Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Il controllo giudiziario e le interdittive antimafia: profili innovativi nelle cause di esclusione automatica del nuovo Codice dei contratti pubblici

di Lucia Di Ciommo

Abstract

Il presente lavoro si pone l’obiettivo di analizzare le novità del nuovo codice dei contratti pubblici che hanno destato interesse in tema di cause di esclusione automatiche dalla procedura di gara.

All’uopo sono state prese in considerazione le funzioni del provvedimento di interdittiva antimafia, inteso come fattore escludente dell’operatore economico dalla procedura di gara e le deroghe di nuovo conio che sono state elaborate.

Altresì, l’elaborato propone di analizzare l’istituto del controllo giudiziario previsto dall’art. 34 bis del d.lgs. 159/2011 inteso come intromissione pubblica nella gestione d’impresa alle sole aree e settori contaminati dalla criminalità organizzata e i suoi profili di novità in tema di partecipazione nelle procedure ad evidenza pubblica.

This work aims to analyze the innovations of the new public contracts code that have aroused interest in terms of automatic exclusion causes from the tender procedure.

For this purpose, the functions of the anti-mafia disqualification provision were taken into consideration, understood as a factor excluding the economic operator from the tender procedure and the newly minted exemptions that were developed.

Furthermore, the thesis proposes to analyze the institution of judicial control provided for by the art. 34 bis of Legislative Decree 159/2011 intended as public interference in business management only in areas and sectors contaminated by organized crime and its new profiles in terms of participation in public procedures.

Sommario

  1. Introduzione. Interdittive antimafia e contratti pubblici. – 1.1. Natura e origini storiche dell’interdittiva antimafia. 2. Il controllo giudiziario. 3. Considerazioni conclusive
  1. IntroduzioneInterdittive antimafia e contratti pubblici.

Nel nostro ordinamento il contrasto alla criminalità organizzata è attuato anche attraverso il ricorso alle cause di esclusione in materia di contratti pubblici.

Il legislatore ha dettato una disciplina innovativa all’interno del Codice dei contratti pubblici anche in tema di cause di esclusione “automatiche” e cause di esclusione “non automatiche” con l’intento di selezionare drasticamente i soggetti legittimati a partecipare alle procedure di evidenza pubblica.

A differenza del vecchio art. 80 del D.lgs. n. 50/2016, che racchiudeva indistintamente al proprio interno tutte le cause di esclusione, il vigente Codice – in un’ottica chiarificatrice e di riordino – suddivide tali cause in distinti articoli, a seconda del loro carattere.

In particolare, vengono disciplinate in separate disposizioni:

  • le cause di esclusione “automatica”, ossia quelle che trovano applicazione in via diretta, privando la stazione appaltante di qualsivoglia margine valutativo circa l’integrazione dei presupposti per la partecipazione alla gara;
  • le cause di esclusione “non automatica”, rispetto alle quali resta in capo alla stazione appaltante l’apprezzamento in merito alla sussistenza della causa di esclusione[1].

Transitando nella disamina delle innovazioni, l’art. 94 del nuovo Codice disciplina le cause di esclusione automatica presentandosi quasi identico all’art. 80 d.lgs. n. 50/2016.

Le cause di esclusione “automatica” si dividono nelle seguenti categorie:

  • quelle derivanti dalle condanne con sentenza definitiva o decreto penale di condanna divenuto irrevocabile per una serie di reati (tra cui, quelli associativi, molte fattispecie contro la Pubblica Amministrazione – dalla corruzione alla turbata libertà degli incanti, alla frode nelle pubbliche forniture – le false comunicazioni sociali, il riciclaggio, nonché “ogni altro delitto[diverso da quelli espressamente  indicati]da cui derivi, quale pena accessoria, l’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione”) (comma 1);
  • quelle legate alla sussistenza di una causa di decadenza, di sospensione o divieto di cui all’art. 67 del Codice Antimafia, nonché del riscontro di un tentativo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare scelte d’impresa (comma 2);
  • quelle connesse all’applicazione di sanzioni interdittive, come quelle di cui al D.lgs. n. 231/2001 e al D.lgs. n. 81/2008 (comma 5, lett. a);
  • quelle relative al mancato rispetto dell’obbligo di certificazione in merito all’osservanza delle norme che disciplinano il diritto al lavoro dei disabili ex 17 L. n. 68/1999 (comma 5, lett. b);
  • quelle che riguardano la mancata produzione, da parte di chi vi è tenuto, del rapporto sulla situazione del personale ai sensi del codice delle pari opportunità, nelle procedure afferenti agli investimenti pubblici finanziati, anche in parte, con le risorse previste dai regolamenti UE sullo strumento di sostegno tecnico e il dispositivo per la ripresa e la resilienza (comma 5, lett c);
  • quelle relative alla sottoposizione a procedure di liquidazione, salvo che non siano stati adottati particolari provvedimenti come il concordato con continuità aziendale (comma 5, lett. d);
  • quelle derivanti dall’iscrizione dell’operatore economico nel casellario informatico dell’ANAC (comma 5, lett. e ed f);
  • quelle relative a violazioni gravi, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali, salvo particolari casi di estinzione del debito prima della scadenza del termine di presentazione dell’offerta (comma 6).

Quanto alle numerose cause che comportano l’esclusione automatica dalla procedura di gara, ritroviamo le misure interdittive antimafia.

Non è superfluo ricordare che il provvedimento di interdittiva antimafia determina una particolare forma di incapacità giuridica (il c.d. ergastolo imprenditoriale[2]), e dunque l’insuscettività del soggetto (persona fisica o giuridica) che di esso è destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinano (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la pubblica amministrazione[3]. Ne consegue come effetto diretto l’esclusione dei soggetti interdetti dalla possibilità di partecipare a gare d’appalto ovvero di stipulare contratti pubblici.

Tuttavia, l’interdittiva antimafia nella riforma di nuovo conio diventa una causa di esclusione in senso relativo e non più assoluto; invero, ove l’impresa interdetta venga ammessa al controllo giudiziario, ex art. 34-bis del d.lgs. 159/2011, ne consegue una inoperatività della causa di esclusione fino alla data dell’aggiudicazione e dunque una libera partecipazione alla procedura di gara.

Giova sottolineare che già nell’atto di segnalazione Anac n. 3 del 27 luglio 2022 (e nelle successive proposte emendative del 25 luglio 2022) si era fatta presente l’opportunità di allineare l’ambito soggettivo di applicazione del requisito previsto dall’art. 80, comma 2, decreto legislativo n. 50/2016, rispetto ai soggetti sottoposti alle verifiche antimafia ai sensi dell’art. 85 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione (d.lgs. n. 159/2011) [4]”.

In questo caso può sostenersi che vi è una deroga legislativa espressa al principio di continuità del possesso dei requisiti, in quanto il requisito dell’assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa può considerarsi “sanato” dall’adozione del provvedimento del giudice di ammissione al controllo giudiziario, che interviene entro la data dell’aggiudicazione. Il legislatore ha, tuttavia, precisato che la pendenza di tale procedimento non può comportare dilazioni dell’aggiudicazione (cfr. art. 17, comma 3 del D.lgs n. 36/23, in combinato disposto all’Allegato I.3 in relazione ai “Termini delle procedure di appalto e di concessione”[5].

L’approvazione del nuovo Codice ha segnato, dunque, un cambiamento di rotta rispetto a consolidata giurisprudenza, con particolare riferimento al controllo giudiziario: quest’ultimo, sia per costante giurisprudenza, sia per volontà del legislatore del Codice d.lgs. n. 50/2016, poteva unicamente produrre come effetto quello della sospensione, in modo temporaneo, degli effetti della misura interdittiva, ma non già eliminare quelli, medio tempore, prodotti dall’interdittiva stessa nei rapporti in corso.  

Pertanto, appare evidente come la scelta operata dal legislatore di valorizzare ancora una volta il controllo giudiziario sia una risposta coerente con la filosofia “recuperatoria” che ispira le innovative misure preventive antimafia, anche in considerazione che, a prescindere dall’istanza del privato, la misura giurisdizionale, una volta disposta, risponde a indisponibili ragioni di interesse generale[6].

  • Natura e origini storiche dell’interdittiva antimafia.

In linea di continuità con la relazione intercorrente tra interdittiva antimafia e Codice dei contratti pubblici – risulta necessario fare un passo indietro e rammentare la natura e le origini della interdittiva antimafia.

Le informazioni antimafia, alla luce di un necessitato atteggiamento di intransigenza verso il fenomeno mafioso, rappresentano il grado più elevato di prevenzione amministrativa in tema di lotta alla criminalità organizzata[7]. Esse costituiscono strumenti amministrativi di polizia di natura cautelare, volti ad interdire la contrattazione pubblica ad imprese le quali, anche indirettamente, potrebbero agevolare gli interessi dell’organizzazione[8]La necessità di impedire usi distorti delle risorse pubbliche impone un intervento di prevenzione ad ampio spettro; non è necessario che ci si trovi di fronte ad un’impresa mafiosa, potendo ben essere oggetto di interdittiva anche imprese sottoposte a fenomeni di mera contiguità soggiacente, tali che, per la forte pressione estorsiva, esse finiscano per perdere la loro capacità di autodeterminazione agevolando così gli interessi dell’organizzazione criminale[9]. La loro funzione non è quindi di tipo repressivo, ma ha carattere spiccatamente preventivo, non occorrendo per la loro adozione elementi indiziari di valore penalistico

Nel d.lgs. 50/2016, gli articoli 80 e 83 statuivano che gli operatori economici che intendevano concorrere all’affidamento dei contratti pubblici dovevano possedere non solo le specifiche capacità tecniche-professionali ed economico-finanziarie necessarie per eseguire il contratto ma anche determinati requisiti di moralità.

Queste ultime disposizioni recepivano nell’ordinamento interno la disciplina eurounitaria in materia di requisiti generali di partecipazione (art. 38 direttiva 2014/23/UE; art. 57 direttiva 2014/24/UE; art. 80 direttiva 2014/25/UE), sostituendo il precedente art. 38 d.lgs. 163/2006.

Dunque, rispetto al previgente testo dell’art. 38 del d.lgs. 163/2006., si segnalava la previsione del secondo comma, in virtù del quale la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto previste dall’art. 67 del “codice antimafia”) o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84, comma 4, d.lgs. 159/2011, costituiva motivo ostativo alla partecipazione alle gare e, quindi, all’affidamento di contratti pubblici (art. 80, comma 2, d.lgs.50/2016).

Tale disposizione fu introdotta dal vecchio codice ed aveva il pregio di aver raccordato la disciplina del codice antimafia con quello dei contratti pubblici, facendo chiarezza circa il corretto inquadramento degli strumenti di controllo antimafia nell’ambito della contrattualistica pubblica sia in fase di gara sia in fase di esecuzione.

Tale norma, quindi, inseriva gli strumenti di controllo antimafia (contenuti nel d.lgs. n. 159/2011 – c.d. Codice antimafia) nell’ambito della contrattualistica pubblica, interdicendo agli operatori economici la possibilità di partecipare alle gare – e quindi di contrarre con la P.A. – qualora dalla documentazione antimafia emergevano elementi tali da far sospettare possibili ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso, in base alla regola causale del “più probabile che non[10]

In tal senso, il criterio del “più probabile che non” si pone in una veste proteiforme di regola, garanzia e strumento di controllo [11].

Dunque, secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato[12] si tratterebbe, “al fine di ritenere provato un determinato fatto (…) gli è sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% +1 di possibilità” .

Dunque, il recepimento delle nuove direttive europee in tema di appalti e concessioni ha rappresentato il pretesto per ridisegnare il quadro normativo in tema di contrattazione pubblica, al fine di rendere tale mercato più efficiente. Il codice dei contratti pubblici del 2016 ha cercato di risolvere le problematiche introducendo, inoltre, un sistema, del tutto innovativo, di qualificazione delle imprese e delle stazioni appaltanti, teso a favorire la legalità del mercato degli appalti pubblici. Tali misure, connesse alla drastica di riduzione delle stazioni appaltanti, fanno si che si istauri un meccanismo di controtendenza, nella quale i vantaggi competitivi delle imprese mafiose si trasformano in elementi di sfavore.

In riferimento al potere discrezionale, gli artt. 84, comma 4 e 91, comma 6, d.lgs. n. 159/2011 individuano i parametri in base ai quali il Prefetto esegue un giudizio prognostico circa la presenza di un’infiltrazione mafiosa nell’operatore economico che ambisce al conseguimento della commessa pubblica.

Il Cons. Stato, Sez. III, n. 1109/2017 ha osservato come «gli elementi di inquinamento mafioso, ben lungi dal costituire un numero chiuso, assumono forme e caratteristiche diverse secondo i tempi, i luoghi e le persone e sfuggono ad un preciso inquadramento, in ragione dell’insidiosa pervasività e mutevolezza, anzitutto sul piano sociale, del fenomeno mafioso».

I parametri valutativi possono essere connotati da un maggior grado di definizione, cosi da configurare una situazione prefettizia con tasso discrezionale più contenuto: tale ipotesi ricorre nei casi previsti dalle lett. a), b) c) ed f) dell’art.84, comma 4 e in parte dall’art.91, comma 6 del Codice Antimafia, laddove la disposizione richiama i «reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali» e le «violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari» di cui all’art. 3 della l.n. 136/2010.

Tra gli strumenti di prevenzione della mafia imprenditrice giova rammentare che la documentazione antimafia può essere:

  • liberatoria, se favorevole all’interessato;
  • interdittiva, se a lui sfavorevole e si sostanzia in un provvedimento amministrativo avente natura cautelare e preventiva, finalizzato a salvaguardare l’ordine pubblico economico e il corretto confronto concorrenziale, impedendo che imprese interdette possano contrarre con la pubblica amministrazione.

Allo stesso tempo, il provvedimento in parola mira a tutelare la legalità, l’imparzialità e buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), evitando che interessi estranei a quest’ultima possano influenzarne le scelte e gli indirizzi.

Dunque, mentre le informative liberatorie sono rilasciate, giusto l’art.90, comma 1, d.lgs. n. 159/2011, a seguito della consultazione dalla Banca dati nazionale unica, le informative interdittive sono invece il riflesso dell’azione svolta dal Prefetto, nella veste di autorità preposta alla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico, mediante l’esercizio dell’ampio potere discrezionale di cui è munito, teso all’accertamento della sussistenza di cause ostative alla stipulazione dei contratti e di tentativi di infiltrazione mafiosa nell’impresa. La predetta attività fa capo al Prefetto della provincia in cui le persone fisiche, le imprese risiedono o hanno la sede legale.

Ai sensi dell’art. 91 del Codice Antimafia, «Le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonché i concessionari di lavori o di servizi pubblici, devono acquisire l’informazione di cui all’articolo 84, comma 3, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67, il cui valore sia:

  1. pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
  2. superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
  3. superiore a 150.000 euro per l’autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.

L’iniziale separazione ed autonomia degli istituti (la comunicazione destinata sia ai contratti pubblici e finanziamenti di modesta identità sia agli atti autorizzativi e concessori; l’informazione rivolta, invece, ai contratti pubblici e ai rapporti con la P.A. di rilevante entità) ha iniziato a vacillare con l’introduzione dell’art. 89 bis del d.lgs. n. 159/2011.

Con l’introduzione dell’art. 89 bis nel codice Antimafia, il Prefetto viene abilitato a rilasciare un’informazione antimafia in luogo della richiesta comunicazione tutte le volte in cui, all’esito delle verifiche necessarie per la predisposizione di quest’ultima, abbia ritenuto sussistenti i tentativi di infiltrazione mafiosa.

Invero, secondo il Cons. Stato, Sez. III, n.565/2017 « il Prefetto avrà la facoltà, nelle ipotesi di verifiche, procedimentalizzate dall’art. 88, comma 2 e dall’art. 89 bis, di emettere una informativa antimafia, in luogo della richiesta comunicazione antimafia, tutte le volte in cui, nel collegamento alla Banca dati nazionale unica, emergano provvedimenti o dati che lo inducano a ritenere non possibile emettere una comunicazione liberatoria de plano, ma impongano più serie verifiche in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa».

La valutazione prognostica «deve sempre fondarsi su elementi gravi, precisi e concordanti, che consentano di ritenere razionalmente credibile il pericolo di infiltrazione mafiosa in base ad un complessivo, oggettivo, e sempre sindacabile in sede giurisdizionale, apprezzamento dei fatti» (Cons. Stato, Sez. III, n.739/2017).

La giurisprudenza afferma che la base motivazionale del provvedimento prefettizio debba fondarsi su un complesso di elementi caratterizzati da concretezza, obbiettiva congruità e attualità[13]. Il concetto di attualità[14], tuttavia, non impedisce che il Prefetto possa utilizzare fatti risalenti nel tempo ai fini del suo giudizio, purché si possa comunque desumere, dal complesso di informazioni acquisite, un pericolo di condizionamento attuale.

Tale tema è strettamente connesso alla possibilità, per quest’ultimo, di potersi avvalere di precedenti giudiziari che ben potrebbero essere di molto antecedenti al momento il cui si sta svolgendo l’attività istruttoria.

In relazione a ciò, il Consiglio di Stato ha espressamente affermato che: “l’interdittiva può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti: il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce, da solo, la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e comunque non dimostra, da solo, l’interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari, anche perché  trascura di considerare che l’infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle  organizzazioni criminali dalle quali promana e per la durezza e, insieme,  durevolezza dei legami che esse instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una  stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio possibile[15] .

Sicuramente rilevanti nell’ottica di giudizio saranno, invece, i comportamenti positivi, successivi ai fatti riscontrati, purché non meramente elusivi, i quali potrebbero ben dimostrare situazioni di pentimento, dissociazione, riabilitazione, tali poter escludere in radice alcun tipo pericolo per l’ente pubblico.

All’amministrazione appaltante, in caso di documentazione interdittiva, non spetterà alcun potere discrezionale, non potendo essa sindacare la valutazione del Prefetto circa l’esistenza del rischio di infiltrazione mafiosa[16]. Ne deriva che, essendo l’interdittiva antimafia causa di esclusione dalla procedura, all’impresa interdetta è vietata sia la possibilità di accedere alla procedura di gara nonché la stipula del contratto.

Ne consegue che, alla luce di quanto suesposto, il nuovo codice dei contratti pubblici ha scelto di optare per una linea di pensiero distinta da quella attuata dal vecchio legislatore.

Invero, al comma 2 dell’art. 94 del nuovo Codice il legislatore ha statuito che la causa di esclusione della interdittiva antimafia che colpisce l’impresa attiva nel settore della contrattualistica pubblica non opera se quest’ultima, entro la data di aggiudicazione, sia stata ammessa al controllo giudiziario, ai sensi dell’art. 34 bis del codice antimafia.

  1. Il controllo giudiziario

Il Codice Antimafia mediante l’art. 34-bis, ha introdotto il “controllo giudiziario delle aziende” definendolo come un mero spossessamento della gestione delle attività dell’azienda colpita da interdittiva.

Difatti, il Tribunale provvede a nominare il giudice e l’amministratore giudiziario: quest’ultimo sarà incaricato di esercitare “tutte le facoltà spettanti ai titolari dei diritti sui beni e sulle aziende oggetto della misura”.

La sospensione degli effetti dell’interdittiva prefettizia è provvisoria, essendo destinata a durare per il tempo della pendenza del giudizio amministrativo instaurato contro di essa al fine di dare all’impresa la possibilità di svincolarsi dall’infiltrazione mafiosa.

L’informativa antimafia ha infatti, una validità limitata di dodici mesi, decorsi i quali occorre procedere alla verifica della persistenza o meno delle circostanze poste a fondamento dell’interdittiva con precipuo riferimento all’attualità, in guisa da prevenire minacce reali e presenti e non pericoli ipotetici o pregressi.

Il decorso del termine annuale lungi dal produrre, ex se, la perdita di efficacia del provvedimento interdittivo, fa insorgere l’obbligo per l’Autorità prefettizia di procedere al riesame della vicenda complessiva, ergo dei sintomi di condizionamento dai quali era stato distillato il pericolo infiltrativo, ai fini dell’aggiornamento della originaria prognosi interdittiva. Per questa via si soddisfa l’esigenza di non prefissare rigidamente la durata della vita del provvedimento interdittivo, ma di commisurarla, piuttosto, alla reale natura ed intensità dell’esigenza preventiva cui lo stesso è preordinato, consentendo al soggetto interessato (titolare quantomeno di un potere di impulso) ed all’Amministrazione di apprezzare, in relazione alla concreta situazione ostativa ed alla potenzialità evolutiva che la stessa presenta, la sussistenza dei presupposti per procedere alla revisione, in chiave liberatoria, del provvedimento originario[17].

I presupposti per la sottoposizione di una data impresa alla misura di controllo, che, oltre che d’ufficio, può avvenire anche su istanza di parte (art. 34-bis comma 6), sono:

  • l’adozione in suo danno di un’informazione antimafia;
  • l’impugnazione provvedimento interdittivo prefettizio dinanzi al Giudice Amministrativo;
  • la pendenza del ricorso proposto dinanzi al Giudice Amministrativo avverso tale provvedimento;
  • la sussistenza del requisito della “occasionalità” dell’agevolazione mafiosa.

L’amministrazione giudiziaria costituisce dunque un’accorta valutazione della situazione concreta, in modo da limitare l’intromissione pubblica nella gestione d’impresa alle sole aree e settori “contaminati” ed è prevista per le ipotesi più gravi che attengono in primo luogo all’impresa “vittima” dell’organizzazione criminale, in quanto sottoposta alle condizioni di assoggettamento o intimidazione di cui all’art. 416 bis c.p., nonché laddove si ritenga che l’esercizio dell’attività economica possa comunque agevolare l’attività di individui attinti da misure di prevenzione personali o patrimoniali oppure che siano imputati di particolari reati.

Qualora dovesse emergere una condotta agevolatoria, quest’ultima dovrà essere inquadrata in termini classicamente colposi, quale violazione delle regole prudenziali che informano l’agire d’impresa. In caso contrario, la consapevolezza di favorire l’organizzazione criminale configurerebbe un concorso o un favoreggiamento della stessa, sollecitando il ricorso al sequestro.

In dottrina si è così efficacemente segnalato come tale istituto sembri concretizzare una sorta di messa alla prova dell’ente, il quale accetta di intraprendere un processo di ristrutturazione e bonifica interni sotto la sorveglianza del pubblico potere al fine di non subire i gravi effetti derivanti dall’interdittiva antimafia.

In particolare, così come dichiarato dalla Corte di cassazione (sent. n. 48913/2022, sez. V) “….ai fini dell’applicazione del controllo giudiziario su richiesta volontaria di un’impresa destinataria di informazione interdittiva antimafia impugnata dinanzi al giudice amministrativo, il Tribunale della prevenzione deve valutare “in termini prognostici – sulla base del dato patologico acquisito dall’accertamento amministrativo con l’informazione interdittiva antimafia – se il richiesto intervento di ‘bonifica aziendale’ risulti possibile, in quanto l’agevolazione dei soggetti di cui all’art. 34 co. 1 (…) debba ritenersi occasionale, escludendo tale evenienza, pertanto, nel caso di cronicità dell’infiltrazione mafiosa”.

Il controllo giudiziario realizza una forma più blanda di intromissione da parte dello Stato nella gestione dell’attività d’impresa: in tale ipotesi, infatti, il proprietario è lasciato nella libera disponibilità dei beni e l’impresa potrà andare soggetta a obblighi qualificati di comunicazione o anche alla sorveglianza di un amministratore giudiziario nominato dal Tribunale, che provvede altresì a nominare un giudice delegato.

In questo secondo caso, il Tribunale fisserà i compiti dell’amministratore giudiziario e potrà imporre all’impresa particolari obblighi, che possono sostanziarsi non solo in obblighi informativi, ma anche nell’obbligo di richiedere l’autorizzazione al giudice delegato allorché si vogliano operare cambiamenti di sede, denominazione e ragione sociale o nella composizione degli organi direttivi, oppure si voglia procedere a fusioni e scissioni, nonché nell’obbligo di adottare i modelli organizzativi di cui al d.lgs. n. 231/2001, o qualunque altra iniziativa funzionale a ridurre il rischio di infiltrazioni o condizionamenti mafiosi dell’impresa [18].

È evidente come il trend più recente sembra spingere verso la costruzione di uno statuto autonomo del controllo giudiziario volontario, maggiormente connotato da finalità recuperatorie demandate all’adesione dell’impresa a un progetto di riorganizzazione interna. Elemento, quest’ultimo, capace di evidenziare come il controllo giudiziario persegua obiettivi analoghi a quelli del d.lgs. n. 231/2001, favorendo processi di adeguamento della compliance interna quale viatico al ritorno dell’ente nel legittimo esercizio della propria attività.

La funzione del controllo giudiziario volontario è dunque quella di neutralizzare gli effetti paralizzanti dell’interdittiva. Non a caso, tale misura è stata concessa anche laddove all’impresa sia stata negata l’iscrizione nelle white list di cui all’art. 1 co. 52 l. n. 190/2012: nonostante questa ipotesi non sia prevista dalla legge, si è rilevato come la mancata iscrizione si fondi su presupposti analoghi a quelli dell’informazione interdittiva antimafia, per quel che riguarda la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, e le conseguenze che ne discendono siano sostanzialmente analoghi. Di conseguenza, la richiesta dell’ente di essere ammesso al controllo giudiziario volontario consentirebbe di beneficiare della sospensione degli effetti interdittivi della misura.

3.Considerazioni conclusive.

Alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale sin qui riportato, è di palese evidenza come l’art. 94, comma 2 del nuovo Codice abbia assegnato rilevanza al procedimento di controllo giudiziario ,fino al momento dell’aggiudicazione, superando l’orientamento giurisprudenziale granitico che invece permetteva l’esclusione, per tabulas,  dell’operatore economico in fase di gara.

Secondo la giurisprudenza, in particolare, il decreto di ammissione alla procedura di controllo giudiziario non modificava il giudizio, in ordine alla sussistenza dei pericoli di infiltrazione mafiosa, già espresso in sede d’emissione dell’interdittiva antimafia, atteso che non costituisce un superamento dell’interdittiva, ma in un certo modo ne conferma la sussistenza, con la conseguenza che il controllo giudiziario, seppur idoneo a sospendere temporaneamente gli effetti della misura interdittiva, non elimina gli effetti medio tempore prodotti dall’interdittiva stessa nei rapporti in corso; da ciò il convincimento che l’ammissione (o anche la sola richiesta di ammissione) al controllo giudiziario delle attività economiche e dell’azienda di cui all’art. 34 bis, d.Lgs. 159/2011 non avesse conseguenze sui provvedimenti di esclusione, i cui effetti contestualmente si producono e si esauriscono in maniera definitiva nell’ambito della procedura di gara interamente considerata, di modo che non vi è possibilità di un ritorno indietro per via della predetta ammissione[19].

È lodevole l’intento che la riforma sugli appalti di nuovo conio ha voluto rappresentare in tema di interdittiva antimafia e controllo giudiziario, dando così vita ad un equo bilanciamento fra due opposti interessi costituzionali, quali la salvaguardia dell’ordine pubblico economico ed il diritto di iniziativa economica privata.

Ne consegue uno scenario evolutivo che prende forma su questo doppio binario giuridico fatto di provvedimenti di tipo escludenti e/o conservativi, che mirano – nella loro diversità-  alla tutela della libera concorrenza tra le imprese, assicurando che il buon andamento della Pubblica amministrazione non possa mai più essere alterato dalla presenza di infiltrazioni mafiose.

[1] Cfr. Il nuovo Codice dei contratti pubblici: cause di esclusione e procedimento penale in www.fornarieassociati.com

[2] Tra gli altri, Mazzacuva, La natura giuridica delle interdittive antimafia, in Le interdittive antimafia e le altre misure di contrasto all’infiltrazione mafiosa negli appalti pubblici, a cura di Amarelli-Sticchi Damiani, Torino, 2019, 68.

[3] Per maggiori approfondimenti v. L. Di Ciommo, L’interdittiva antimafia: ai confini con “l’ergastolo imprenditoriale” e la natura cautelare, in Amministrativamente, Fascicolo n.3/2020, pag. 365.

[4] Per maggiori approfondimenti v. Relazione allo schema di decreto legislativo in Camera dei Deputati ,05 gennaio 2023.

[5] Cosi, F. Caringella, Nuovo Codice dei contratti pubblici, Giuffrè Editore, 2023, pag. 603

[6] Cosi, E. Borbone, Interdittive antimafia e controllo giudiziario: il Consiglio di Stato fa chiarezza in Amministrazioneincammino.luiss.it

[7] Così M.L. Battaglia et al., Le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, in M.T. Sempreviva, Ordinamento e attività istituzionali del Ministero dell’interno, Roma, Dike giuridica, 2013, pp.184 189.

[8] V, R. Reale, Il sistema normativo dei controlli antimafia e sui tentativi di infiltrazione mafiosa nelle attività contrattuali autorizzative e concessorie pubbliche, cit., pp. 2207-2210.

[9] Cfr. A. Scafuri, L’elenco prefettizio dei fornitori di beni e servizi (CD. “White list”) ed il sistema delle informative prefettizie, in A. Jazzetti e A. Bove, La legge anticorruzione, Napoli, Giapeto editore, 2014, pp. 143-145 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, 29 luglio 2014, n. 457.

[10] V. Cons. Stato, Sez. III, 24 febbraio 2020, n. 1348.

[11] Il Consiglio di Stato sez. III, 19 giugno 2020, n. 3945 ha affermato che “l’interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la necessaria prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali sia plausibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un possibile condizionamento da parte di queste. Pertanto, ai fini della sua adozione, da un lato, occorre non già provare l’intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 2342/2011; n. 5019/2011;

[12] v. Cons. Stato Sez. III, 28 giugno 2017, n.3173.

[13] V. Cons. reg. sic., 10 luglio 2014, n. 397 e Consiglio di Stato, sez. III, 26 settembre 2014, n.4852.

[14] Sul concetto di attualità, cfr. Cons. reg. sic., 8 maggio 2013, n. 456.

[15] V. Consiglio di Stato, sez. III, 19 febbraio 2016, n.691.

[16] Cfr. G. D’angelo, Il recesso dal contratto da parte della stazione appaltante a seguito di un’informativa antimafia interdittiva, in Urbanistica e appalti, n.12/2013, pp. 1302-1308. V. inoltre Consiglio di Stato, sez. VI, 19 gennaio 2012, n. 197.

[17] Per ulteriori approfondimenti, vedasi “sui rapporti tra interdittiva antimafia e controllo giudiziario a richiesta: la Cassazione penale non si coordina con l’Adunanza plenaria in jusforyou.

[18] Così M. Colacurci, Controllo giudiziario volontario: la Cassazione torna sulla bonificabilità dell’impresa in redazione CCC Hub

[19] Cosi, F. Fichera, Il Codice dei contratti pubblici ad un anno dalla Riforma- Le cause di esclusione automatiche e non automatiche degli operatori economici in www.giustizia amministrativa.it