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Limiti all’applicazione del principio di risultato

Avv. Maria Ida Tenuta

La recente sentenza del Consiglio di Stato n. 7798 del 25 settembre scorso si è occupata dei limiti all’applicazione del principio di risultato, di cui all’art. 1 D.Lgs. 36/2023.

Come noto, il primo articolo del D.Lgs. 36/2023 è dedicato al principio di risultato, che permea l’intero impianto normativo e che rappresenta una delle novità più importanti introdotte dal nuovo codice.

Il risultato a cui le stazioni appaltanti devono mirare, in linea generale, è l’affidamento e la realizzazione di commesse pubbliche di qualità, al miglior prezzo possibile e nel minor tempo possibile.

Il principio di risultato richiama, a sua volta, i principi fondamentali su cui si deve fondare l’azione amministrativa ovvero l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, che sono espressione del principio buon andamento della Pubblica amministrazione, sancito dall’art. 97 Cost..

Dall’entrata in vigore del Codice la giurisprudenza ha fatto piena applicazione del principio del risultato traducendosi – in termini di sindacato – come espressione di una valutazione non più formale ma sostanziale (di scopo appunto) della questione giuridica controversa (ad es. sull’applicazione del principio di risultato al soccorso istruttorio v. TAR Bolzano, 25.10.2023 n. 316 e sull’applicazione del principio di risultato alla verifica dell’anomalia v. TAR Milano, 28.09.2023 n. 2171).

La giurisprudenza ha ritenuto che il principio di risultato debba essere il criterio interpretativo volto ad una lettura non formalistica degli atti e della procedura di gara, avendo come obiettivo prioritario la correttezza sostanziale del modo di procedere della stazione committente.

Ed infatti il TAR Napoli, con sentenza del 15.01.2024 n. 377, aveva affermato che: “…nell’analisi dei casi concreti va considerata l’esigenza di garantire il conseguimento dell’obiettivo dell’azione pubblica (con il riconoscimento del prioritario interesse al pronto raggiungimento delle finalità dell’appalto), essendo destinati a recedere quei formalismi ai quali non corrisponda una concreta ed effettiva esigenza di tutela del privato» e della collettività”.

Sul punto il TAR Catania, con sentenza del 12.12.2023 n. 3738 aveva statuito che: “…ogni Stazione Appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività. Trattasi quindi di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della p.a., in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile.» È stato quindi ritenuto dal Collegio che rientra nella discrezionalità dell’amministrazione individuare le qualifiche professionali ritenute più adeguate allo svolgimento de servizio, «in un’ottica protesa al miglior risultato possibile per il soddisfacimento dell’interesse pubblico perseguito dall’affidamento»”.

In buona sostanza, il principio di risultato è stato declinato dalla giurisprudenza quale criterio interpretativo volto a superare in maniera ancora più netta i casi di “vuoti formalismi”, al fine di tutelare l’interesse della Stazione Appaltante ad ottenere prestazioni orientate a garantire il miglior “risultato”.

Ci si è chiesti dunque quale sia il rapporto tra il principio di risultato e quello di concorrenza e quali siano i limiti quindi all’applicazione del principio di risultato.

In merito alla concorrenza si è affermato che la stessa avrebbe dovuto essere comunque funzionale al perseguimento del risultato, quasi che il principio di risultato fosse una sorta di principio sovraordinato rispetto a “classici” principi che connotano le procedure pubbliche di selezione.

In particolare, il Giudice Amministrativo ha stabilito che anche la tutela del principio della concorrenza non dovrebbe recare pregiudizio alla causa finale della procedura di gara, ossia al raggiungimento del risultato, nel senso che la concorrenza sarebbe comunque funzionale a conseguire il miglior risultato possibile: “La tutela della concorrenza e del mercato non deve trasmodare in un pregiudizio per la causa finale e per l’oggetto diretto e principale della tutela approntata dalla disciplina di settore, costituiti “dall’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”, come recita l’attuale art. 1 del nuovo codice di cui al decreto legislativo n. 36 del 2023, in quanto “La concorrenza tra gli operatori economici è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell’affidare ed eseguire i contratti”». (Consiglio di Stato, sez. III, 15.11.2023 n. 9812).

La sentenza in commento delinea, invece, i limiti dell’applicazione del principio di risultato stabilendo che proprio la tutela della concorrenza e della par condicio competitorum non possono essere “sacrificate” in nome del raggiungimento del risultato, che deve essere un risultato “virtuoso”.

In particolare, la vicenda in questione muove da una procedura aperta avente ad oggetto il trasporto scolastico; il secondo classificato aveva impugnato l’aggiudicazione sostenendo, tra le varie censure, di aver ricevuto un punteggio per una voce dell’offerta tecnica inferiore rispetto a quello assegnato all’aggiudicatario; in particolare, sosteneva la seconda classificata, che il criterio del punto 3.1. del disciplinare di gara prevedeva l’assegnazione di un punteggio premiale all’offerta di autobus con incentivi ambientali che non le era stato illegittimamente riconosciuto; l’equivoco sarebbe sorto a causa di un mero errore materiale nella redazione dell’offerta tecnica, ma dalla documentazione successivamente allegata dalla ricorrente (i.e. fatture di acquisto dei veicoli) alla stazione appaltante risulterebbe che tali mezzi sarebbero idonei, invece, a ricevere gli incentivi in questione. Il TAR ha respinto la censura ritenendo che la produzione di tale documentazione dopo la scadenza del termine di presentazione delle offerte costituisse una illegittima modifica dell’offerta. In particolare, il Giudice ha chiarito che l’errore materiale in cui è incorso l’operatore economico nella compilazione dell’offerta tecnica è emendabile solo quando, nel contesto dell’offerta, esso è riconoscibile come tale dalla stazione appaltante perché non sussistono dubbi circa la volontà del concorrente, e lo stesso può essere rettificato senza ricorrere a fonti esterne all’offerta quindi non sarebbe ammessa la produzione documentale postuma.

La seconda classificata ha quindi impugnato la sentenza affermando che tale produzione documentale non avrebbe modificato l’offerta tecnica bensì avrebbe solo rettificato un errore materiale, sicché – anche in ragione del principio di risultato e del principio della fiducia – avrebbe dovuto ottenere un punteggio maggiore e collocarsi, per l’effetto, al primo posto della graduatoria.

Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello, non ravvisando alcun errore materiale, ma ritenendo integrata la modifica dell’offerta tecnica in corso di gara tale da determinare la violazione dei principi di concorrenza e par condicio competitorum.

Il Collegio ha affermato che il perseguimento del risultato non consente, in ogni caso, la violazione della concorrenza e della par condicio competitorum: “…proprio l’enfatizzazione del principio del risultato non può portare a massimizzare il valore oggettivo della prestazione offerta sin dall’inizio dall’originario aggiudicatario della commessa’. Neppure si può ritenere che l’applicazione del ‘principio del risultato’ e del ‘principio della fiducia’ possa consentire all’Amministrazione di violare i criteri che rappresentano il sestante delle procedure di gara, ossia la tutela della concorrenza e la par condicio competitorum. Se è vero che l’Amministrazione deve tendere al miglior risultato possibile, in difesa dell’interesse pubblico, tale risultato deve essere comunque il più ‘virtuoso’ e viene raggiunto selezionando gli operatori che dimostrino, fin dalle prime fasi della gara, diligenza e professionalità, quali espressione di una affidabilità che su di essi dovrà essere riposta al momento in cui, una volta aggiudicatari, eseguiranno il servizio oggetto di affidamento.”.

In conclusione, anche se il principio di risultato viene considerato quale criterio interpretativo principale della disciplina di gara, volto a superare inutili formalismi, teso a garantire all’Amministrazione l’affidamento e la realizzazione di commesse pubbliche di qualità, al miglior prezzo possibile e nel minor tempo possibile, allo stesso tempo tale risultato ha un limite: deve essere raggiunto assicurandosi che gli operatori economici siano diligenti e professionali, ossia che nell’espletamento della gara abbiano rispettato le regole della concorrenza e della par condicio competitorum.