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Inutile girarci intorno: alcuni strati dell’opinione pubblica, neppure troppo residuali, guardano ancora ai farmaci equivalenti con malcelata diffidenza. Una realtà comprovata al di là di ogni dubbio da un dato: dei quasi 2,9 miliardi di euro di ticket corrisposti dai cittadini nel 2017, più di un miliardo è dovuto alle quote sborsate dai chi, pur di portarsi a casa un medicinale branded, è disposto a pagare la differenza di prezzo tra questo e la sua versione generica, come rilevato nello scorso mese di luglio da una ricognizione della Fondazione Gimbe su quella che definì “la giungla dei tocket italiani”.
Sul problema torna un position paper della Sif, la Società italiana di Farmacologia, che evidenzia come ancora oggi “troppi operatori sanitari e troppi pazienti considerano, per mancanza di una corretta informazione, gli equivalenti farmaci inferiori a quelli di riferimento in termini di efficacia e sicurezza”. Convincimento che, afferma risolutamente la Sif, è ovviamente “del tutto falso”. Da qui la decisione della società scientifica di proseguire nel percorso intrapreso da tempo per fare chiarezza sul tema, eliminando dubbi e pregiudizi, attraverso una puntuale opera di informazione finalizzata a favorire il corretto impiego dei farmaci, a tutela della salute dei cittadini.
Un percorso che include, tra le altre iniziative, il progetto EquiBios-Sif, nato nel 2018, con il quale la società scientifica – in collaborazione con diverse università – si propone di fornire ai professionisti della salute di domani (medici, farmacisti, infermieri) conoscenze aggiornate sulla realtà dei farmaci equivalenti e biosimilari e sui percorsi regolatori che portano alla loro immissione in commercio. Il position paper licenziato dalla Sif lo scorso 16 ottobre prosegue appunto l’impegno dei farmacologi italiani in questa direzione, come spiega con chiarezza il presidente della società Alessandro Mugelli , per il quale “non è più accettabile che gli studenti non ricevano una informazione precisa da chi questi temi li conosce, per formazione, molto bene. Purtroppo, la nostra esperienza è che troppi operatori sanitari hanno convinzioni errate, non avendo avuto questo tipo di informazione durante l’università”.
Il position paper ripropone i basics dei farmaci equivalenti, evidenziando che si tratta di medicinali che contengono lo stesso principio attivo del farmaco di riferimento, ottenuto per sintesi, ovvero tramite reazioni chimiche standardizzate e riproducibili. “Poiché per i farmaci di riferimento è già disponibile un’ampia documentazione di efficacia clinica e di sicurezza, acquisita grazie all’uso pluriennale del farmaco nella pratica clinica quotidiana, il farmaco equivalente (ovviamente con la stessa composizione qualitativa e quantitativa in termini di principio attivo) dovrà unicamente dimostrare di essere ‘bioequivalente’ rispetto al farmaco di riferimento” si legge nel documento Sif. “Si deve cioè dimostrare che le differenze di comportamento tra i due farmaci nell’organismo (sostanzialmente i parametri rilevanti per il profilo farmacocinetico, cioè il tempo di assorbimento e la concentrazione massima raggiunta) non sono diversi rispetto all’intervallo di variabilità ritenuto internazionalmente compatibile con la bioequivalenza e quindi con la loro equivalenza terapeutica. Come per qualsiasi altro farmaco, i controlli sugli equivalenti sono rigorosi e continui e per quei farmaci con basso indice terapeutico (antiepilettici, anticoagulanti orali, antiaritmicie altri), gli intervalli per i criteri di bioequivalenza sono più stretti”.
Il position paper ricorda anche che nessun farmaco, sia esso branded o equivalente, può essere immesso in commercio in Europa senza l’autorizzazione da parte di un’autorità regolatoria nazionale o europea, a garanzia della qualità del farmaco. A significare, appunto, che – stante l’assoggettamento a percorsi autorizzativi rigorosi quanto quelli dei farmaci branded – gli equivalenti sono medicinali che offrono tutte le garanzie di efficacia, qualità e sicurezza dei medicinali a marchio corrispondenti: I pregiuduzu e gli stigmi negativi nei loro confrnti, dunque, sono del tutto privi di giustificazione.
La conclusione del documento è tutta nel segno dell’informazione corretta e certificata, unico possibile rimedio ai pregiudizi che ancora frenano il ricorso agli equivalenti in Italia, dove i livelli di prescrizione e di utilizzo, anche se progressivamente cresciuti nel corso degli ultimi anni, sono ancora significativamente inferiori “rispetto a quasi tutti gli altri Stati europei (Germania, Regno Unito) o extraeuropei (Stati Uniti, Canada)”, oltre a essere caratterizzati da “Una inspiegabile variabilità interregionale”.
“Ancora oggi troppi operatori sanitari e troppi pazienti considerano, per mancanza di una corretta informazione, gli equivalenti come farmaci inferiori rispetto a quelli di riferimento in termini di efficacia clinica, tollerabilità e, addirittura, di qualità” conclude infatti il position paper Sif. “Ciò, ovviamente, è del tutto falso; l’esperienza nell’uso clinico quotidiano, i dati provenienti dalla letteratura scientifica, la qualità dei percorsi autorizzativi e dei controlli da parte delle autorità regolatorie deve rassicurare sanitari e pazienti sulla loro sovrapponibilità in termini di qualità, efficacia e sicurezza”.