Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi.
Con sentenza del 18 ottobre 2018 (causa C-606/17), la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è intervenuta sul delicato equilibrio tra sanità pubblica e sanità privata.
La questione era stata rimessa alla CGUE da un’articolata sentenza del Consiglio di Stato (Sez. III, 4 ottobre 2017, n. 4631) volta, in sostanza, a definire il campo di applicazione della disciplina europea in tema di contratti pubblici.
La controversia era stata originariamente avviata da una impresa del settore sanitario, la quale aveva contestato il fatto che alcune strutture sanitarie pubbliche, senza il previo esperimento di una gara pubblica, avevano affidato direttamente, per la durata di tre anni, la fornitura di un farmaco ad una struttura sanitaria formalmente privata, ancorché inserita nel sistema pubblico sulla base di apposita convenzione nella sua qualità di ospedale classificato equiparato.
Nel contratto la fornitura era qualificata come gratuita, rimanendo a carico delle amministrazioni sanitarie pubbliche unicamente il costo del trasporto dei farmaci, ma prevedendo, in parallelo, che la Regione versasse all’istituto privato una sovvenzione specificamente destinata alla produzione del suddetto farmaco.
In primo grado il TAR aveva escluso l’illegittimità della procedura sostenendo come il rapporto giuridico contestato, anche in considerazione della sua gratuita, riguardasse una particolare modalità organizzativa del servizio sanitario pubblico, afferendo al fisiologico sviluppo delle relazioni istituzionali tra le amministrazioni regionali e gli ospedali classificati o equiparati. Secondo il TAR, dunque, l’inserimento funzionale dell’ospedale privato nel Servizio Sanitario Regionale varrebbe pertanto a collocare tale struttura al di fuori del mercato e, quindi, della concorrenza.
Il Consiglio di Stato aveva sollevato dubbi sulla sentenza di primo grado, sia rispetto alla presunta gratuità della prestazione, sia rispetto alla natura giuridica degli ospedali classificati e, in particolare, alla loro equiparabilità a veri e propri enti pubblici.
La Corte di Giustizia ha condiviso i dubbi del Consiglio di Stato sconfessando la sentenza del TAR.
In primo luogo, la Corte di Giustizia ha accertato la natura onerosa del contratto, in considerazione, in un’ottica sostanziale, dell’esistenza di un corrispettivo della fornitura, costituito dal sovvenzionamento concesso specificamente dalla Regione all’istituto privato, e ricordando come un contratto che preveda uno scambio di prestazioni rientri nella nozione di appalto pubblico a titolo oneroso anche nel caso in cui la remunerazione prevista sia limitata al rimborso parziale delle spese sostenute.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito il proprio indirizzo secondo cui gli appalti conclusi da entità pubbliche non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto unitario in materia di appalti pubblici, oltre che nel caso degli affidamenti in house, quando i contratti istituiscono una cooperazione tra soggetti pubblici finalizzata a garantire l’adempimento di una funzione di servizio pubblico comune e sempre che sussistano, cumulativamente, le seguenti condizioni:
1. che tali contratti siano stipulati esclusivamente tra entità pubbliche, senza la partecipazione di una parte privata;
2. che nessun operatore privato sia posto in una situazione privilegiata rispetto ai suoi concorrenti;
3. che la cooperazione istituita da detti contratti sia retta unicamente da considerazioni ed esigenze connesse al perseguimento di obiettivi d’interesse pubblico.
Nel caso di specie, tuttavia, la Corte ha escluso in radice che il contratto di fornitura si potesse configurare come una cooperazione tra entità pubbliche, riconoscendo come gli ospedali classificati siano a tutti gli effetti dei soggetti privati nella loro “gestione”, sia sotto il profilo del finanziamento, sia sotto quello della governance.
La pronuncia della Corte di Giustizia dovrebbe contribuire a mettere chiarezza in una zona d’ombra, sia nell’ambito degli appalti pubblici, scoraggiando la pratica degli affidamenti diretti mediati da asseriti accordi di collaborazione tra enti pubblici e garantendo trasparenza e concorrenzialità, sia sulla natura giuridica degli ospedali privati, con possibili riflessi anche in altri ambiti.
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