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«Cambiare l’allegato che voleva riservare gli incentivi ai soli tecnici, per questo abbiamo ottenuto la modifica all’articolo 45. Sulla colpa grave capisco l’impegno del presidente Carbone a limitare il rischio per i funzionari pubblici, ma seguendo l’orientamento giurisprudenziale prevalente si ingessa l’innovazione. Più spazio al dibattito pubblico» – di Giorgio Santilli
«Il RUP oggi è un incaricato per la realizzazione di un appalto. Si tratta di un’investitura simile a quella medievale, nella quale il dirigente pubblico pone una spada sulla spalla del RUP e gli dice “Vai e gestisci questo appalto”. Peccato che a volte il RUP può essere un cavaliere come Lancillotto, molto più spesso invece è un povero soldato di ventura che non sa esattamente cosa deve fare e come lo deve fare». Questa descrizione immaginifica dell’ex Responsabile Unico del Procedimento, ora Responsabile Unico del Progetto, in base al nuovo codice degli appalti, è di Daniele Ricciardi, presidente di ASSORUP, l’associazione che ha l’ambizione di rappresentare i RUP di tutta Italia e già oggi può contare su alcune centinaia di adesioni e del riconoscimento di stakeholder istituzionali come ANAC e Scuola nazionale della pubblica amministrazione, mentre ha già svolto alcune audizioni parlamentari sul nuovo codice. Il battesimo ufficiale della nuova associazione avverrà il 6-7 ottobre a Roma con il primo congresso nazionale.
Presidente Ricciardi, la trasformazione del RUP nel nuovo codice è soltanto nominale o è anche sostanziale?
La trasformazione del ruolo nel nuovo codice non è stata soltanto nominale, perché è apprezzabile il fatto che il legislatore abbia voluto rafforzare le competenze dei RUP attraverso la previsione di un piano annuale di formazione e la necessità di garantire adeguate competenze. Resta però la criticità di un incarico che è legato soltanto a un’esperienza pregressa. Anche se l’esperienza pregressa non è stata entusiasmante, comunque vale per consentire al RUP di svolgere questa attività. Ma l’esperienza è un elemento necessario, non sufficiente.
Quali sono i problemi di riconoscimento e di organico?
I problemi di riconoscimento e di organico sono molteplici perché, come dicevo, il RUP è un incarico professionale che viene attribuito di volta in volta a colui o colei che sembra in quel momento la persona più adatta, ma che non sempre si lega all’inquadramento professionale e alle mansioni che il funzionario o comunque il dipendente deve avere.
Chi sono i RUP oggi?
Noi abbiamo alcuni RUP che sono semplici dipendenti e che anche in assenza dei requisiti minimi possono essere chiamati a fare il RUP. Poi abbiamo RUP che sono dirigenti della stazione appaltante ossia coincidono con il titolare del provvedimento finale dell’aggiudicazione. Abbiamo, quindi, una varietà di casistiche che non genera ordine in un sistema nel quale il RUP dovrebbe essere una figura professionale presente e costante all’interno dell’organizzazione aziendale. Soprattutto per quanto riguarda il mondo dei servizi delle forniture, che rappresentano circa l’80% degli appalti pubblici in Italia, è evidente che occorre avere una funzione di procurement che sia stabile. Come è stabile la funzione legale. Come è stabile la funzione contabile. È necessario, cioè, che gli approvvigionamenti vengano svolti da personale competente che appartiene alla funzione approvvigionamenti. Oggi invece, il RUP viene di volta in volta incaricato senza che ci sia questa stabilità di ruolo e ci sono strutture organizzative all’interno dell’ente, cosiddette strutture organizzative stabili, che supportano la figura del RUP ma non la sostituiscono.
Quindi bisognerebbe costituire una funzione ad hoc di procurement nelle amministrazioni pubbliche.
Sì. Il RUP deve diventare un ruolo organizzativo, deve essere una categoria professionale. Come c’è l’ufficiale di stato civile che si occupa dell’anagrafe, come c’è il provveditore nella sanità che si occupa appunto degli approvvigionamenti, così ci deve essere la figura del RUP stabilmente incardinata in qualsiasi organizzazione. Perché questa è una funzione di staff che è presente in tutte le organizzazioni, sia private che pubbliche.
Come pensate di ottenere questo riconoscimento?
Stiamo seguendo due direttrici. La prima è quella di una norma tecnica UNI che possa riconoscere e certificare la figura del RUP. La seconda è quella di intervenire all’interno del Testo unico del pubblico impiego e dei contratti collettivi nazionali relativi alle funzioni pubbliche per inserire questa categoria professionale.
Quindi questa è la battaglia che prescinde dal Codice degli appalti.
Questa è la battaglia e lo scopo finale di ASSORUP: la professionalizzazione del RUP con l’attribuzione di un ruolo che lo incentivi.
E che tipo di risposta avete avuto a queste richieste?
Con UNI, l’ente di normazione, abbiamo avviato un tavolo di riflessione, che contiamo di trasformare in un tavolo tecnico dopo un incontro estremamente positivo, anche perché siamo favoriti dal fatto di avere un ottimo rapporto con gli stakeholders istituzionali del settore, in primis ANAC e Scuola nazionale della pubblica amministrazione. Per quanto riguarda invece il riconoscimento del ruolo del RUP nell’ordinamento del pubblico impiego abbiamo fatto un protocollo d’intesa con un sindacato autonomo, CONFIAL, che ci dovrà dare il suo contributo proprio per ottenere il riconoscimento del RUP all’interno della disciplina del lavoro pubblico. Poi siamo in attesa di fissare un incontro dopo le ferie con il Ministro della Pubblica amministrazione Zangrillo.
I requisiti del RUP contenuti nell’allegato del codice appalti sono sufficienti?
La nostra proposta è la patente del RUP che non si basa soltanto sui requisiti a livello di titoli o di esperienza, ma su un esame di Stato che possa riconoscere il RUP e classificarlo all’interno di quattro categorie che abbiamo proposto: base, intermedio, avanzato ed esperto.
E se pochissimi facessero questo esame e ci fosse una fuga da questa figura, da queste responsabilità, un po’ come sta succedendo con la qualificazione delle stazioni appaltanti?
È un’obiezione che mi sento fare, cui rispondo legando necessariamente la figura del RUP al tema degli incentivi. Avevamo chiesto e abbiamo ottenuto di modificare l’articolo 45 citando espressamente il RUP come destinatario degli incentivi. Ora la partita fondamentale è rendere effettivo e funzionante il sistema degli incentivi che accresca l’interesse dei RUP a qualificarsi e ad accrescere le competenze.
Qual è la vostra proposta per far funzionare il sistema degli incentivi?
Ci aspettiamo anzitutto che sia riformato l’allegato al codice sugli incentivi, a partire dal titolo, perché non possiamo dare gli incentivi alle solo attività delle funzioni tecniche, ma dobbiamo far funzionare il sistema degli appalti. Quindi l’elenco delle attività incentivate va riscritto. Ma noi pensiamo anche a una riforma radicale del sistema degli incentivi. Serve un fondo nazionale unico che superi la contrattazione decentrata che dovrebbe essere fatta da 30mila stazioni appaltanti, una per una. Stazioni appaltanti che infatti non stanno emanando i regolamenti sugli incentivi pure previsti entro trenta giorni dall’entrata in vigore del codice. È evidente che ci sono una serie di criticità che bloccano gli incentivi. Allora dico che serve un fondo nazionale alimentato direttamente dal 2% degli importi degli appalti e una contrattazione nazionale che accentri le decisioni su come e a chi vadano distribuiti gli incentivi. So che è una proposta delicatissima, perché qui parliamo di un fondo da 5-6 miliardi, il valore di una legge finanziaria, ma siamo convinti che sia l’unico modo per far funzionare effettivamente gli incentivi e destinarli a un miglioramento di efficienza del sistema.
Nel nuovo codice ci sono criticità specifiche per l’attività del RUP?
La principale criticità è quella sulla colpa grave. Sono convinto che il Presidente Carbone, attraverso la disposizione dell’articolo 2, comma 3, abbia voluto circoscrivere i rischi per il RUP, disponendo che si incorre in una colpa grave soltanto se si agisce contro la giurisprudenza prevalente. Lo ringrazio quindi per il tentativo di dare un significato puntuale alla colpa grave ed eliminare questo rischio. Tuttavia, per noi si tratta di una scelta sbagliata perché nel momento in cui io mi voglio tutelare, scelgo l’orientamento giurisprudenziale prevalente e in questo modo faccio decidere le sorti degli appalti pubblici alla giurisprudenza amministrativa e non più ai dirigenti e ai funzionari dell’amministrazione. Con il risultato di bloccare qualunque tentativo di innovazione perché l’innovazione nasce dal tentativo che un RUP o un funzionario pubblico fa di cambiare le cose, andando anche contro l’orientamento prevalente della giurisprudenza. La prima volta magari ha una sentenza avversa, ma poi, insistendo, chiarendo e migliorando la motivazione, unendosi ad altri provvedimenti che vogliono innovare, alla fine può cambiare la giurisprudenza. Nel modo scelto dal codice, invece, si rischia di generare una stasi degli appalti pubblici.
Che aspettative avete su quanto debba accadere ora?
Ci attendiamo che arrivi un regolamento unico che riformi i 36 allegati al codice. Ma questo ce lo aspettiamo soltanto dopo un correttivo che dovrà sistemare alcune cose. Sarà comunque il provvedimento clou. Credo che la direzione di marcia debba essere di risolvere una serie di problemi cui si trovano di fronte le stazioni appaltanti.
C’è qualcosa che apprezzate particolarmente e che magari andrebbe potenziato?
Un istituto che apprezziamo molto è il dibattito pubblico che vorremmo estendere ben oltre quanto individuato dal codice. Non dico che arriverei alle forniture di cancelleria, ma certo una forte estensione perché è un esercizio fondamentale di democrazia diretta e può aiutare a risolvere molte criticità progettuali. Per cominciare lo estenderei a tutte le concessioni, non solo di lavori pubblici, perché ogni volta che viene assegnata una concessione, c’è un servizio che riguarda direttamente i cittadini, gli utenti e l’amministrazione pubblica deve tutelare anzitutto i diritti degli utenti. Può farlo attraverso il dibattito pubblico, i cittadini hanno il diritto di esprimersi preventivamente.
(Fonte: Diario dei nuovi appalti)