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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
Amministratori e funzionari pubblici possono essere chiamati a rispondere del cosiddetto “danno alla concorrenza” che la Corte dei Conti configura nella differenza tra quanto speso dall’amministrazione per affidamenti o proroghe contra legem di contratti pubblici e quanto si sarebbe speso (in meno) con affidamenti a seguito di procedure regolari di gara.
Viene quindi in rilievo la determinazione dei criteri di determinazione di tale danno, posto che si è in assenza dell’elemento di confronto, cioè del contestuale espletamento della gara relativa alla spesa di che trattasi.
Si tratta quindi di criteri necessariamente induttivi, pur se i giudici contabili, nella più recente giurisprudenza, puntualizzano che il cosiddetto “danno alla concorrenza”, «… non diversamente da qualunque altra tipologia di danno patrimoniale, non può ritenersi sussistente “in re ipsa” per il solo fatto, cioè, che sia stato illegittimamente pretermesso il confronto tra più offerte.”
Danno che viceversa pare esistere di per sé nella giurisprudenza più datata.
Con sentenza n. 598/2009 la Sezione Lombardia, in linea con la giurisprudenza della stessa Sezione in materia, consolidata in numerose sentenze (n. 477/2006; 448/2007; 135,288, 979, 980/2008; 70, 428, 476, 767, 808, 809, 810, 811/2009; 109/2011), ha affermato che “il danno (alla concorrenza), nel giudizio di responsabilità, viene individuato nei pagamenti eccedenti la quota riconducibile all’arricchimento senza causa , sicché l’utile di impresa rappresenta la misurazione di tale eccedenza”. Sulla stessa linea della Sezione Lombardia si sono determinate la Sezione Piemonte, con sentenze n. 221/2009, 96/2010, 11, 35 e 44/2011 e la Sezione Abruzzo con sentenza n. 23/2011.
Nelcontratto di pubblico affidamento stipulato in assenza di gara, l’utile di impresa pagato dalla p.a. sarebbe da configurarsi quale erogazione sine titulo e, dunque, rappresentando una non “giustificata” spendita di denaro rispetto alla remunerazione dell’arricchimento ex art. 2041 c.c. di cui ha comunque beneficiato l’amministrazione per effetto dell’esecuzione del contratto, si configurerebbe quale danno erariale.
Nel dettaglio, si è precisato che “l’elusione delle garanzie prescritte dalla legge, dettate a salvaguardia dell’interesse pubblico e regolanti le procedure per l’individuazione del contraente privato più affidabile e più tecnicamente organizzato per l’espletamento dei lavori, comporti (divenendo di per sé circostanza idonea e sufficiente) un danno patrimoniale per l’Ente appaltante, nella elementare considerazione che dalla violazione di norme imperative discende sempre la nullità del contratto, con il conseguente obbligo, per l’amministrazione, di erogare al privato contraente un compenso limitato al solo arricchimento senza causa, ai sensi dell’art. 2041 c.c. Può (dunque) conclusivamente affermarsi che la maggiore spendita di denaro pubblico (ovvero il danno erariale) non deriva dalla illecita scelta del contraente ma, laddove sia raffigurabile o configurabile una violazione o elusione della normativa dettata in materia di affidamento di lavori pubblici, che per ciò stesso comporta la nullità del contratto, è da configurarsi nell’utile di impresa a sua volta illecitamente corrisposto” ( Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per la Regione Sardegna, 8 novembre 2011 n. 595; sulla stessa linea interpretativa, Corte dei Conti, Sez. giurisdizionale per la Regione Liguria, 31 luglio 2012 n. 187).
Pregiudizio erariale quantificato, ancora, nell’eccedenza (l’utile di impresa, appunto) rispetto all’arricchimento di cui l’amministrazione ha beneficiato in ragione dell’avvenuta esecuzione del pubblico affidamento: in sintesi, dalla spesa complessivamente sostenuta dalla p.a. dovrà considerarsi quale danno erariale alla concorrenza la quota parte che remunera detto utile.
I giudici contabili, ai fini della quantificazione del danno alla concorrenza mutuano il criterio “dell’utile di impresa” utilizzato dalla giurisprudenza amministrativa per la quantificazione del risarcimento danni spettanti alla impresa pretermessa nell’ipotesi di illegittima aggiudicazione di un appalto; in applicazione di tale criterio, dunque, si commisura il danno alla concorrenza “nei pagamenti eccedenti la quota riconducibile all’arricchimento senza causa (ovvero al minore esborso senza causa) sicché l’utile di impresa rappresenta la misura di tale eccedenza e deve essere determinato, secondo i criteri della giurisprudenza amministrativa, in una percentuale del valore dell’appalto – 10 % o 5 % – a seconda che si tratti di appalto di lavori o di forniture di beni e servizi”.
Il danno da utile di impresa potrebbe comunque essere considerato un di cui del più complessivo danno alla concorrenza che, secondo giurisprudenza più recente, andrebbe quantificato con criteri di benchmark.
Alcune recenti sentenze, nel mentre affermano che è onere delle Procure individuare pertinenti criteri di benchmark, la cui mancanza determina l’improcedibilità delle accuse, ne suggeriscono alcuni.
Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Basilicata, sentenza n. 70/2024
La vicenda verte in ordine ad un’ipotesi di danno erariale relativa agli affidamenti diretti e all’abuso delle proroghe contrattuali disposte per la gestione del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti del Comune.
Quanto alla liquidazione del danno, il Requirente, vista la difficoltà di individuare una procedura di gara simile, faceva riferimento al ribasso del 3,860%, ottenuto dal Comune di xxx nell’ultima procedura aperta espletata, ribasso che ha applicato alla somma di € 293.753,91, rappresentativa dei corrispettivi complessivamente erogati in conseguenza degli affidamenti diretti e delle relative proroghe, così ottenendo l’importo di € 11.388,90.
(….) la pretesa risarcitoria appare infondata in quanto il Requirente non ha offerto un sufficiente quadro probatorio del danno erariale derivante dalla contestata violazione delle regole dell’evidenza pubblica, che funge da imprescindibile presupposto della responsabilità amministrativa fin dal remoto art. 83 del RD n. 2440/192.
In particolare, secondo autorevole e risalente giurisprudenza di questa Corte, il cosiddetto “danno alla concorrenza”, «… non diversamente da qualunque altra tipologia di danno patrimoniale, non può ritenersi sussistente “in re ipsa” per il solo fatto, cioè, che sia stato illegittimamente pretermesso il confronto tra più offerte.
Deve dirsi, piuttosto, che l’omissione della gara costituisce un indizio di danno, in quanto suscita il sospetto che il prezzo contrattuale non corrisponde al minor prezzo che sarebbe stato ottenibile dal confronto di più offerte. Trattandosi, però, pur sempre e soltanto di un sospetto, occorre dimostrare che effettivamente nel caso concreto la violazione delle norme sulla scelta del contraente abbia determinato una maggiore spendita di denaro pubblico; dimostrazione che potrà essere raggiunta con il ricorso a ogni idoneo mezzo di prova, il quale può essere la comparazione con i prezzi o con i ribassi conseguiti a seguito di gara per lavori o servizi dello stesso genere di quello in contestazione. Ed è ovvio che solo in ipotesi di dimostrata esistenza del danno potrà farsi ricorso alla liquidazione con valutazione equitativa, che – come è ben noto – è previsto dall’art. 1226 cc proprio per sopperire alla impossibilità o, comunque, alla particolare difficoltà di quantificare un danno di cui sia, però, certa l’esistenza» (cfr. Cdc, Sez. II app. sent. n. 198/2011; cfr. anche , ex pluribus , la più recente sentenze n. 99/2019.
Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Basilicata, sentenza n. 71/2024.
L’ipotesi di danno deriva dalle modalità di affidamento di un contratto per la gestione del CUP (Centro Unico di Prenotazione) regionale. Secondo la Procura “il danno erariale sarebbe stato determinato da numerose illegittime proroghe del contratto …, in luogo dei ribassi d’asta che si sarebbero conseguiti ove ci si fosse rivolti al mercato.”
Nella sentenza viene in rilievo la modalità con la quale la Procura ha quantificato il presunto danno erariale. Quest’ultimo era stato calcolato in base alla differenza tra quanto l’Ente aveva pagato per il periodo oggetto di contestazione rispetto a quanto conseguito dallo stesso una volta espletata la gara sul medesimo servizio (ovviamente in relazione ad un periodo di tempo successivo).
(….) In particolare, il pregiudizio addebitato è stato definito applicando, alla base d’asta del contratto prorogato, il ribasso dell’8,75 % pari al differenziale tra il ribasso del 13,13% spuntato con la gara successiva del 2016 sul servizio Cup e quello del 4,38% ottenuto sulla base di gara del contratto del 2010 poi oggetto delle plurime proroghe contestate. A tal proposito si riscontra, peraltro, che l’aggiudicazione disposta con determina n.20AC.2016/D.00090 del 28/12/2016 del Dipartimento Stazione Unica Appaltante della Regione Basilicata (SUARB) stabiliva “… il ribasso del 13.13% sull’importo a base d’asta di € 15.295.736,99, oltre Iva per il periodo contrattuale di 24 mesi”, quindi per un ammontare di € 13.287.406,72 oltre IVA e pari, pertanto, ad € 553.641,95, oltre IVA per ogni mese di durata del contratto. Le proroghe contrattuali contestate, ovvero dalla 6^ alla 16^, hanno interessato un periodo di 44 mensilità, decorrente dall’01/10/2017 al 31/05/2021, per un importo globale liquidato pari ad € 24.105.171,79 al netto dell’IVA, fatto che ha implicato un costo medio mensile del servizio reso di € 547.844,81 (cfr. doc. ti 53-64 della Procura), inferiore a quanto definito con la gara successiva al netto del ribasso. Ne consegue che manca, in primis, la prova di quel requisito di “concretezza ed attualità” richiesto “ … nell’accertamento (individuazione e prova) del danno definito ‘da concorrenza’ per cui non vigono regole e criteri diversi da quelli che possono essere utilizzati nelle altre fattispecie di danno regolate in via generale, per cui nell’accertamento deve essere rispettato il principio della concretezza e dell’attualità [ … ]” (cfr. ex multis Sez. Lazio n.186/2017; n. 128/2017).
In conclusione, il vizio logico giuridico consiste nel voler desumere il pregiudizio da un maggior ribasso ottenuto nella gara successiva, fattore da cui non si può invece inferire la prova, neppure presuntiva, di un danno patrimoniale per l’Amministrazione, essendo la differente misura dei ribassi offerti inevitabilmente condizionata da differenti basi d’asta e dal contenuto dei servizi richiesti. Per quanto innanzi esposto, con valutazione assorbente di ogni altra, si rigetta la domanda attorea.”
Viceversa, la Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per l’Umbria Sentenza 23 novembre 2022, n. 99 legittima il confronto prezzi tra proroghe e affidamento successivo con gara.
Ai convenuti è stata imputata una complessa attività pluriennale consistita nelle reiterate ed illegittime proroghe di contratti per il servizio di lavanolo e di sterilizzazione intercorsi tra l’Azienda ospedaliera di Perugia, la ASL Umbria 1 e la società xxx.
“La descritta azione amministrativa illegittima avrebbe determinato un considerevole danno alla finanza pubblica, identificato nella differenza di costo tra quanto in concreto sostenuto dalle amministrazioni in forza dell’illegittima prosecuzione del servizio e il minore costo conseguito in esito alla doverosa procedura comparativa che, se tempestivamente portata a termine ed attuata, avrebbe consentito notevoli risparmi di spesa. Il parametro da porre a fondamento della individuazione del pregiudizio erariale, ad avviso della Procura regionale, attiene al minor esborso che avrebbero sostenuto le aziende pubbliche danneggiate (ospedaliera e sanitaria locale) ove la procedura concorrenziale e il conseguente subentro della nuova aggiudicataria fossero stati tempestivamente disposti.
(….) Come rilevato con chiarezza dalla Procura regionale anche in sede di discussione orale, sussiste una chiara maggiore convenienza sottesa alle condizioni praticate dal nuovo affidatario, ove poste a confronto con quelle praticate dal precedente affidatario nel corso delle proroghe.”
Lo stesso collegio giudicante conferma in un recente pronunciamento la correttezza del confronto con le risultanze di una procedura di gara successiva, con che si applichi alla sanzione il c.d. “potere riduttivo”.
Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per l’Umbria, sentenza n. 11 del 6 marzo 2024
Gli addebiti riguardano affidamenti diretti e/o reiterate proroghe nella gestione di vari servizi comunali, assegnati per anni a due cooperative. Precisamente, i servizi in questione sono i seguenti: servizi cimiteriali, servizi di pulizia degli uffici comunali, servizio di centralino, portineria, uscierato e controllo accessi, servizio di prima accoglienza turistica, infopoint, gestione e telegestione dei parcheggi pubblici.
In merito alla determinazione e quantificazione del danno si osserva quanto segue. Il criterio adottato dalla Procura regionale appare logico e condivisibile, oltre ad essere concreto, perché deriva dal confronto tra le condizioni economiche praticate all’amministrazione comunale in base alle proroghe e quelle concorrenziale. Occorre però rilevare che il confronto viene operato su annualità diverse, rispetto alle quali le condizioni del mercato possono aver subito variazioni e, quindi, in accoglimento della richiesta dei convenuti di applicazione del potere riduttivo, il collegio considera di dover determinare il danno cagionato in riduzione nella misura del cinquanta per cento.