Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura del dott. Marco Boni
La Magistratura contabile afferma che nel corso della pandemia sono aumentati i costi della sanità, ma comunque spendendo meno delle altre nazioni europee, pur reggendo il confronto nell’efficienza.
Le maggiori risorse impiegate nella sanità hanno interrotto il trend decennale di contenimento della spesa nel settore. Lo afferma la Corte dei conti nel Referto, approvato con Delibera n. 19/SEZAUT/2022/FRG, che la Sezione delle Autonomie ha presentato al Parlamento sulla gestione finanziaria 2020-2021 dei servizi sanitari regionali.
Pandemia, legislazione emergenziale e dinamiche di spesa
Secondo le analisi della Corte, il biennio 2020-2021 ha segnato una netta rottura di “trend”, con una spesa sanitaria che, se si include il 2022, è cresciuta mediamente del 5%: oltre tre punti in più rispetto all’1,3% del valore medio del quadriennio pre-pandemico.
In valore pro capite percentuale e a parità di potere d’acquisto, la spesa sanitaria è cresciuta, nel solo esercizio 2020, dell’8,4%. Una crescita consistente e, tuttavia, inferiore a quella di Regno Unito (20,2%), Germania (9,7%) e Spagna (9,5%), ad eccezione della Francia (5,0%). Gli effetti della pandemia non sono limitati ai maggiori costi, ma riguardano anche la riduzione della domanda e della fruizione di servizi sanitari già finanziati, per via delle restrizioni alla libertà di movimento.
I risultati delle Regioni “in piano di rientro” sembrano relativamente migliori e mostrano una riduzione da 2,1 a 0,7 miliardi di euro dei disavanzi dei servizi sanitari tra il 2012 e il 2020 (con qualche segnale di peggioramento nel 2021), e indicherebbero un positivo sviluppo gestionale, già maturato con la “spending review” 2012-2019. Il risanamento finanziario, inoltre, non sembra essere avvenuto a scapito dei LEA (migliorati costantemente almeno fino al 2019, tranne limitate eccezioni) ma sono ancora significative le differenze geografiche nei servizi territoriali, come quelli per le cure palliative ai malati di tumore, il numero di anziani non autosufficienti in trattamento socio-sanitario e l’assistenza domiciliare integrata. La riduzione del volume delle prestazioni sanitarie è stata generalizzata in tutte le Regioni italiane, con un numero delle dimissioni ospedaliere sceso, in media, del 20% sul 2019, con tassi inferiori nel Nord-est (17%) e maggiori al Sud (25%).
Oggetto dell’analisi è il periodo nel quale il Sistema sanitario nazionale si è trovato ad affrontare, in modo del tutto imprevedibile, l’emergenza pandemica da Covid-19. Si è interrotto un percorso decennale di contenimento della spesa sanitaria, di una sua riduzione percentuale rispetto al Pil, che ha trovato origine in un imponente e sistemico impianto di disposizioni soprattutto a partire dal 2011-2012, dettate, in particolar modo, dalla crisi finanziaria. Nel biennio esaminato si è creato uno scalino nella spesa complessiva che ora i documenti di programmazione prospettano di riportare a un livello in linea con quello pre-pandemia. Dal marzo 2020, con la sospensione dei meccanismi sanzionatori delle procedure per deficit eccessivi previste dal Patto di stabilità e di crescita (articolo 126 TFUE), si è operato con strumenti emergenziali finanziati con il ricorso al disavanzo. Gli esiti dell’analisi effettuata inducono a ritenere che in generale la gestione dei servizi sanitari sia stata improntata a prudenza ed efficacia, anche se caratterizzata inizialmente da importanti percentuali di accantonamenti delle risorse aggiuntive per fronteggiare l’emergenza. I risultati delle Regioni “in piano di rientro” sembrano relativamente migliori, e questo farebbe pensare a un positivo sviluppo gestionale, già maturato nel processo della “spending review” che ha caratterizzato il periodo 2012-2019, nel quale i disavanzi dei servizi sanitari regionali si sono ridotti, nell’arco temporale 2012-2020, da 2,1 a 0,7 miliardi di euro. Di contro, si nota qualche segnale di peggioramento nel 2021. Il risanamento finanziario non sembra essere avvenuto a scapito dei LEA, che anzi sono migliorati costantemente almeno fino al 2019, tranne alcune limitate eccezioni. Più in generale, nell’arco temporale 2009-2019 si è assistito a un incremento rilevante della spesa per pensioni e assistenza sociale e una dinamica più contenuta della spesa sanitaria: la spesa per le prestazioni sociali in denaro aumenta del 30%, quella per il SSN dell’8%. L’incidenza percentuale della spesa sanitaria sul Pil regredisce di due decimi di punto, dal 6,6% al 6,4%, mentre quella per le prestazioni sociali in denaro (pensionistiche e assistenziali) incrementa di 3,2 punti percentuali, dal 16,9% al 20,1%. Rispetto a questo contesto, il biennio 2020-2021 rappresenta una netta rottura di “trend” e, se si include anche il 2022, la spesa sanitaria è cresciuta in media del 5% (con un forte aumento soprattutto nei consumi intermedi), un valore superiore di oltre tre punti percentuali a quello medio del quadriennio pre-pandemico (1,3%). In valore pro capite percentuale a parità di potere d’acquisto, nel 2020 l’incremento della spesa rispetto al 2019 è stato pari all’8,4%, una crescita consistente ma meno elevata di quella verificatasi nel Regno Unito (20,2%), in Germania (9,7%) e Spagna (9,5%), e superiore solo a quella della Francia (5,0%). Va tenuto presente che la maggior spesa che si legge nei dati di contabilità nazionale non coincide con il “costo” della pandemia, che è ben superiore, in quanto le restrizioni alla libertà di movimento hanno compresso la domanda e la fruizione di servizi sanitari già finanziati, determinando, come sottolineano tutti i verbali dei “tavoli di monitoraggio”, costi cessanti di cui occorre tener conto. Nel biennio 2020-2021 l’emergenza sanitaria ha comportato la difficoltà di accesso alle prestazioni sanitarie non Covid; tale fenomeno ha trovato una indiretta conferma nelle anticipazioni finora emerse sui risultati del monitoraggio dei Livelli essenziali di assistenza per l’anno 2020, di cui si attende ancora la pubblicazione, e nell’allungamento dei tempi di attesa. Per questo ultimo profilo, il legislatore nazionale ha adottato iniziative specifiche dirette al recupero delle c.d. liste di attesa (ad es. d.l. n. 104/2020 e d.l. n. 73/2021). La riduzione in volume delle prestazioni sanitarie è stata generalizzata in tutte le Regioni italiane. Il numero delle dimissioni ospedaliere (in regime di ricovero e di day hospital) è risultato essere mediamente inferiore del 20% a quello del 2019, con tassi inferiori nel Nord-est (17%), e maggiori al Sud (25%). 4. A questa situazione, Parlamento e Governo hanno fatto fronte con una imponente legislazione emergenziale, intervenendo sia con una significativa immissione di personale in tutte le forme contrattuali possibili – riducendo o sospendendo temporaneamente i vincoli precedenti – sia prevedendo un maggiore sviluppo della rete di assistenza sanitaria territoriale e disponendo un programma mirato di potenziamento ospedaliero e di dotazione tecnica nei settori critici dei posti di terapia intensiva, area medica ad alta potenzialità, servizi DEA e di pronto soccorso. I risultati sembrano corrispondere agli scopi proposti dalle norme, anche se si osserva una certa lentezza nella fase iniziale di spendita effettiva (segnalata dalle SRC), per poi passare a una netta accelerazione nel 2021 e nel 2022. L’innalzamento della dotazione di posti letto di terapia intensiva, fino a raggiungere il rapporto di 0,14 posti letto per 1.000 abitanti, è stato uno degli obiettivi della legislazione emergenziale (d.l. n. 34/2020) approvata nel corso del 2020, e successivamente assorbita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) nella Missione 6 – Salute; il monitoraggio condotto dal Ministero della Salute (AGENAS) sui posti letto “attivi” nelle terapie intensive indica che, alla data del 29 ottobre 2022, gran parte delle Regioni ha raggiunto tale valore-soglia.
Il referto Della Corte dei Conti dedica un’attenzione particolare al settore degli investimenti sanitari che, insieme a quello del personale, più è stato sacrificato nel corso del decennio precedente. Gli investimenti degli enti del SSN, dopo essersi ridotti, nell’arco temporale 2008-2019, del 37,8% (circa -4 miliardi), nel 2021 registrano una crescita del 66% rispetto al 2019 (+1,6 miliardi), superando, in valore assoluto, per la prima volta dopo 13 anni, il livello del 2008. Nel periodo 2013-2019, a causa dell’insufficiente volume di investimenti per il settore sanitario, il valore netto della dotazione di capitale del SSN declina dell’8,2%, passando da 84 a 79 miliardi. In base ai dati di cassa rilevati dal sistema informativo Siope, nel 2021 i pagamenti per gli investimenti fissi lordi degli enti del SSN sono stati pari a 2,3 miliardi, in crescita del 41,8% rispetto al 2019 (1,6 miliardi), con un valore pro capite di 36,6 euro, in aumento del 37,1% rispetto al 2019 (26,7 euro). I pagamenti su base regionale evidenziano scostamenti significativi tra le diverse realtà territoriali attorno al valore medio nazionale di 29,8 euro nel 2020.
Nell’arco temporale 2008-2019, l’esame della composizione della spesa sanitaria in percentuale del totale evidenzia il ridimensionamento di quella per i redditi da lavoro dipendente, che decresce di tre punti, dal 34,8% al 31,7%, e l’incremento di sette punti percentuali dei consumi intermedi, dal 23,1% al 30,2%; tale andamento riflette il blocco del turn over e delle altre misure di contenimento delle dinamiche retributive, particolarmente stringenti nel periodo 2012-2019, nel quale la spesa per i redditi da lavoro dipendente è incrementata, in valori percentuali cumulati, dell’1,1%, pari, in valore assoluto, a 0,347 miliardi.
L’analisi dedica una specifica attenzione alla funzione dei LEA anche in sede dell’attività di controllo, in linea con la giurisprudenza costituzionale, e in particolare la sentenza della Corte costituzionale n. 142 del 2021. Il confronto tra i risultati del 2016 e quelli del 2019 in base agli indicatori della griglia LEA e del Nuovo sistema di garanzia (NSG), mostra un percorso di progressivo miglioramento nella erogazione dei LEA, con una generale riduzione delle Regioni di enti che non soddisfano gli standard minimi richiesti. Il Rapporto sul monitoraggio dei LEA per il 2019 segnala, in base agli indicatori del NSG, carenze più pronunciate soprattutto nei servizi a carico del livello distrettuale dell’assistenza sanitaria, cui spetta il compito di gestire le cronicità coordinando ed integrando l’assistenza ospedaliera con quella territoriale, e nella piena implementazione di quelle infrastrutture digitali che supportano gli sviluppi della telemedicina. Mentre gli indicatori che misurano l’appropriatezza dei ricoveri ospedalieri sono generalmente positivi, rimangono quindi significative differenze geografiche nei servizi territoriali, come quelli per le cure palliative ai malati di tumore, il numero di anziani non autosufficienti in trattamento socio-sanitario, l’assistenza domiciliare integrata (ADI).
Le politiche di finanziamento dei sistemi sanitari condizionano l’accessibilità alle cure, la qualità dei servizi e la stessa efficienza dell’organizzazione del sistema sanitario, in virtù dello stretto legame tra l’effettività del diritto alla salute, costituzionalmente garantito, e le risorse disponibili e investite per renderlo concreto e sostenibile Il finanziamento sanitario a carico dello Stato ha registrato un andamento di crescita nel periodo 2001- 2008, cui è seguito un periodo di rallentamento della dinamica di incremento, fino al 2020, anno in cui, con le ulteriori risorse impiegate dallo Stato per affrontare l’emergenza sanitaria, si è invertita la tendenza di riduzione degli incrementi. Le prospettive future, invece, volgono verso un ridimensionamento della crescita della spesa sanitaria. Con la definizione del Fondo sanitario nazionale si determinano annualmente le risorse necessarie e finanziariamente sostenibili ai fini dell’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza. Nel corso del 2020 e 2021 lo Stato ha stanziato risorse aggiuntive per affrontare la pandemia da Covid19: a tali risorse hanno avuto accesso tutte le Regioni e le Province autonome, in deroga alle disposizioni legislative che stabiliscono per le autonomie speciali il concorso regionale e provinciale al finanziamento sanitario corrente (Regione Valle d’Aosta, Province autonome di Trento e di Bolzano, Regione Friuli-Venezia Giulia e Regione Sardegna provvedono al finanziamento del rispettivo fabbisogno senza alcun apporto a carico del Bilancio dello Stato, mentre per la Regione siciliana è stabilita dal 2009 un’aliquota di compartecipazione del 49,11% del suo fabbisogno sanitario).
Il d.lgs. n. 68/2011 ha introdotto rilevanti modifiche alla determinazione del fabbisogno sanitario nazionale standard e alla determinazione dei costi e dei fabbisogni standard regionali: infatti, il decreto citato ha previsto una procedimentalizzazione del meccanismo di determinazione dei fabbisogni regionali e un meccanismo comparativo tra i servizi sanitari delle singole Regioni con l’obiettivo di incentivare le migliori performance.
Dall’analisi della mobilità attiva e passiva emerge la forte capacità attrattiva delle Regioni del Nord, cui corrisponde quella estremamente limitata delle Regioni del Centro-Sud. La maggiore o minore attrattività dipende principalmente dalla maggiore qualità e quantità dei servizi sanitari erogati, oltre che da altri fattori che incidono in misura minore quali l’andamento dell’economia – che porta ad un trasferimento della popolazione verso le Regioni più ricche – e la presenza di centri universitari di eccellenza. Non è un caso che le Regioni con maggiore capacità attrattive siano posizionate nei primi posti nel punteggio complessivo assegnati per la valutazione dei LEA relativi all’anno 2019.
I conti economici consolidati degli enti sanitari a livello regionale registrano un incremento del valore della produzione del 6,29% (da 124,9 miliardi di euro a 132,7 miliardi di euro) e dei costi della produzione del 5,91% rispetto alla serie storica analizzata (da 122,8 miliardi di euro a 130,1 miliardi di euro). Il differenziale della gestione caratteristica risulta incrementato del 29,27%. I dati contabili evidenziano un miglioramento del risultato della gestione ascrivibile quasi completamente all’incremento delle risorse avvenuto nell’anno 2020 a seguito dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Particolare attenzione è stata dedicata al costo del personale che ha subito un incremento del 5,4% (da 34,3 miliardi a 36,2 miliardi) in maniera uniforme nelle singole realtà regionali salvo qualche sporadica eccezione, contestualmente analizzando nel dettaglio la voce di costo “Consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e socio-sanitarie” in costante aumento nel triennio (38,32%). Lo Stato Patrimoniale consolidato, che rappresenta la consistenza del patrimonio al termine dell’esercizio, è stato (al netto della Regione Calabria in quanto non presente alla data di estrazione dei dati) scomposto nelle sue principali voci attive e passive. Tra le poste attive, quelle che presentano un peso maggiore sono rappresentate dai crediti, che hanno ridotto il loro peso sul totale dell’attivo dal 40% al 33% nel triennio considerato, e dalle disponibilità liquide che, al contrario, hanno aumentato il loro peso dal 21,9% al 32%. Tra le voci del passivo che sono state analizzate vi è la voce debiti (ridotta dello 0,84%), con particolare riguardo a quelli verso fornitori, che nel triennio hanno registrato una leggera flessione (-1,78%). La voce “patrimonio netto” ha nel corso degli ultimi anni registrato un incremento dell’8,93% (da 31,6 miliardi a 34,5 miliardi).
A conclusione dell’analisi si rileva che la legislazione emergenziale ha previsto una serie di misure di rafforzamento del Sistema sanitario nazionale, messo a dura prova dal dilagare della pandemia da Covid. I provvedimenti emanati hanno riguardato trasversalmente una serie di profili. Dal punto di vista finanziario, essi hanno comportato un incremento delle risorse destinate dallo Stato al finanziamento della gestione sanitaria, oltre che l’aumento delle disponibilità di cassa relative all’anticipazione del finanziamento sanitario e l’obbligo del trasferimento integrale agli enti sanitari delle somme incassate dallo Stato. Al contempo, gravava sulle Regioni e Province autonome, monitorate congiuntamente dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’obbligo di redigere programmi operativi aventi ad oggetto le modalità di amministrazione ed utilizzo di tali risorse incrementali. Le iniziative per fronteggiare la pandemia hanno riguardato anche il potenziamento della rete ospedaliera, con particolare riferimento alla terapia intensiva, e l’attivazione di aree sanitarie temporanee interne ed esterne alle strutture di ricovero, cura ed accoglienza, in deroga ai requisiti previsti dalla legge in tema di accreditamento. Con riferimento all’assistenza territoriale, su impulso del governo centrale, le Regioni hanno provveduto alla costituzione di Unità speciali di continuità assistenziale (USCA) e alla definizione di specifici piani regionali con l’attivazione di Centrali operative con funzione di raccordo tra i servizi territoriali ed il sistema di emergenza-urgenza. Referto al Parlamento sulla gestione finanziaria dei servizi sanitari regionali.
Nell’ambito delle misure adottate per il contrasto all’emergenza pandemica sono stati introdotti una serie di interventi per il rafforzamento della rete ospedaliera ed in particolare per le terapie intensive e sub-intensive. Il decreto Cura Italia (d.l. n. 18/2020) ha finanziato l’acquisto di impianti ed attrezzature per la cura dei pazienti affetti da Covid-19 e ha disposto altresì il potenziamento dei reparti ospedalieri di terapia intensiva, diramando le linee di indirizzo assistenziali individuate specificamente dal Ministero della Salute per i pazienti Covid. Ulteriore misura di rafforzamento del Sistema sanitario nazionale, in fase emergenziale, ha riguardato l’attuazione dei piani di riorganizzazione, adottati dalle Regioni e Province autonome e finalizzati a incrementare il numero di posti letto nei reparti di terapia intensiva e sub-intensiva, ad adeguare e ristrutturare i Pronto Soccorso e, infine, ad aumentare la dotazione di automezzi per i trasporti dei pazienti. L’obiettivo principale di tali piani di riorganizzazione è quello di rendere strutturale sul territorio nazionale la dotazione di almeno 3.500 posti letto di terapia intensiva. Per ciascuna Regione e Provincia autonoma, l’incremento strutturale individua una dotazione complessiva pari a 0,14 posti letto per mille abitanti. La previsione di programmazione prevede anche una riqualificazione di 4.225 posti letto di area semi-intensiva, con relativa dotazione impiantistica idonea a supportare le apparecchiature di ausilio alla ventilazione, mediante l’adeguamento e la ristrutturazione di unità di area medica. Il d.l. n. 18/2020, ha previsto, all’art. 4-bis, l’istituzione delle “Unità speciali di continuità assistenziale” con l’obiettivo di ottenere un monitoraggio costante e un tracciamento precoce dei casi e dei contatti al fine di assicurare la gestione domiciliare dei pazienti affetti da Covid-19. L’attuazione delle misure per il rafforzamento dell’assistenza sanitaria territoriale ha portato all’attivazione di 1.194 USCA su 1.210 attese
La spesa per il SSN durante l’emergenza sanitaria da covid-19 nel biennio 2020-2021
Anno 2021
La necessità di fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid 19 ha segnato, nello scorso biennio, una forte discontinuità nella crescita delle risorse finanziarie e della spesa corrente e di investimento per il SSN rispetto al decennio 2010-2019. In base ai dati di contabilità nazionale presentati con il Def 2022, la spesa sanitaria per il 2021 è risultata essere pari a 127,8 mld, in incremento del 4,2% rispetto al 2020 (+5,1 miliardi in valore assoluto). È un valore superiore di circa 0,700 miliardi alle previsioni formulate nel Def di aprile 2021 (127,1 mld), sul quale hanno pesato in maniera determinante i maggiori costi derivanti dalla campagna vaccinale, quantificati complessivamente in 3,2 miliardi, e dal protrarsi dell’emergenza pandemica. Tuttavia, malgrado il tasso di variazione della spesa sull’anno precedente sia risultato essere superiore alle previsioni (4,2% anziché 3%), l’incidenza sul Pil si è ridotta di un decimo di punto (dal 7,3% al 7,2%), a causa di una crescita dell’economia, certificata dalla NaDef 2022, pari al 6,7% , superiore di due punti percentuali alle previsioni del Def 2021 (4,7% in volume).
Anno 2020
Nel 2020, la spesa sanitaria corrente, pari a 122,7 miliardi42 , è incrementata del 6,1% rispetto al 2019 (+7,1 mld in valore assoluto), a fronte di una variazione annua media, nel quadriennio precedente alla pandemia, dell’1,3%, mentre, dal lato delle entrate, il FSN per il medesimo anno, ripartito dal CIPE tra le Regioni e le Province autonome (al netto quindi delle ulteriori risorse per il 2020, a carico del Commissario straordinario della Protezione civile per la copertura delle spese anticipate43 dalle Regioni), è stato pari a 120,6 mld44 , in crescita del 5,3% sul 2019, ossia circa cinque volte il dato medio annuale del periodo 2016-2019 (1,1%). Rispetto al Fondo sanitario nazionale standard concordato tra Stato, Regioni e Province autonome con il Patto della salute 2019-2021 per il biennio 2020-2021 (pari, rispettivamente, a 116,5 e 118,0 mld, le maggiori risorse ripartite dal CIPE per il SSN a seguito della pandemia hanno quindi determinato un incremento cumulato delle necessità di finanziamento di circa 7 miliardi, mentre la spesa sanitaria è risultata essere maggiore di circa 9,3 miliardi rispetto ai tendenziali delineati dal Def 2019. In valore pro capite percentuale, a parità di potere d’acquisto, nel 2020 l’incremento della spesa rispetto al 2019 è stato pari all’8,4%, con una crescita in ogni caso meno elevata di quella verificatasi in Regno Unito (20,2%), Germania (9,7%), Spagna (9,5%), e superiore solo a quella della Francia (5,0%). In valore assoluto, nel 2020 la spesa pubblica pro capite italiana è stata pari a 2.851 USD, inferiore di oltre il 50% a quella della Germania (5.905 USD), del 38,4% a quella della Francia (4.632 USD), e del 31,4% a quella della Regno Unito (4.158 USD).