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Il Corriere della Sera di mercoledì 20 aprile pubblica un articolo dal titolo “Pulizie nelle scuole: Cantone boccia la proroga degli appalti”.
Il titolo è fuorviante, perché sembrerebbe indicare un articolo di semplice relazione su un’attività di contrasto all’uso smodato delle proroghe. In realtà l’articolo riporta di una contrapposizione tra norme: quella contenuta nella legge così detta della “Buona Scuola” e il codice degli appalti.
Con la riforma “Buona Scuola”, dello scorso luglio, si è prorogata la durata degli appalti di pulizia delle scuole, già sottoposta a una prima proroga, fino al 31 luglio 2016. La motivazione della proroga sarebbe la necessità di garantire la continuità del contratto dei lavoratori del settore interessati: in caso di cambiamento dell’aggiudicatario del contratto si teme che vengano licenziati per far posto alle maestranze della nuova ditta. L’ANAC sostiene, al contrario, che la proroga non sia necessaria, in quanto è già vigente una norma che obbliga la ditta subentrante ad assumere i dipendenti della precedente aggiudicataria, per evitare ricadute sociali e, di conseguenza, la boccia in quanto può comportare spreco di denaro pubblico.
In sostanza, l’ANAC dice che non dovrebbe essere possibile derogare dalla normativa appalti per non sottrarre l’appalto alla competizione tra vari fornitori e, dunque, alla possibilità di avere minori costi per la pubblica amministrazione.
Tutto corretto, sembrerebbe. Ma si deve notare che, nell’ambito dei servizi che si basano, come le pulizie, sulla prestazione di mano d’opera, i fornitori possono competere, per ribassare i prezzi, solo in due modi:
Se è vero, come è vero, che esiste la necessità di mantenere, però, gli stessi livelli occupazionali, evidentemente la prima soluzione non può andare bene, perché un’ottimizzazione che diminuisca l’impiego di mano d’opera crea eccedenza della stessa e di conseguenza comporta riduzione del numero di addetti, esattamente la preoccupazione del legislatore della “Buona Scuola”.
Al contrario, con la seconda soluzione si manterrebbe il numero degli addetti, ma si dovrebbero trovare soluzioni per diminuirne il costo, ad es. favorendo la creazione di cooperative da parte dei lavoratori stessi, che potrebbero derogare dal mantenimento dei salari, in quanto soci lavoratori.
In buona sostanza, la necessità di contenere i costi per la PA, espressa in molteplici leggi e ribadita dalla nota dell’ANAC, può essere sostenuta solo con l’intervento sui lavoratori: o riducendone il numero o pagandoli di meno!
Risparmiare senza ricadute sociali è un ossimoro, uno dei tanti, delle revisioni della spesa tanto in voga: per dirla in maniera un po’ maschilista (chiedo a priori le scuse delle signore) è il classico tentativo di avere la botte piena e la moglie ubriaca.
di Gianmaria Casella