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Equivalenza terapeutica tra farmaci con principi attivi diversi: ricercare equilibrio tra diritto, scienza e spesa sanitaria

Un dibattito tra esperti a favore di una riforma normativa e regolamentare, in grado di definire in maniera più chiara, trasparente ed equilibrata la cornice di riferimento.

L’equivalenza terapeutica va definita con criteri scientifici rigorosi e in modo trasparente e la scelta non può essere condizionata esclusivamente da esigenze di risparmio. L’attuale assetto normativo e regolatorio in Italia, oltre a presentare potenziali incompatibilità con il quadro comunitario e costituzionale, presenta lacune significative in termini di scientificità e trasparenza. È quanto hanno voluto sottolineare gli esperti intervenuti recentemente all’incontro organizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con la Camera degli Avvocati Amministrativisti, il sostegno dell’Italian American Pharmaceutical Group (IAPG) e del Gruppo Europeo e Nipponico di Farmindustria, sull’attuale assetto normativo che regola la valutazione dell’equivalenza terapeutica di farmaci contenenti principi attivi diversi.

Dal confronto tra i giuristi è emerso in modo chiaro che le regole stabilite e applicate da Aifa, attraverso la Determina 818 del 2018, sembrano evidenziare aree di discordanza con il quadro normativo comunitario e costituzionale nazionale. È necessario un migliore contemperamento di diritti e interessi in gioco (obiettivi di sostenibilità, tutela e remunerazione dell’innovazione, diritti dei pazienti), e va comunque garantita una maggiore scientificità e trasparenza nelle procedure e nelle decisioni adottate da parte degli organi competenti. Secondo gli esperti, norme più equilibrate, più trasparenti e più rigorose dal punto di vista scientifico, potrebbero meglio assicurare l’autonomia decisionale dei medici e, con essa, la tutela della salute dei pazienti. La scelta della terapia è e dovrebbe rimanere una responsabilità del medico curante e si basa sulle caratteristiche di ciascun paziente. Limitare le opportunità terapeutiche può avere ripercussioni sulla qualità di vita di alcuni pazienti e ridurre, in alcuni casi, l’aderenza alle terapie.

“L’opinabilità del giudizio di equivalenza terapeutica e le lacune normative che regolano la procedura di valutazione dell’Aifa hanno determinato e determinano, inoltre, un frequente ricorso alla Giustizia Amministrativa, che viene chiamata ad esprimersi su un tema molto complesso e ricco di implicazioni tecniche e oggetto di un difficile bilanciamento tra una molteplicità di valori costituzionali”, ha spiegato Francesco Saverio Marini, Professore Ordinario di Diritto Pubblico, Università di Roma Tor Vergata e Consigliere di Presidenza della Corte dei Conti, precisando che “Non si può ignorare, infatti, che a fronte delle esigenze di contenimento della spesa pubblica, le decisioni dell’Aifa e del giudice amministrativo sull’equivalenza tra farmaci possono avere ricadute significative non solo sull’autonomia prescrittiva dei medici e quindi sulla salute dei pazienti, ma anche sul rispetto della tutela brevettuale, disincentivando la ricerca, lo sviluppo e la produzione di terapie innovative nel nostro Paese”.

Anche rispetto al contesto comunitario e internazionale l’attuale normativa – hanno sottolineato gli esperti nel corso dei lavori – evidenzia lacune in termini di scientificità e trasparenza. Infatti, gli standard seguiti dall’ente regolatorio europeo Ema per il rilascio delle autorizzazioni per i farmaci biosimilari (farmaci biologici validati come biosimilari al farmaco originator non più coperto da brevetto) sono ben più rigorosi e stringenti di quelli che l’Agenzia Italiana del farmaco ha stabilito per poter dichiarare terapeuticamente equivalenti farmaci che hanno principi attivi completamente diversi tra loro.

“La disciplina applicabile nell’Unione Europea e in molti altri ordinamenti internazionali evidenzia come il nostro Paese abbia adottato un approccio che non trova riscontri in altri Stati, rappresentando una sorta di anomalia, – spiega Vincenzo Salvatore, Professore ordinario di Diritto dell’Unione europea presso l’Università degli Studi dell’Insubria. – In Italia si è voluto introdurre una metodologia di valutazione di equivalenza terapeutica tra farmaci a base di principi attivi diversi nel perseguimento prevalente di obiettivi di contenimento della spesa farmaceutica. Si rende quindi necessario approfondire se questo consente il corretto contemperamento dei diversi interessi in gioco, tutti costituzionalmente garantiti”.