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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Maria Ida Tenuta
La sentenza del Consiglio di Stato n. 7756 del 6 settembre 2022 si è occupata del procedimento di revisione prezzi. In particolare, ancorché la fattispecie in concreto esaminata si riferisca alla revisione di cui al previgente comma 4, art. 6, della legge n. 537/1993, come sostituito dall’art. 44 della 1egge n. 724/1994, antecedente all’entrata in vigore dell’art. 115 D.Lgs. 163/2006 e poi al vigente art.106 D.Lgs. 50/2016, il Consiglio di Stato delinea e ricostruisce le caratteristiche generali del procedimento di revisione prezzi, qualificandolo come espressione della discrezionalità amministrativa.
Come noto, la disciplina della revisione del prezzo dei contratti pubblici di appalto di fornitura di beni e di servizi prevista dal comma 4, art. 6, della legge n. 537/1993, come sostituito dall’art. 44 della 1egge n. 724/1994 (applicabile ratione temporis al contratto di cui è causa) ha previsto l’obbligo di inserimento nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa della clausole di revisione prezzi, indicando quale parametro di riferimento per il calcolo del quantum il miglior prezzo di mercato tra quelli rilevati ed elaborati dall’ISTAT per i principali beni e servizi acquisiti dalle pubbliche amministrazioni. Non avendo, tuttavia, l’ISTAT provveduto alla rilevazione ed elaborazione dei prezzi di mercato, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI) determinato dall’ISTAT è stato individuato quale parametro di riferimento per supplire a tale carenza (Consiglio di Stato, sez. V, 8 maggio 2002, n. 2461; Consiglio di Stato, sez. V, 16 giugno 2003, n. 3373; Consiglio di Stato, sez. V, 14 dicembre 2006, n. 7461).
Analogamente il successivo art. 115 del D. Lgs. n. 163/2006 ha previsto l’obbligo di introdurre nei contratti ad esecuzione periodica o continuativa una clausola di revisione periodica del prezzo, da attivare a seguito di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili sulla base dei costi standardizzati per tipo di servizio e fornitura pubblicati annualmente a cura dell’Osservatorio dei contratti pubblici.
Subentrata la nuova norma, in mancanza della prevista pubblicazione dei costi standardizzati di cui all’art. 115, si è del pari ritenuto che la revisione di cui all’art. 115 possa ragionevolmente essere ancora effettuata sulla base dell’indice FOI pubblicato dall’ISTAT, che viene però considerato (salvo circostanze eccezionali che devono essere provate dall’impresa) come un limite massimo posto a tutela degli equilibri finanziari della pubblica amministrazione, e che pertanto non esime la stazione appaltante dal dovere di istruire il procedimento, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto al fine di esprimere la propria determinazione discrezionale.
L’art. 106 D.Lgs. 50/2016, con una formulazione assai infelice e soggetta a numerosi interventi legislativi, prevede genericamente l’applicazione della clausola di revisione prezzi senza specificarne il contenuto e i parametri di calcolo, con evidente richiamo alla terminologia del previgente art. 115 D.Lgs. 163/2006 e, quindi, alla giurisprudenza formatasi sul punto.
Come ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa i risultati del procedimento di revisione prezzi sono dunque espressione di una facoltà discrezionale, che sfocia in un provvedimento autoritativo, il quale deve essere impugnato nel termine decadenziale di legge (Cons. Stato, Sez. V, 27 novembre 2015 n. 5375, Consiglio di Stato sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4207; sez. V, 24 gennaio 2013, n. 465; sez. V, 3 agosto 2012 n. 4444; Corte di Cassazione, SS.UU. 30 ottobre 2014, n. 23067; 15 marzo 2011, n. 6016; 12 gennaio 2011, n. 511; 12 luglio 2010, n. 16285).
La sentenza in esame si inserisce nel solco giurisprudenziale indicato.
Nel caso in esame, l’appellante ha impugnato la sentenza di primo grado con cui con la quale è stata respinta l’istanza di adeguamento prezzi ex art. 6 della legge n. 537/1993, nonché per il riconoscimento della spettanza in capo alla medesima ricorrente dell’adeguamento prezzi.
In particolare, l’appellante ha sostenuto che l’obbligatoria inserzione della clausola di revisione periodica del prezzo, da operare sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione, comporterebbe un diritto all’automatico all’aggiornamento del corrispettivo contrattuale, che l’Amministrazione, invece, non avrebbe illegittimamente riconosciuto.
Il Consiglio di Stato ha rigettato l’appello.
Secondo il Collegio i risultati del procedimento di revisione prezzi, come ritenuto dalla consolidata giurisprudenza amministrativa, sono espressione di una facoltà discrezionale, dunque, la posizione dell’appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuare la revisione in base ai risultati dell’istruttoria (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275 e 24 gennaio 2013 n. 465), in presenza di una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante (Cass. SS.UU. 31 ottobre 2008, n. 26298), che deve effettuare un bilanciamento tra l’interesse dell’appaltatore alla revisione e l’interesse pubblico connesso sia al risparmio di spesa, sia alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato.
Il Consiglio di Stato afferma che lo scopo principale dell’istituto, pertanto, è quello di tutelare l’interesse pubblico ad acquisire prestazioni di servizi qualitativamente adeguate; solo in via mediata e indiretta la disciplina realizza anche l’interesse dell’impresa, a non subire l’alterazione dell’equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verificano durante l’arco del rapporto (Consiglio di Stato, Sez. III, Sentenza n. 4362 del 19-07-2011; conforme Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275; id., 24 gennaio 2013 n. 465)”.
Alla stregua di tali considerazioni, la determinazione della revisione prezzi viene effettuata dalla stazione appaltante all’esito di un’istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi (Consiglio di Stato, sez. III, 9/1/2017, n. 25 cit.) secondo un modello procedimentale volto al compimento di un’attività di preventiva verifica dei presupposti necessari per il riconoscimento del compenso revisionale, che sottende l’esercizio di un potere autoritativo di carattere discrezionale dell’amministrazione nei confronti del privato contraente, potendo quest’ultimo collocarsi su un piano di equiordinazione con l’amministrazione solo con riguardo a questioni involgenti l’entità della pretesa.
Di conseguenza, la posizione del privato contraente si articolerà nella titolarità di un interesse legittimo con riferimento all’ an della pretesa ed eventualmente in una situazione di diritto soggettivo con riguardo al quantum, ma solo una volta che sarà intervenuto il riconoscimento della spettanza di un compenso revisionale; tale costruzione, ormai del tutto ininfluente ai fini del riparto di giurisdizione, per effetto dell’art. 133, lett. e), punto 2), c.p.a., che assoggetta l’intera disciplina della revisione prezzi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mantiene inalterata la sua rilevanza con riferimento alle posizioni giuridiche soggettive del contraente dell’amministrazione.
La qualificazione in termini autoritativi del potere di verifica della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, comporta che il privato contraente potrà avvalersi solo dei rimedi e delle forme tipiche di tutela dell’interesse legittimo. Ne deriva che sarà sempre necessaria l’attivazione – su istanza di parte – di un procedimento amministrativo nel quale l’Amministrazione dovrà svolgere l’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale, compito che dovrà sfociare nell’adozione del provvedimento che riconosce il diritto al compenso revisionale e ne stabilisce anche l’importo. In caso di inerzia da parte della stazione appaltante, a fronte della specifica richiesta dell’appaltatore, quest’ultimo potrà impugnare il silenzio inadempimento prestato dall’Amministrazione, ma non potrà demandare in via diretta al giudice l’accertamento del diritto, non potendo questi sostituirsi all’amministrazione rispetto ad un obbligo di provvedere gravante su di essa (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 24 gennaio 2013 n. 465).
Alla luce di tali considerazioni il Collegio statuisce quindi che: “L’obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo, da operare sulla base di un’istruttoria condotta dai competenti organi tecnici dell’Amministrazione, non comporta pertanto anche il diritto all’automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l’Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti (Consiglio di Stato sez, III, 6/08/2018 n. 4827)”.
In conclusione, in presenza di una clausola di revisione prezzi non sussiste un diritto automatico ad ottenere il compenso revisionale ma l’esistenza della clausola impone all’Amministrazione di svolgere l’attività istruttoria in esito alla quale, valutate anche le circostanze concrete e non solo i parametri ISTAT e indice FOI, adotta un provvedimento che è espressione della discrezionalità amministrativa, e che potrebbe concludersi col rigetto della istanza revisionale.
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