatti, soccombente in primo grado, si difendeva sostenendo che le statuizioni del Giudice di prime cure, laddove si dichiarava che l’appalto venisse rimesso sul mercato per essere reso correttamente contendibile sulla base di regole di gara legittime e accessibili, fossero errate in quanto “l’insostenibilità economica denunciata dalla ricorrente non potrebbe essere considerata sul piano processuale alla stregua di una clausola immediatamente escludente poiché non inciderebbe con assoluta ed oggettiva certezza sull’interesse delle imprese”.
Invero, le doglianze mosse in tema di legittimazione processuale di un operatore economico non partecipante ad una procedura di gara attingono pienamente al filone dottrinale – del tutto conforme alla più recente giurisprudenza – che vede attribuire al bando di gara la natura di atto amministrativo che, in quanto tale, restringe i rimedi impugnatori ai mezzi ed ai soggetti previsti secondo le regole generali predisposte in materia di atti della pubblica amministrazione, divergendo pertanto da quel più libero raggio di azione previsto per gli atti normativi. Evidente appare, infatti, come la qualificazione amministrativa influisca notevolmente sul regime impugnatorio non avendo, proprio a differenza di quegli atti normativi prima anticipati, una portata immediatamente lesiva nei confronti di un’indistinta generalità di soggetti, limitandosi al contrario a dispiegare i propri effetti esclusivamente nei confronti di quei soggetti specifici che abbiano partecipato alla procedura di affidamento e che abbiano, pertanto, assunto la qualifica di “concorrenti”.
Da evidenziarsi, infatti, che regola generale è quella per cui “soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnarne l’esito (essendo titolare di una posizione differenziata) e che i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione” escludendosi, pertanto, la possibilità di agire in giudizio indistintamente a tutti coloro che non abbiano partecipato e che, conseguentemente, non abbiano assunto la qualifica di concorrenti. (così TAR Milano, Sez. II, n. 343/2023; in senso conforme, Ad. Plen., n. 4/2018). In buona sostanza, non si condivide la legittimazione processuale a tutti coloro i quali non abbiano perlomeno presentato domanda di partecipazione alla procedura di affidamento nei confronti della quale intendono agire.
Orbene, a corollario di quanto appena evidenziato, è purtuttavia vero che la posizione differenziata degna di tutela e, pertanto, legittimante in giudizio si manifesta anche qualora si rilevi un vizio già nel bando di gara, tanto da precludere ab origine l’accesso dell’operatore economico interessato alla competizione pubblica. È questa l’ipotesi delle cosiddette “clausole immediatamente escludenti”.
Qualora, infatti, la lex specialis di gara preveda, in una delle sue articolazioni, una condizione di partecipazione tale da “impedire, in modo oggettivo e macroscopico, a un normale operatore economico di formulare un’offerta corretta, ossia […] di presentare la domanda di partecipazione” (C. Stato, Sez. V, n. 1736/2019), si verifica un’ipotesi di legittimazione dell’operatore economico sostanzialmente pretermesso ad agire in giudizio per impugnare il bando viziato in quanto colpito da quelle “clausole immediatamente escludenti ovvero che impediscono, da sole, la partecipazione alla gara e la presentazione di un’offerta”. Evidente, pertanto, come le ipotesi legittimanti si articolino, da un lato, in quelle prescrizioni della lex specialis tali da qualificarsi quali clausole immediatamente escludenti in senso stretto e, dall’altro lato, in quella particolare caratterizzata dal fatto che “gli elementi posti a base di gara dalla stazione appaltante siano del tutto inidonei a consentire alle imprese partecipanti di formulare compiutamente delle offerte tali da garantire, compatibilmente con il grado di alea economica proprio dell’appalto, una possibilità di utile d’impresa”.
Nel caso di specie, infatti, l’effetto escludente fondamento dell’interesse ad agire da parte della ricorrente società si configurava non già quale specifica condizione della lex specialis bensì giaceva nell’inopportunità alla oggettiva proficua partecipazione della stessa alla gara “alla luce delle risultanze della c.t.u. appositamente disposta, [la quale] ha rilevato la non sostenibilità economica dell’appalto”. In buona sostanza, prevedendosi una base d’asta caratterizzata da un’assoluta insostenibilità economica, si verificavano condizioni oggettivamente impeditive alla partecipazione di qualunque operatore economico in quanto non solamente non si sarebbe “coperto il costo dell’investimento inziale” ma si sarebbe anche “determinat[a] una perdita annua” di rilevante entità, tale da rendere antieconomica la partecipazione. E ciò sarebbe stato anche in relazione alle ulteriori censure mosse dall’appellante in riferimento alla “possibilità di proroga per un anno del contratto” nonché dalla possibilità di “accesso alle misure di premialità fiscale” previste in capo alla società vincitrice in quanto meri “elementi occasionali e ipotetici del rapporto”, come tali irrilevanti ai fini della diversa qualificazione della base d’asta come “sostenibile”.
A non diversa conclusione di obiettiva inidoneità degli atti di gara impugnati si giunge in relazione all’erronea qualificazione giuridica di “concessione di servizi” assegnata dall’amministrazione in luogo del meno economicamente rilevante “appalto di servizi” in quanto, “potendo [la prima] anche implicare la presenza di introiti derivanti dall’erogazione del servizio al pubblico qui in tutta evidenza insussistenti”, evidente appare la riprovata ricaduta negativa sulla sostenibilità economica dell’appalto.
Coerente appare a questo punto quanto prima evidenziato, laddove la portata immediatamente escludente si possa pertanto rilevare non solamente in quelle clausole che prescrivono requisiti talmente stringenti da condurre a una quasi certa esclusione dalla competizione ma anche quando la legge di gara “preveda una base d’asta insufficiente alla copertura dei costi o alla remunerazione del capitale impegnato per l’esecuzione della commessa ovvero […] escluda un sia pur minimo margine di utile ed, a maggior ragione, […] comporti l’esecuzione in perdita” (così Ad. Plen., n. 4/2018; ex multis, C. Stato, Sez. III, n. 3191/2022, C. Stato, Sez. V, n. 284/2021).
In conclusione, prendendo atto che la valutazione della sostenibilità economico-finanziaria dell’appalto sia da effettuarsi al netto di tutte quelle “circostanze ed elementi valutativi […] che potrebbero rilevare legittimamente per l’attribuzione di punteggio e la graduazione delle offerte, ma non anche per la corretta definizione della base d’asta della gara” in quanto “evenienze del tutto ipotetiche e incerte”, si giunge agevolmente a sostenere che il carattere escludente non solamente sia da valutarsi “ex ante, sulla base dell’esclusiva considerazione dei suoi contenuti, indipendentemente da che cosa poi accada nel concreto svolgersi della procedura selettiva, ove questa abbia corso” ma soprattutto – indipendentemente dall’etichetta formale di clausola immediatamente escludente – alla luce della natura sostanziale della previsione lesiva della lex specialis la quale “deve porre con immediata e oggettiva evidenza, nei confronti di tutti indistintamente gli operatori economici, l’astratta impossibilità per un qualsiasi operatore “medio” di formulare un’offerta economicamente sostenibile (ossia astrattamente idonea a produrre – pur nella normale alea contrattuale – un utile derivante dall’esecuzione del contratto)” (in senso conforme, TAR Milano, Sez. II, n. 343/2023).