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“Modificare il Codice Appalti è una perdita di tempo”

Stefano Esposito   Politico PD

Sono ormai settimane che la politica è impegnata in una discussione molto spesso surreale sul tema Codice Appalti basata su una singolare tesi sulle ragioni per le quali in Italia le opere pubbliche e private sarebbero bloccate. Con una logica abbastanza ipocrita si individuano nel Codice Appalti e alcune volte anche in Anac i principali responsabili di questa situazione.  Da più parti emerge la richiesta di cancellare o modificare profondamente le norme previste per gli appalti e tutto questo viene giustificato con la necessità, a mio avviso presunta, di far ripartire il paese.

Ovviamente nessuno è interessato a capire se e come il codice degli appalti abbia davvero creato problemi negli affidamenti e nella realizzazione delle opere pubbliche e negli appalti di servizio e forniture.  Basterebbe guardare i dati con attenzione per capire, senza ipocrisia, come in realtà dall’entrata in vigore del codice degli appalti nel lontano 2016 il numero delle gare bandite è costantemente cresciuto. I dati dell’Osservatorio CRESME – EDILIZIA e Territorio evidenziano, nel 2019, una brusca accelerazione con lavori e concessioni messi a gara con un incremento del 39,2% rispetto ai dati del 2018; ovviamente, come in tutti i dati italiani, c’è una differenza sostanziale tra nord, centro e sud. Il Nord in media segna un +50% e il Centro-Sud un +19%. Ma a mio avviso questa non è solo una questione di numeri è una questione di mentalità e cultura; in Italia si parla di trasparenza, di aprire le istituzioni come una scatoletta di tonno, di eliminare la corruzione dal mondo delle gare pubbliche ma alla fine quando il legislatore attua norme per garantire tutto questo si inizia con la logica semplicistica del blocco delle opere.

Mi permetto quindi di sottoporre all’attenzione del governo e di tutti quelli che sono impegnati a cercare soluzioni per “accelerare” e il sistema degli appalti pubblici che nell’attuale codice il legislatore ha previsto in due specifici articoli il 63 e il 163 che regolano in modo chiaro e semplice le procedure da utilizzare in caso di emergenza; ma nonostante la presenza di questi due articoli che autorizzano le stazioni appaltanti a operare in deroga in caso di calamità naturali questa possibilità è utilizzata pochissimo e non voglio dilungarmi sulle ragioni di questa scelta.

Credo che nella fase in cui ci troviamo invece di cercare strade tortuose e, a mio avviso, poco produttive per modificare il codice degli appalti il governo e il parlamento potrebbero, con una norma di pochissime righe, definire che per il periodo di emergenza Covid-19 si utilizzerebbero, in via esclusiva, per le gare di appalti di lavori, servizi e forniture, gli articoli sopra citati dando totale autonomia alle stazioni appaltanti con l’unico vincolo, a valle degli appalti, di relazionare le ragioni delle scelte fatte.

Questo modo di operare accelererebbe certamente l’assegnazione delle gare mantenendo in essere per esempio per le opere più importanti le procedure come la valutazione di impatto ambientale o la normativa antimafia.

Non ci sarebbe quindi più alcun bisogno di perdere tempo, che ormai non abbiamo, alla ricerca di soluzioni che produrrebbero in ogni caso un indebolimento strutturale del codice.

Una scelta di questo tipo darebbe anche copertura alle stazioni appaltanti sia sul piano amministrativo sia su quello giuridico.

Capisco sia più semplice immaginare commissari e norme straordinarie ma la storia ci insegna che sono delle scorciatoie non solo improduttive ma anche molto spesso dannose.

Mi auguro si voglia aprire seriamente una vera discussione su questa proposta, come ha fatto l’amico Graziano Delrio che conosce benissimo lo spirito e la logica alla base del codice appalti, senza continuare in un dibattito che è per larga parte finto e che di fatto merita un ragionamento complesso piuttosto che affidarsi alla scorciatoia della semplificazione.  (Fonte: hufffpost)