Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Il mercato del farmaco. Aumenta la spesa nazionale nel 2022, in uno scenario di crescente criticità a livello produttivo europeo

Dott. Marco Boni

L’edizione 2023 dell’Osservatorio Nomisma sul “Sistema dei farmaci generici in Italia”, fotografa l’andamento di consumi e fatturato ed evidenzia le criticità che stanno determinando una carenza strutturale di medicinali.

In 10 anni sono scomparsi dai mercati europei il 26% dei farmaci equivalenti, il 33% degli antibiotici e il 40% dei farmaci oncologici. Il mix di prezzi stressati al ribasso e incremento dei costi di produzione rende sempre più vulnerabili le lunghe catene di approvvigionamento gravate anche dalla dipendenza da un’unica fonte o area geografica.

L’andamento della spesa in Italia

Cresce nel 2022 la spesa territoriale a carico del SSN, per effetto dell’incremento della distribuzione diretta e per conto.  Dal 2009 al 2022 hanno guadagnato quote sia i farmaci branded off patent, passati dal 38% al 53% in volumi e dal 23% al 47% in valore e i farmaci gene­rici, il cui peso è cresciuto dal 14% al 31% in volumi e dal 7% al 23% in valore.

In ambito ospedaliero si registra un aumento della spesa a valore, in crescita del 5,3% rispetto al valore segnato nel 2021, indice della presenza sul mercato di prodotti sempre più ad elevato costo.  Tale aumento è imputabile ad una variazione di segno positivo del mercato off patent, che si è ampliato di 36,9% punti percentuali, aumento di gran lunga superiore rispetto a quello segnato dal mercato in patent, che ha visto crescere le proprie vendite a valore del 2,5%.

Riguardo alle modalità di acquisto nel canale ospedaliero, crescono le procedure competitive, comprese le negoziate a seguito di diserzione di gara.  Nel 2022, l’incidenza dei lotti non assegnati arriva al 34,7%: oltre un lotto su tre è risultato non aggiudicato.

Il tasso di partecipazione alle gare delle imprese – inversamente correlato al numero di anni trascorsi dalla scadenza del brevetto – evidenzia che il rapporto fra il numero delle offerte complessivamente presentate dalle imprese nel 2022 ed il numero di lotti banditi si mantiene su valori leggermente superio­ri rispetto al 2021, passando da 1,85 a 2,01, proseguendo il trend di crescita avviatosi nel 2020 dopo un triennio (2016-2018) caratterizzato da una parte­cipazione meno elevata.

Le criticità alla produzione

Servono misure urgenti per salvaguardare la biodiversità “interna” del comparto farmaceutico ed evitare una altrimenti inevitabile carenza strutturale di medicinali.

La quota di produzione globale di principi attivi in Europa è scesa dal 53% del 2000 all’attuale 25%; la quota di produzione di API in Cina è sempre più aumentata fino a rappresentare oggi oltre il 20% delle nuove registrazioni; soprattutto Cina ed India forniscono ai mercati dell’Unione Europea oltre il 56% del fabbisogno di principi attivi: considerando anche i prodotti intermedi la dipendenza si acuisce raggiungendo una quota pari al 74%.

Sul versante dei costi a livello europeo, secondo i dati di Medicines for Europe, nel 2022:

i costi di trasporto sono cresciuti fino al 500%;

i costi della materia prima tra il 50% e il 160%;

i costi del packaging tra il 20% e il 33%;

i prezzi dell’energia tra il +65% del gas e il +30% dell’elettricità.

Le imprese non potendo operare sul fronte dei prezzi hanno dovuto assorbire questa impennata dei costi produttivi, riadattando i processi di approvvigionamento e comprimendo le marginalità industriali. Il risultato – nuovo e inatteso – è sotto gli occhi di tutti: c’è carenza di farmaci su diversi mercati europei.

In 10 anni sono scomparsi dai mercati europei il 26% dei farmaci equivalenti, il 33% degli antibiotici e il 40% dei farmaci oncologici.

In relazione ai soli antibiotici, si è osservata la scomparsa di 16 tipologie in Polonia, 11 in Spagna e 10 in Francia.

In Italia in 10 anni su due farmaci largamente utilizzati nella pratica clinica – un antibiotico e un antitumorale – il numero di fornitori è sceso rispettivamente da 10 a 3 e da 18 a 2.

Il dato è lo specchio anche del processo di consolidamento che ha coinvolto le aziende presenti nel mercato:

nel 2022 il 69% dei farmaci generici commercializzati in Europa ha fatto riferimento a meno di due imprese, un ulteriore 9% solamente a tre imprese;

scendendo nel dettaglio, oggi il 56% degli antibiotici e il 70% dei farmaci oncologici fanno riferimento a meno di due imprese (rispettivamente il 52% e 67% nel 2012);

in diverse tipologie di medicinali il numero di aziende produttrici è sceso drasticamente nell’ordine del 30-40%, lasciando solo un fornitore o due nella maggior parte dei Paesi.

L’impoverimento del tessuto industriale con l’uscita di alcuni operatori dal mercato e la perdita di farmaci a disposizione dei pazienti sta mettendo a nudo le fragilità del settore:

«Non ci sono scorte di riserva nel sistema sanitario. Ci vogliono 6-8 mesi perché altre aziende si organizzino per produrre un medicinale se è economicamente vantaggioso. E in caso di gara d’appalto le aziende impiegano 3-6 mesi per produrre, confezionare e spedire».

in Italia al tavolo di lavoro istituito un tavolo in gennaio al MIMIT con la partecipazione di tutta la filiera farmaceutica le aziende di generici e biosimilari hanno ribadito la necessità di pianificare un aggiornamento dei livelli di rimborso delle fasce dei medicinali che sono soggette ad un rischio più elevato di indisponibilità. Il MIMIT, a fine luglio 2023 ha aperto un bando con una dotazione di 391,8 milioni di euro dai fondi PNRR per lo strumento dei “Contratti di sviluppo” a sostegno dei programmi industriali delle filiere produttive strategiche, anche nelle aree del centro nord del Paese, in vari settori compreso quello chimico farmaceutico.

Aiuti di Stato: esplicitamente vietati dalla normativa europea e dal Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea in quanto possono determinare delle distorsioni del mercato, sono entrati in gioco nel contesto della pandemia con un quadro temporaneo adottato nel marzo 2020 dalla Commissione UE e rimasto in vigore fino al 30 giugno 2022 e riferito esclusivamente per la produzione di medicinali che erano correlati alla cura del Covid. La richiesta delle aziende di settore è quella di perfezionare il quadro temporaneo rendendolo più flessibile al fine di eliminare queste limitazioni e di estendere, superando i sei mesi previsti, le tempistiche di realizzazione dei progetti di investimento. A rendere più pressante la richiesta l’adozione da parte del governo statunitense, nell’agosto 2022, dell’Inflation Reduction Act” che prevede l’erogazione di incentivi per 750 miliardi di dollari in settori specifici e che potrebbe incoraggiare implicitamente il fenomeno delle delocalizzazioni dall’Europa agli Stati Uniti delle imprese che rientrano nei settori interessati dal provvedimento per beneficiare di questi aiuti. Appare indispensabile che l’Unione europea adotti misure specifiche a sostegno del settore farmaceutico in uno scenario economico ancora instabile e indecifrabile.

Le indicazioni di policy

Ad oggi, il concetto di bene pubblico nella farmaceutica off-patent è stato esclusivamente ricondotto in tutti i Paesi UE alla riduzione dei prezzi dei farmaci attraverso il meccanismo del rimborso al prezzo più basso.

«Una visione già obsoleta e ormai improponibile», secondo Nomisma, che sottolinea la necessità di «ridisegnare il confine tra pubblico e privato, alla ricerca di un nuovo equilibrio che contemperi anche la salvaguardia e il rafforzamento del sistema produttivo, con azioni sia sul lato della domanda che dell’offerta».

Quattro le azioni da attuare sul fronte della domanda:

revisione o eliminazione del payback per i farmaci fuori brevetto;

difronte alla impennata della struttura dei costi, agire sul livello di rimborso dei farmaci fuori brevetto per arrestare l’emorragia di fornitori che si sta delineando, individuando quelli con particolari condizioni di vulnerabilità oppure individuando una soglia critica di prezzo al di sotto del quale la sostenibilità industriale è compromessa;

nuovi meccanismi pubblici di acquisto di farmaci in ospedale, ripensando il meccanismo di determinazione dei fornitori e del prezzo;

meccanismi di incentivo e sostegno economico per mantenere in produzione i farmaci più consolidati e con meno fornitori, salvaguardando la biodiversità.

Più complesso l’intervento sul lato dell’offerta, conclude il rapporto: «Significa tornare ad attivare la dimenticata politica industriale del Paese lasciando alle imprese il tempo necessario per «crescere e amalgamarsi» e offrendo una controparte burocratica amministrativa di pari efficienza».

Struttura dimensionale dell’offerta

Nel contesto della manifattura italiana, dove le microimprese costituisco­no il nerbo fondamentale del settore, il comparto farmaceutico si è sempre contraddistinto per una forte presenza di imprese di medie e grandi dimen­sioni, che giocano un ruolo fondamentale nella robustezza e competitività del comparto.

Le imprese con oltre 50 addetti rappresentano il 38,5% delle imprese del farmaco, a fronte di una media complessiva manifatturiera pari al 2,9%: tre­dici volte tanto. Sul versante opposto le microimprese, che rappresentano ben l’81,0% del tessuto manifatturiero, nel settore farmaceutico pesano per solo il 42,2%.

Sul fronte dei ricavi, parimenti, nel 2020, le imprese con oltre 250 addetti hanno generato ben l’82,1% del fatturato del comparto farmaceutico, una quota quasi doppia rispetto a quella manifatturiera, che si è attestata al 44,6%.

Se alle grandi imprese si sommano anche quelle di medie dimensioni, la quota di fatturato realizzato dalle aziende con oltre 50 addetti arriva ad as­sorbire il 97,2% del fatturato totale, contro il 71,7% medio manifatturiero.

L’incidenza sul valore aggiunto manifatturiero cresce, nell’ultimo anno, da 3,74% a 4,08%, in virtù di una performance maggiormente positiva del com­parto farmaceutico. Osservando il lungo periodo, dal 2008 la farmaceutica ha incrementato la propria quota sul totale manifatturiero di esattamente un punto percentuale (da 3,05% all’attuale 4,08%).

nel Contract Development and Manufacturing Organization (CDMO), ovvero quelle aziende che producono su commissione per conto di terzi (spesso per le multinazionali farmaceutiche), i dati di Farmindustria mostrano un quadro in cui l’Italia si pone come leader europeo, con una produzione di medicinali del valore di 3,1 miliardi di euro e una quota di produzione com­plessiva in Europa pari al 23%. A seguire, troviamo la Germania, la Francia e il Regno Unito, che contribuiscono rispettivamente con 2,7 miliardi, 2,2 miliardi e 1,6 miliardi di euro, rappresentando il 20%, il 16% e il 12% della produzione totale europea.

Imprese manifatturiere di farmaci generici

Germania, con 3,8 miliardi di euro di fatturato, e Italia, con 3,1 miliardi di euro, guidano la classifica internazionale, seguite da Ungheria, Francia e Regno Unito. Sia le imprese di farmaci generici tedesche che quelle italiane mostrano discreti tassi di crescita tanto rispetto al 2020 (+7% e +3%, rispetti­vamente) quanto al 2019 (+12% per entrambi), pur con una configurazione dimensionale estremamente differente: se le imprese che contribuiscono al fatturato tedesco sono solo 20, di dimensioni estremamente elevate, quelle italiane sono 45, caratterizzate dunque da una struttura dimensionale deci­samente minore.

Indici di redditività

Il 2021 segna una riduzione per certi versi inaspettata della forbice tra le imprese di farmaci generici e non generici anche dal punto di vista della capacità di generare redditività.

La distanza fra i due cluster si era notevolmente amplificata nel biennio 2019-2020, con il margine operativo lordo (EBITDA) delle imprese che si oc­cupano di farmaci non generici arrivato a toccare il 14,7% contro il 12,4% delle aziende di farmaci generici. Nel 2021 il divario si è praticamente annul­lato; crolla al 13,4% la marginalità delle imprese di farmaci non generici, sale al 12,7% quella delle società che si occupano di farmaci generici.

Sono diversi i fattori interpretativi di questo fenomeno. Per prima cosa il mercato dei farmaci generici è diventato sempre più competitivo, con un nu­mero crescente di aziende che entrano nel settore. Va poi evidenziato come le tecnologie di produzione e distribuzione dei farmaci sono diventate sempre più simili tra i due cluster. Questo ha reso più facile per le imprese di farmaci generici affermarsi nel mercato farmaceutico. Infine, non dobbiamo trascu­rare il ruolo decisivo dei medici, sempre più propensi a prescrivere farmaci generici, con lo scopo (o necessità) di ridurre i costi sanitari.

Costi di produzione

L’attuale congiuntura economica, con l’innalzamento dei prezzi generati da un’inflazione galoppante, ha avuto notevoli ripercussioni anche nel com­parto farmaceutico. I costi di produzione delle imprese di farmaci generi­ci hanno registrato un aumento del 2,9% nell’ultimo anno, incremento che schizza al 18% se valutiamo il trend nell’ultimo quinquennio. Entrando nel merito delle differenti voci di costo, i prezzi delle materie prime iniziano nel 2021 quella scalata che ha rischiato di mettere in ginocchio molte imprese manifatturiere. Rispetto al 2017, i prezzi di questa categoria sono aumentati del 9,5%. Tale innalzamento ha coinvolto non solo gli eccipienti e i materia­li farmaceutici propriamente detti (Active Pharmaceutical Ingredients), ma anche i costi dell’imballaggio dei medicinali, con carta e vetro a guidare il rialzo.

Le società “non-branded” sono sottoposte a pressioni sui costi di servizi esterni molto più gravose rispetto alle aziende di farmaci non generici. Que­ste ultime, a loro volta, devono far fronte in misura superiore al boom dei prezzi delle materie prime, più impattanti anche a causa di una struttura dimensionale più ampia.

IL MERCATO – dati analitici

Spesa territoriale

Prosegue, nel 2022, la crescita della spesa farmaceutica territoriale che si attesta a 21,5 miliardi di euro, evidenziando un incremento del 6,5% rispetto all’anno precedente e toccando il valor massimo realizzato nel periodo ana­lizzato.

Scomponendo il complessivo della spesa in spesa territoriale pubblica e privata, si osserva che l’incremento registrato è ascrivibile sia alla compo­nente privata – inclusiva della quota di compartecipazione del cittadino – che passa da 9,2 a 9,9 miliardi di euro, con un aumento rispetto all’anno prece­dente del 7,6%, che alla componente di spesa pubblica – comprendente la spesa dei farmaci di classe A erogati in regime di assistenza convenzionata e in distribuzione diretta e per conto – che aumenta di 670 milioni di euro, per un incremento complessivo pari al 5,7%.

Considerando la serie storica a partire dal 2011, si osserva una crescita del 9,4%, risultato di due effetti contrapposti: un incremento pari al 29,1% della componente privata – la cui quota sul totale della spesa farmaceutica territoriale nel decennio considerato passa dal 27% al 44% – e una riduzione di quella pubblica, che registra una contrazione del 2,4% e la cui incidenza, conseguentemente, scende al 56% dal 63% segnato nel 2011.

Considerando la sola spesa a carico del Servizio Sanitario Nazionale, l’in­cremento verificatosi – pari al +4,8% – è ascrivibile in larga parte alla spesa per i farmaci in distribuzione diretta, ampliatasi del 10,9% rispetto al 2021.

Alla crescita complessiva contribuisce, in maniera minore, anche la spesa convenzionata netta, che inverte il trend di decrescita che l’aveva caratteriz­zata da inizio rilevazione, segnando una crescita sul 2021 pari al +1,2%.

Nel periodo che va dal 2011, le due componenti della spesa territoriale pubblica hanno mostrato andamenti divergenti. La spesa convenzionata net­ta si è contratta del 23,4%, subendo una perdita in valore assoluto di circa 2,35 miliardi di euro, perdita solo parzialmente compensata dall’incremento del 72,1% registrato dalla distribuzione diretta e per conto di farmaci di clas­se A.

Le tendenze degli ultimi 11 anni hanno quindi portato a significative mo­difiche nella composizione della spesa pubblica. Si è osservata una notevole riduzione del divario tra la spesa convenzionata netta, che è scesa dal 78% del 2011 al 61% del 2022, e la distribuzione diretta, che ha guadagnato una quota significativa nella spesa totale, incrementandola di ben 17 punti per­centuali, passando dal 22% al 39%.

In relazione alla spesa a carico dei cittadini, tutte le componenti mostrano dinamiche di crescita rispetto all’anno precedente, ma la componente che più impatta sulla crescita (+7,6% rispetto al 2021, come evidenziato in pre­cedenza) è rappresentata dall’acquisto dei farmaci di fascia A acquistati di­rettamente dai cittadini, che crescono del 16,1%, arrivando a toccare quota 1,9 miliardi di euro (+86% l’aumento complessivo dal 2011) e che ad oggi rappresentano il 19% della spesa privata totale.

Dinamiche di crescita virtuosa si evidenziano anche per i medicinali di automedicazione – i farmaci da banco e senza obbligo di ricetta medica (+13,9% sull’anno precedente) e per i farmaci erogati dagli esercizi commer­ciali (+13,6%).

La componente di spesa privata più rilevante in termini assoluti resta quel­la dei farmaci di fascia C, a totale carico del paziente, che vale il 36% della spesa privata totale. Tale componente evidenzia tuttavia la dinamica di cre­scita meno virtuosa (+1,6% su anno precedente) insieme alla componente relativa alla compartecipazione del cittadino (1,4%).

In conseguenza delle dinamiche illustrate, si assiste ad una parziale varia­zione della composizione della spesa privata: perde quota la prima compo­nente di spesa per incidenza – Classe C con ricetta – che passa dal 42% del 2011 al 36% del 2022. Quote che sono invece state guadagnate dai farmaci di fascia A acquistati privatamente dai cittadini, la cui quota è aumentata dal 13% al 19%. Oltre ai farmaci di classe C, perde quote anche la componente di compartecipazione del cittadino (da 17% a 15%), mentre resta pressoché stabile la quota relativa ai medicinali di automedicazione (da 28% a 27%)2.

Nella componente di spesa privata, la “compartecipazione del cittadino” è degna di particolare attenzione poiché offre informazioni significative sull’atteggiamento dei cittadini nei confronti dei farmaci generici.

La compartecipazione del cittadino è composta da due elementi distinti: il primo riguarda i ticket o i costi diretti per le ricette o le confezioni di farmaci applicati dalle Regioni, che rappresentano una quota di spesa a carico dei pazienti, il secondo riguarda invece il differenziale di prezzo tra la spesa sostenuta per l’acquisto di un farmaco di classe A a brevetto scaduto (total­mente rimborsabile) e il corrispettivo farmaco di marca, venduto a un prezzo superiore. Questo differenziale riflette la differenza di costo tra l’acquisto di un farmaco generico e un farmaco di marca.

Nel 2022, la compartecipazione del cittadino ammonta a 1,5 miliardi di euro, mostrando un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto al 2021. Questa crescita è principalmente dovuta all’aumento del +4,8% dei ticket fis­si applicati dalle Regioni, che progressivamente stanno eliminando o rimo­dulando tali costi. Nel frattempo, il differenziale di prezzo di riferimento è rimasto pressoché invariato rispetto all’anno precedente, registrando solo un aumento di 1 milione di euro (+0,1%).

Guardando alle tendenze degli ultimi dieci anni, si nota una crescita si­gnificativa del 42,6% nella componente del differenziale di prezzo di riferi­mento dal 2011. Nel corso del decennio, tale componente ha notevolmente ampliato la sua quota nella compartecipazione privata totale, passando dal 57% al 72%, con un guadagno di 15 punti percentuali.

Queste tendenze rafforzano la necessità di promuovere una cultura dei farmaci equivalenti e di implementare misure e campagne volte a migliorare la comprensione e promuovere l’uso di tali farmaci, approccio che potrebbe aiutare a ridurre i costi a carico dei cittadini e a razionalizzare la spesa far­maceutica complessiva.

Andamento del mercato dei farmaci di classe a

Nel 2022 sono state vendute 1,027 miliardi di confezioni di farmaci di clas­se A a totale carico del Servizio Sanitario nazionale (al netto della compo­nente di Distribuzione Diretta e di Distribuzione per conto), per un valore economico pari a 9,7 miliardi di euro.

Rispetto al 2021, sia confezioni che volumi si mantengono sostanzialmen­te stabili, segnando una crescita pari all’1,0% relativamente a confezioni e dell’1,1% in valore.

L’analisi dei dati relativi alle confezioni per tipologia di farmaco eviden­zia come la crescita dell’1,0% segnata a livello complessivo rispetto all’anno precedente sia frutto di dinamiche contrapposte: da una parte si osserva una crescita che interessa sia i farmaci generici (+3,2%) che i branded off patent (+3,0%), mentre al contrario si contraggono i volumi dei farmaci coperti da brevetto, il cui calo si attesta a -8,9 punti percentuali.

Analogo è il quadro se si prende a riferimento l’andamento del mercato a valori: anche in questo caso, infatti, sia generici che off patent osservano un aumento dei propri valori – più marcato, analogamente alle confezioni, per i primi (+5,2%) rispetto agli off patent (+4,3%) – mentre i medicinali ancora sotto brevetto vedono ridursi le proprie vendite a valore del 6,3%.

La situazione descritta riflette gli andamenti che hanno caratterizzato l’ar­co temporale a partire dal 2009, contraddistinto da un accrescimento della quota dei farmaci generici a scapito di quelli coperti da brevetto.

Dal 2009 al 2022, infatti, ad un aumento di vendite di farmaci generici pari al +125% a volumi e del +167% a valori, si è affiancata una riduzione del­le vendite dei farmaci coperti da brevetto, che hanno visto ridursi i propri valori del 68% relativamente alle confezioni e del 67% ai consumi a valore, generando un risparmio pari a 6 miliardi di euro.

Nel periodo di tempo considerato si è conseguentemente assistito ad una riconfigurazione delle quote delle tipologie di farmaco analizzate: i farmaci coperti da brevetto – che al 2009 rappresentavano il 49% delle confezioni vendute e ben il 70% del complesso delle vendite a valore – al 2022 pesano per il 16% a volumi e per il 30% a valore.

Coerentemente, hanno guadagnato quote sia i farmaci branded off patent, passati dal 38% al 53% in volumi e dal 23% al 47% in valore e i farmaci gene­rici, il cui peso è cresciuto dal 14% al 31% in volumi e dal 7% al 23% in valore.

Rispetto al mercato dei farmaci off patent, si è assistito a una progressiva erosione delle quote di mercato dei farmaci generici a spese dei farmaci di marca. In confronto al 2009, l’incidenza dei farmaci generici è aumentata sia in termini di consumi a volumi (+10 punti percentuali) che in termini di valore (+11 punti percentuali). Questi dati testimoniano una crescente ac­cettazione dei farmaci generici come alternativa valida ai farmaci di marca coperti da brevetto.

Spesa e gare ospedaliere

In aggiunta alla farmaceutica territoriale, un ulteriore rilevante canale di vendita dei farmaci generici è rappresentato dalla farmaceutica ospedaliera per la quale, fino al 2020, è stato imposta una quota pari al 6,69% del Fondo Sanitario Nazionale. Con la delibera della Legge di Bilancio 2021, il valore del tetto della spesa farmaceutica per acquisti diretti è passato dal 7,65% del totale del Fondo sanitario nazionale all’attuale 7,80% % (2022), (al netto dei gas medicinali), con possibilità di essere rideterminato annualmente.

Al 2022, la spesa ospedaliera ha finanziato l’acquisto di 1,2 miliardi di uni­tà minime frazionabili di medicinali, con una prevalenza di farmaci branded off patent e farmaci coperti da brevetto, che rappresentano entrambi il 34,4% del complesso dei volumi, mentre la quota dei farmaci generici si attesta al 31,1%.

L’analisi del dato in serie storica evidenzia il prolungamento del trend che vede una flessione dei consumi ospedalieri a partire dall’anno 2018, con un marcato calo nel 2020, anno in cui l’emergenza pandemica aveva compor­tato una consistente riduzione dei consumi ospedalieri. Rispetto al 2021, i consumi si contraggono di 1,4 punti percentuali: tale perdita è imputabile in larga parte a una contrazione del mercato dei branded off patent – con i farmaci branded che si riducono di 5,3 punti percentuali, mentre risulta sta­bile il mercato degli in patent (0,2%) e in aumento quello dei generici, la cui crescita si attesta al +1,8%.

In linea con quanto osservato, il confronto con il 2021 mostra un aumento dell’incidenza sul mercato dei farmaci coperti da brevetto, che recuperano gradualmente quote e passano da 34,0% a 34,4%, dato tuttavia ancora lon­tano dal 40,3% segnato nel 2016, anno rispetto al quale si è registrata una flessione in termini relativi pari al 28,3%.

Per quanto concerne invece i farmaci off patent, i generici proseguono la tendenza espansiva degli ultimi anni (31,1% rispetto al precedente 30,0%), mentre i farmaci branded off patent perdono ulteriori quote di mercato, pas­sando da 35,9% a 34,4%.

Alla riduzione dei consumi si affianca un aumento della spesa a valore, in crescita del 5,3% rispetto al valore segnato nel 2021, indice della presenza sul mercato di prodotti sempre più ad elevato costo.

Tale aumento è imputabile a una variazione di segno positivo del mercato off patent, che si è ampliato di 36,9% punti percentuali, aumento di gran lunga superiore rispetto a quello segnato dal mercato in patent, che ha visto crescere le proprie vendite a valore del 2,5%.

Tra le due componenti del mercato off patent, sono i farmaci brand off patent a trainare in alto le vendite, con un aumento del 51,7%, mentre per i farmaci generici si evidenzia una sostanziale tenuta, con una espansione di soli 0,5 punti percentuali.

Conseguentemente, rispetto al 2021, il segmento off patent vede una con­trazione della propria incidenza sul mercato a valori, (da 91,7% a 82,9%): in relazione alla componente spesa, i farmaci branded off patent guadagnano quote di mercato (da 5,9% a 8,5%), mentre i generici si attestano su valori non dissimili da quelli evidenziati negli anni precedenti (2,3%).

Se si guarda tutto il periodo analizzato, dal 2016 la spesa ospedaliera a va­lore è cresciuta del 30%, per un incremento in termini assoluti pari a oltre 2,3 miliardi. Perfettamente in linea con l’aumento generale, quello dei farmaci in patent, la cui incidenza di mercato, con varie oscillazioni nel corso degli anni, si attesta sugli stessi valori del 2016. In termini relativi, l’incremento maggiore è stato registrato dai farmaci generici, cresciuti in valore di 47 pun­ti percentuali e la cui quota di mercato è passata dal 2,0% del 2016 al 2,3% del 2021.

Restringendo il perimetro di analisi al solo mercato non coperto da bre­vetto, tra 2021 e 2022 si osserva una contrazione delle unità vendute pari al -2,1% a cui è corrisposta una crescita della spesa pari al 36,9%. Nel medio pe­riodo, si è assistito alla progressiva espansione del peso dei farmaci generici sul mercato off patent, che dal 2016 è passato dal 39,1% al 47,5% in volume e dal 18,8% al 21,2% in valore.

Le procedure di gara delle strutture pubbliche

La spesa per farmaci nel settore ospedaliero è in costante espansione ne­gli ultimi anni, risultato di vari fattori che agiscono in combinazione. Tra di essi, rientrano certamente la disponibilità di prodotti farmaceutici altamente innovativi dal punto di vista tecnologico e un cambiamento nell’approccio alla prescrizione, che ha portato a un maggiore coinvolgimento dei medici specialisti ospedalieri. Di conseguenza, nei confronti dei modelli di acquisto basati su procedure di gara c’è un crescente interesse sia da parte delle isti­tuzioni pubbliche che da parte degli operatori privati, che auspicano un’e­voluzione delle modalità di collaborazione con gli enti che indicono le gare d’appalto.

Nel 2022 si registra un considerevole aumento della numerosità delle pro­cedure negoziate, con 707 gare bandite nel complesso e una crescita sull’an­no precedente di 60 punti percentuali.

Nel dettaglio, le gare e le procedure aperte passano da 119 a 177, per un aumento in termini percentuali pari al +48,7%, mentre le RDO e le procedure negoziate da 323 a 530 (+64,1%), intensificando il trend di crescita evidenzia­tosi a partire dall’anno 2020.

L’incentivazione al ricorso alle RDO e alle procedure negoziate rispetto alle gare aperte – interpretabile come sintomatico di una criticità in materia di centralizzazione delle gare pubbliche – può essere in parte imputabile alla non aggiudicazione dei lotti per mancanza di offerte nelle stesse, dovute a base d’asta poco competitive.

Contestualmente alla crescita delle gare, si rileva una espansione del nu­mero dei lotti banditi, sia in relazione alle gare aperte (da 6.831 a 9.920, per una crescita pari a +45,2 punti percentuali) che alle RDO e alle procedure ristrette (da 595 a 743, che determinano un aumento pari al 24,9%). In con­seguenza della maggiore intensità di crescita delle gare rispetto ai lotti si evidenzia una riduzione sia dei lotti banditi per gara, il cui valor medio de­cresce da 75 a 68 relativamente alle gare e procedure aperte – proseguendo una tendenza in costante diminuzione dal 2017 -, che dei lotti delle RDO e procedure negoziate, il cui valor medio si attesta da 4 del 2021 all’attuale 2, in linea con i valori segnati a partire dal 2016. La contrazione del numero medio di lotti banditi è senz’altro legata alla attuale maggior frammentazione delle gare, con una minor presenza, rispetto a periodi precedenti, di gare di grandi dimensioni.

Per una migliore comprensione dell’andamento delle gare pubbliche ospe­daliere, è essenziale considerare altri due indicatori chiave: la percentuale di lotti non assegnati rispetto al totale di quelli banditi e il tasso di partecipazio­ne alle gare da parte delle imprese. Questi indicatori sono particolarmente significativi poiché consentono di stimare, da un lato, il successo comples­sivo delle procedure di gara e, quindi, la capacità di soddisfare la domanda e l’offerta, e, dall’altro lato, l’idoneità delle condizioni di partecipazione alle gare.

Concentrandosi sulla percentuale di lotti non assegnati rispetto al totale dei banditi, l’analisi dei dati in serie storica evidenzia un andamento parti­colarmente variabile di questo indicatore. Nel 2022, l’incidenza dei lotti non assegnati raggiunge il valore massimo della serie analizzata, arrivando al 34,7%: oltre un lotto su tre è risultato non aggiudicato. Se da un lato tale aumento può essere interpretato come un fenomeno fisiologico derivante dall’aumento del numero di procedure di gara, dall’altra parte tale dato è sicuramente meritevole di attenzione, perché rappresenta unitamente alla crescita delle procedure ristrette (RDO) un campanello d’allarme sulla te­nuta complessiva del sistema. Sarà importante attendere i dati del 2023 per comprendere se questo aumento rappresenta un’ulteriore fluttuazione tem­poranea o il punto di avvio di una tendenza consolidata.

Il tasso di partecipazione alle gare delle imprese evidenzia che il rapporto fra il numero delle offerte complessivamente presentate dalle imprese nel 2022 ed il numero di lotti banditi si mantiene su valori leggermente superio­ri rispetto al 2021, passando da 1,85 a 2,01, proseguendo il trend di crescita avviatosi nel 2020 dopo un triennio (2016-2018) caratterizzato da una parte­cipazione meno elevata.

Nel contesto specifico del segmento degli “off-patent,” in particolare con­siderando l’indicatore che incrocia il numero medio di offerte per lotto ag­giudicato con la scadenza dei brevetti dei medicinali oggetto di gara, quanto osservato nel 2022 riflette perfettamente la situazione esaminata a partire dal 2018.

Il tasso di partecipazione delle imprese è infatti inversamente correlato al numero di anni trascorsi dalla scadenza del brevetto: le imprese concorrono principalmente nei primi anni successivi alla scadenza del brevetto, e con il passare degli anni dalla fine della protezione brevettuale, si osserva una marcata erosione dei prezzi, il che limita notevolmente la partecipazione e la competizione.

Lo scenario attuale del settore dei farmaci Generici: le forze in gioco

Negli ultimi anni, a partire dal diffondersi della pandemia nel 2020, pas­sando per lo scoppio della guerra in Ucraina con il conseguente aumento dei prezzi delle componenti energetiche e delle materie prime, si è creato il terreno fertile per l’attuale contesto economico, caratterizzato da una “oppri­mente” inflazione.

Tra i tanti settori coinvolti, a subire gli effetti negativi di questa congiuntu­ra economica globale, figura anche la farmaceutica e, in particolare, il com­parto dei farmaci generici, che opera in larga parte all’interno di un mercato nel quale i prezzi rimangono fissi. Le aziende del comparto hanno già spe­rimentato, a partire dalla seconda parte del 2021, un aumento sostanziale dei prezzi di approvvigionamento lungo l’intera catena del valore con un pesante impatto sulla struttura dei costi in tutte le sue componenti chiave: dai prezzi delle materie prime come principi attivi ed eccipienti, ai materiali di confezionamento (vetro, plastica, carta, alluminio), dai trasporti alle fonti energetiche3.

A livello nazionale, i singoli Paesi hanno mantenuto politiche restrittive nella definizione del livello dei prezzi dei farmaci da collocare sul mercato, chiedendo alle aziende partecipanti alle gare di aggiudicazione il rispetto di ulteriori requisiti industriali, il cui soddisfacimento comporta ulteriori inve­stimenti

Le aziende si trovano quindi strette in una morsa tra aumento dei costi produttivi e pressione al ribasso dei prezzi finali che sta minando la soste­nibilità del settore. In risposta a queste dinamiche si iniziano ad osserva­re alcuni nuovi fenomeni di vasta portata che vedono il consolidamento a monte dei (già pochi) produttori di principi attivi farmaceutici (API) e a valle dei medicinali finiti. In altri termini, stiamo assistendo ad un cambiamento strutturale del contesto competitivo, con riorganizzazioni industriali delle catene del valore che si articolano tra le differenti aree del mondo.

La conseguenza più evidente e tangibile di queste criticità è la carenza di medicinali, quali antibiotici e farmaci oncologici, che vari Paesi europei han­no dovuto fronteggiare nell’ultimo anno.

In Italia, secondo i dati dell’Agenzia italiana del farmaco, a ottobre 2023 i farmaci con difficoltà di reperibilità si attestavano a 3.512, in costante au­mento negli ultimi 5 anni.

È quindi in gioco sia l’accessibilità dei pazienti ai farmaci, sia la tenuta in­dustriale di uno dei comparti più strategici per la crescita e la competitività europea.

La vulnerabilità delle catene di approvvigionamento

Se la progressiva globalizzazione delle catene di approvvigionamento ha portato, da un lato, ad una maggiore specializzazione nelle operazioni di produzione, dall’altro lato, come osservato recentemente, può tramutarsi in una potenziale fonte di vulnerabilità. Nella produzione di uno specifico far­maco entrano infatti in gioco una serie di componenti provenienti da una lunga catena di approvvigionamento: partendo dall’utilizzo delle materie prime critiche, fondamentali per lo sviluppo dei principi attivi e degli ecci­pienti, passando per i materiali necessari per la somministrazione dei far­maci e giungendo ai materiali impiegati per il packaging; ognuno di questi componenti richiede competenze tecniche specifiche e processi sofisticati da coniugare con la necessità delle aziende di realizzare economie di scala suf­ficienti. Per questo motivo, ogni piccolo intoppo che si verifica all’interno del ciclo produttivo può creare un effetto domino negativo che va ad intaccare tutti gli altri componenti, mettendo a rischio, di conseguenza, anche la pro­duzione del medicinale finito.

Ciò viene maggiormente acuito dalla dipendenza da un’unica fonte o da una singola area geografica, che in periodi storici caratterizzati da instabilità dei mercati può rappresentare una minaccia alla continuità delle fornitu­re, così come avvenuto a partire dallo scoppio della pandemia da Covid-19. Questa possibile dipendenza può manifestarsi a livello di medicinale finito oppure a livello di materie prime critiche, principi attivi o prodotti intermedi e può costituire motivo di vulnerabilità quando si è soggetti all’operato di un unico fornitore.

Se si prende in considerazione la quota di produzione globale di principi attivi in Europa, si osserva come essa sia calata sensibilmente, dal 53% regi­strato nel 2000 all’attuale 25%. Di contro, la quota di produzione di API in Cina risulta in rapido aumento, e oggi rappresenta oltre il 20% delle nuove registrazioni (figura 4.3).

Questo significativo calo di produzione ha reso l’Europa fortemente di­pendente da altri Paesi, soprattutto Cina ed India, che – potendo contare su costi operativi e di investimento inferiori del 20-40% rispetto ai Paesi euro­pei – forniscono ai mercati dell’Unione Europea oltre il 56% del fabbisogno produttivo di principi attivi. Se alle materie prime si affiancano anche i pro­dotti intermedi, questa dipendenza si acuisce ancor di più, raggiungendo una quota pari al 74%4.

I farmaci generici assolvono ad una funzione fondamentale all’interno delle dinamiche relative all’assistenza sanitaria, garantendo, attraverso una logica di mercato basata sulla concorrenza dei prezzi, un maggiore e più ampio accesso ai medicinali per i pazienti. Tuttavia, in particolare a partire dalla crisi finanziaria del 2008-2009, la maggior parte dei Paesi europei ha incentrato il proprio modello di sviluppo del mercato dei farmaci generici esclusivamente sul contenimento dei costi della spesa sanitaria attraverso politiche legate alla determinazione dei prezzi, degli appalti e dei rimborsi sempre più al ribasso.

Per cercare di adattarsi a queste politiche di continuo contenimento dei prezzi, l’industria dei generici ha dovuto ottimizzare ed efficientare quanto più possibile la propria capacità produttiva, gestendo le fabbriche ai mas­simi livelli di utilizzo. Ciò costituisce una rilevante problematica, poiché, a fronte di un aumento inaspettato della domanda di medicinali o al verificarsi di criticità con i fornitori, le aziende – non disponendo di capacità di riserva nelle catene di approvvigionamento6 – non sono in grado di fronteggiare tali circostanze.

In uno scenario così articolato per quanto riguarda le catene di approvvi­gionamento, l’aumento dei prezzi su tutte le componenti di costo principali ha messo in grande difficoltà le imprese. Mediamente, secondo un recente rapporto di Medicines for Europe, nel 2022 i costi di trasporto sono cresciuti fino al 500%, i costi della materia prima tra il 50% e il 160%, i costi del packa­ging tra il 20% e il 33%, i prezzi dell’energia tra il +65% del gas e il +30% dell’elettricità.

Le imprese hanno in larghissima parte dovuto assorbire questa impennata dei costi produttivi, riadattando per quanto possibile i processi di approvvi­gionamento e comprimendo le marginalità industriali. Tuttavia, allo stesso tempo, data la prospettiva persistente di queste dinamiche, alcune imprese hanno iniziato a valutare il costo-opportunità industriale di produrre deter­minati farmaci con prezzi schiacciati verso il basso – a titolo di solo esempio, in Spagna la metà dei farmaci equivalenti venduti ha un prezzo inferiore a 1,60 euro per scatola o flacone7-, arrivando a decidere di interrompere alcune produzioni.

Ciò ha comportato un fenomeno nuovo e inaspettato: la carenza di medici­ne su diversi mercati europei. In 10 anni sono scomparsi dai mercati europei il 26% dei farmaci equivalenti, il 33% degli antibiotici e il 40% dei farmaci oncologici.

In diverse tipologie di medicinali il numero di aziende che producono e ne commercializzano l’utilizzo è calato drasticamente nell’ordine del 30-40%, lasciando solo un fornitore o due nella maggior parte dei Paesi. L’impo­verimento del tessuto industriale con l’uscita di alcuni operatori dal mercato e la perdita di farmaci a disposizione dei pazienti stanno mettendo a nudo le fragilità del settore.

Eccessiva competizione e ricorso al prezzo più basso comportano nel corso degli anni un progressivo calo del numero di aziende partecipanti alle gare.

Ad oggi i criteri di gara si basano esclusivamente sul prezzo, con una corsa al ribasso che si conclude con la sopravvivenza dell’azienda dotata del sistema di approvvi­gionamento e produzione più robusto.

È tuttavia noto come la Commissione Europea stia indirizzando i singoli paesi e i vari operatori economici verso una transizione ecologica in grado di limitare gli effetti disastrosi dei cambiamenti climatici. Una transizione giusta e ineludibile che le aziende hanno abbracciato con convinzione, met­tendo in campo rilevanti investimenti di trasformazione e cambiamento. Sarebbe dunque auspicabile che nelle procedure pubbliche d’acquisto non fosse utilizzato come unico criterio il prezzo, prevedendone altri in grado di premiare produzioni che puntino su processi altamente innovativi e tecno­logie di lavorazione sostenibili.