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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Maria Ida Tenuta
La recente sentenza del TAR Sardegna n. 770 del 16 novembre scorso ha affrontato il tema della possibilità di “rinegoziare” il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto, con particolare riferimento all’istanza di revisione prezzi.
In particolare, come noto, le modifiche previste dall’art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016 sono riferite ai “contratti”, dal che può dedursi che il contratto debba essere stato già stipulato, perché se ne possa prospettare una sua modifica.
La giurisprudenza prevalente ha affermato, quindi, che deve essere rigettata la domanda di modifica delle pattuizioni prima di procedere alla stipulazione del contratto.
Ed infatti, secondo tale indirizzo il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale. È quanto avviene se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l’appalto, in modo considerevole, a elementi non previsti, o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi (Consiglio di Stato, Sez. IV, 31/10/2022, n 9426 che richiama la sentenza del 19 giugno 2008, pressetext Nachrichtenagentur, C-454/06, EU:C:2008:351, punti da 34 a 37).
Secondo tale indirizzo l’istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, ossia in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso.
E così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria sarebbe tutelata, quindi, con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta (T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 marzo 2022, n. 239; in termini anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10.06.2022, n. 1343).
In buona sostanza, tale tesi esclude, dunque, l’ammissibilità dell’applicazione analogica dell’istituto previsto della revisione prezzi previsto prima dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006 ed oggi disciplinato dall’art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, ad un momento antecedente alla stipulazione del contratto, perché lo spazio che precede la stipulazione sarebbe già pienamente regolato dai principi dell’evidenza pubblica e della par condicio tra concorrenti, nonché dell’immodificabilità dell’offerta, i quali non consentirebbero alcun cambiamento dell’oggetto dell’appalto o del contenuto della proposta del privato (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 27 novembre 2017, n. 11732).
Si è formato, peraltro, un diverso indirizzo giurisprudenziale che ha ritenuto, al contrario, valorizzando la ratio dell’istituto in esame, che esso sia ascrivibile, nel suo complesso, sia all’esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali sia a quella di evitare vere e proprie forme di diseconomia procedimentale (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667 e T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228).
In tal senso, secondo tale orientamento la legislazione in materia di appalti pubblici è sì ispirata al rispetto del principio di concorrenza, ma anche informata ai criteri di efficacia ed economicità, e anche come sia irragionevole ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggano, vieppiù nella particolare ipotesi in cui l’impresa sia rimasta “vittima” delle sopravvenienze.
Sotto altro profilo, si è poi rilevato che “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario” (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667).
La sentenza del TAR Sardegna si inserisce nel solco giurisprudenziale indicato, aderendo alla seconda delle tue tesi prospettate dalla giurisprudenza.
La controversia esaminata dal Collegio riguarda la validità dell’art. 3 del contratto stipulato tra le parti, che, premesso l’ammontare dell’appalto, “salvo quanto previsto riguardo gli eventuali adeguamenti del canone, da riconoscere all’Appaltatore, di cui al presente contratti (a solo titolo esemplificativo e non esaustivo: maggiori utenze (…)”, prevede l’adeguamento del canone non solo in riferimento all’indice FOI, ma anche “in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell’offerta (come da Tabelle pubblicate dal Ministero del Lavoro – Novembre 2010)”.
Per il Comune resistente tale previsione contrattuale sarebbe nulla, in quanto contrastante con lo schema di contratto allegato all’aggiudicazione, che riprendeva il contenuto del Capitolato e limitava la revisione prezzi entro il limite di cui all’indice FOI; il contratto stipulato sarebbe nullo in parte qua, per contrasto anche con quanto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile, che prevede inderogabilmente la previsione di una clausola di revisione prezzi nel limite massimo dell’indice FOI, salva la ricorrenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, nonché perché, in tal modo, il contratto avrebbe sostanzialmente rinegoziato le condizioni poste a base della gara.
La ricorrente, invece, replica che “nella fattispecie non si discorre dell’adeguamento prezzi annuale (che è un evento fisiologico di ogni contratto d’appalto), bensì della determinazione del corrispettivo di base, che, in seguito ad una situazione patologica (la stipulazione del contratto a distanza di due anni dalla gara) non era più coerente, già al momento dell’avvio del servizio, con i costi del servizio messo in gara (perché, nelle more, era aumentato il numero di utenti da servire ed era aumentato, altresì, il costo del lavoro)”, risultando perciò inconferenti le considerazioni in merito all’insuperabilità dell’indice FOI.
Il TAR Sardegna ha accolto il ricorso.
In particolare, il TAR nel richiamare i due orientamenti giurisprudenziali sopra indicati, ha ritenuto di aderire al secondo indirizzo, ritenendo possibile, quindi, “rinegoziare” il contenuto di alcune clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e il contratto.
Il Collegio ha affermato di condividere altresì gli assunti dottrinali favorevoli a questa seconda impostazione ermeneutica, che richiamano, da un lato, la correttezza del ricorso all’analogia essendovene tutti presupposti, di cui all’art. 12 disp. prel. c.c., quali la lacuna dell’ordinamento, in quanto non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto e l’”eadem ratio”; dall’altro, la corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento, dell’amministrazione (richiamato dall’art. 30, comma 1, del codice dei contratti pubblici), scongiurerebbe una riedizione della procedura, che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorché non “essenziale”, delle condizioni.
Sotto altro profilo, il TAR afferma che il principio di immodificabilità del contratto non avrebbe carattere assoluto anche alla luce della giurisprudenza comunitaria.
Ed infatti la Corte di Giustizia UE, sez. VIII, nella sentenza del 7 settembre 2016, in C. 549-14, avrebbe chiarito che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale.
Ciò avviene, ha stabilito la Corte, solo quando le modifiche previste hanno l’effetto: a) di estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti; b) di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario; c) di rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.
Su tali basi, e richiamando l’istituto di cui all’art. 106 del vigente Codice dei Contratti, il Collegio ha ritenuto che tale complesso di principi e regole trovi applicazione anche al caso di specie ancorché le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche intervenute nella fase fra la aggiudicazione e la stipula del contratto.
Il TAR ha ritenuto, quindi, legittima la clausola del contratto nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso, in relazione all’aumento del costo del personale e del numero delle utenze nelle more intervenuto (prima della stipulazione del contratto), non possa essere considerata nulla.
In conclusione, secondo la sentenza in commento se è vero che in linea generale il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne deriva ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che dette disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale, occorre comunque precisare che il principio di immodificabilità del contratto non ha carattere assoluto; ed infatti le succitate sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ammetterebbero quelle modifiche non sostanziali, valorizzando dunque la tipologia delle modifiche e non il momento in cui intervengono.