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False dichiarazioni e automatica decadenza dai benefici, l’ordinanza del Tar Puglia

Il Tar di Lecce, con l’ordinanza n. 1346 del 17 settembre 2018, ha sollevato la questione di costituzionalità sull’automatica perdita dei benefici in caso di falsa autodichiarazione: l’ordinanza di rimessione si pronuncia sull’incostituzionalità dell’art.75 del D.P.R 445/2000 perché sanziona le dichiarazioni false indipendentemente dalla gravità e dalla colpa.

L’articolo 75 (“Decadenza dai benefici”) del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa”) dispone che: “1. Fermo restando quanto previsto dall’articolo 76, qualora dal controllo di cui all’articolo 71 emerga la non veridicità del contenuto della dichiarazione, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base della dichiarazione non veritiera”.

Prosegue l’ordinanza: «La granitica giurisprudenza formatasi in “subiecta materia” (ex plurimis, Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 9 aprile 2013, n. 1933) ha osservato che il su riportato art. 75 del D.P.R. n. 445/2000 si inserisce in un contesto in cui alla dichiarazione sullo status o sul possesso di determinati requisiti è attribuita funzione probatoria, da cui il dovere del dichiarante di affermare il vero. Ne consegue che la dichiarazione “non veritiera” al di là dei profili penali, ove ricorrano i presupposti del reato di falso, nell’ambito della disciplina dettata dalla L. n. 445 del 2000, preclude al dichiarante il raggiungimento dello scopo cui era indirizzata la dichiarazione o comporta la decadenza dall’utilitas conseguita per effetto del mendacio”.

Pertanto, In tale contesto normativo, in cui la “dichiarazione falsa o non veritiera” opera come fatto, perde rilevanza l’elemento soggettivo ovvero il dolo o la colpa del dichiarante (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013), “poiché, se così fosse, verrebbe meno la ratio della disciplina che è volta a semplificare l’azione amministrativa, facendo leva sul principio di autoresponsabilità del dichiarante” (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 27 aprile 2012, n. 2447): sicchè ogni eventuale ulteriore circostanza, “senz’altro rilevante in sede penale, in quanto ostativa alla configurazione del falso ideologico, attesa la mancanza dell’elemento soggettivo, ovvero della volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e della consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non assume rilievo nell’ambito della L. n. 445 del 2000, in cui il mendacio rileva quale inidoneità della dichiarazione allo scopo cui è diretto” (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, cit., n. 1933/2013).

Ai sensi della normativa generale di cui all’art. 75 del D.P.R. n. 445 del 2000, quindi, “la non veridicità di quanto autodichiarato rileva sotto un profilo oggettivo e conduce alla decadenza dei benefici ottenuti con l’autodichiarazione non veritiera”; così la sent. 13 settembre 2016, n. 9699)(T.A.R. Lazio, Roma, Sezione Terza ter, 24 maggio 2017, n. 6207), “senza che tale disposizione lasci margine di discrezionalità alle Amministrazioni (cfr. ad es. CdS 1172\2017)” (T.A.R. Liguria, Genova, Sezione Prima, 14 giugno 2017, n. 534).

In conclusione:

– per un verso, il giudizio di ragionevolezza della norma di legge deve essere necessariamente ancorato al criterio di proporzionalità, rappresentando quest’ultimo “diretta espressione del generale canone di ragionevolezza (ex art. 3 Cost.)” (Corte Costituzionale, 1° giugno 1995, n. 220);

– per altro verso, la ragionevolezza va intesa come forma di razionalità pratica (tenuto conto, appunto, “delle circostanze e delle limitazioni concretamente sussistenti” – Corte costituzionale, cit., n. 1130/1988), non riducibili alla mera (e sola) astratta razionalità sillogistico – deduttiva e logico – formale, laddove (invece) la ragione (pratica e concreta) deve essere aperta all’impatto che su di essa esplica il caso, il fatto, il dato di realtà (che diventa esperienza giuridica), solo così potendo (doverosamente) valutarsi l’adeguatezza del mezzo al fine, la ragionevolezza “intrinseca”, in uno agli (eventuali) esiti ed effetti sproporzionati e/o paradossali che possono concretamente derivare da una regola generale apparentemente ed astrattamente logica.

In tal senso, il giudizio di ragionevolezza, lungi dal limitarsi alla (sola) valutazione della singola situazione oggetto della specifica controversia da cui sorge il giudizio incidentale di legittimità costituzionale, si appalesa idoneo (traendo spunto da quest’ultima) a vagliare gli effetti della Legge sull’intera realtà sociale che la Legge medesima è chiamata a regolare, anche in funzione dell’“esigenza di conformità dell’ordinamento a valori di giustizia e di equità” … ed a criteri di coerenza logica, teleologica …. , che costituisce un presidio contro l’eventuale manifesta irrazionalità o iniquità delle conseguenze della stessa» (sentenza n. 87 del 2012) (Corte Costituzionale, sentenza 10 giugno 2014, n. 162).

Documenti correlati: Ordinanza Tar Puglia – Lecce, n. 1346 del 17 settembre 2018