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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Uliana Garoli.
Il principio dell’immodificabilità dell’oggetto contrattuale nei contratti pubblici sovrintende all’esecuzione di ogni prestazione ed è stato riconfermato con previsioni ancora più rigide nell’art. 106 del nuovo Codice dei contratti pubblici.
La giurisprudenza, ormai consolidata, in ossequio al principio di parità di trattamento e obbligo di trasparenza, conferma il divieto a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, la stazione appaltante e l’aggiudicatario apportino all’appalto modifiche tali da presentare caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale.
Come prevedibile, la disposizione si presta all’insorgere di contenzioso e fa emergere la necessità di identificare in modo chiaro le differenze tra offerte migliorative e varianti progettuali.
Sul punto si è espressa una recente sentenza del Consiglio di Stato sez. V del 14/5/2018 n. 2853.
Sostanzialmente, sintetizzando le elaborazioni giurisprudenziali, le offerte migliorative consistono in soluzioni tecniche che investono singole lavorazioni o aspetti tecnici dell’opera lasciati aperti a diverse soluzioni, a patto che non incidano sulla struttura e sulla tipologia del progetto a base di gara.
Diversamente, le varianti progettuali consistono in modifiche del progetto di tale natura per cui, perché siano considerate ammissibili, è necessaria una preventiva manifestazione di volontà della stazione appaltante. Occorre, in ogni caso, una specifica previsione contenuta nel bando di gara e l’individuazione dei limiti entro i quali l’opera proposta dal concorrente vada a costituire qualcosa di diverso dal bando iniziale.
La norma di riferimento è l’art. 95 comma 14 del d.lgs. 50/2016 che contempla espressamente la possibilità di presentare varianti progettuali in sede di offerta in relazione all’appalto; in questo caso, tuttavia, l’amministrazione deve indicare, in sede di redazione della lex specialis, se le varianti sono ammesse e, in tal caso, deve identificare i requisiti minimi delle medesime. In mancanza della previsione specifica, le varianti si devono intendere non autorizzate. In questo senso si è pronunciata l’ANAC con delibera n. 1206 del 22/11/2017.
È evidente che, al fine di prevenire eventuali e possibili contenziosi, in caso di interpretazione delle clausole del bando di gara per l’aggiudicazione di un contratto con la Pubblica Amministrazione, si dovrà dare la prevalenza alle espressioni letterali, in modo da evitare il più possibile interpretazioni libere che possano ingenerare incertezze nell’applicazione dei contratti.
Tuttavia la giurisprudenza ha anche chiarito che, a prescindere dall’espressa previsione di varianti progettuali in sede di bando, deve ritenersi insito nella scelta del criterio selettivo dell’offerta economicamente più vantaggiosa la possibilità per le imprese di proporre soluzioni migliorative, purché non si alterino i caratteri essenziali delle prestazioni richieste dalla lex specialis (Cons. Stato sez. V 15.3.2016 n. 1027, Cons. Stato sez. V 11.12.2015 n. 5655).
La deroga al principio dell’immodificabilità (come indicato dall’art. 311 comma 1 d.P.R. 207/2010) è concessa qualora la stazione appaltante ammetta variazioni in casi ben individuati.
Nello specifico, per esigenze sopravvenute in caso di modifiche legislative, per cause impreviste e imprevedibili accertate dal responsabile del procedimento o per la presenza di eventi inerenti alla natura dei luoghi o dei beni sui quali si interviene, che si siano verificati nel corso dell’esecuzione del contratto.
In conclusione, nel caso in cui le modifiche contrattuali ammesse in corso di esecuzione di un contratto d’appalto, presentino caratteristiche di modifiche sostanziali, comporterebbero la necessità di realizzare un nuovo affidamento.
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