Indirizzo
Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100
a cura dell’avvocato Anna Cristina Salzano
Con sentenza n. 9003 del 21 ottobre 2022 la Sezione III del Consiglio di Stato si è espressa in merito alla corretta applicazione dell’art. 51, comma 3, del Codice appalti e all’estensione della disciplina del vincolo di aggiudicazione ad un gruppo di imprese o, più precisamente, ad imprese che siano legate formalmente/sostanzialmente tra loro apparendo come unico centro decisionale.
All’esame del Collegio vi è la legittimità del provvedimento di annullamento dell’aggiudicazione dei lotti 1, 7 e 8, adottato dall’Amministrazione in applicazione del vincolo di aggiudicazione previsto dalla lex specialis in quanto era emerso che una società collegata alla aggiudicataria si era aggiudicata gli ulteriori lotti della stessa gara.
L’Autorità giurisdizionale affronta la questione effettuando una previa analisi della normativa nazionale, di derivazione comunitaria e successivamente calando i suddetti principi al caso concreto.
L’art. 51, comma 3, D.lgs. 50/2016 stabilisce che “Le stazioni appaltanti possono, anche ove esista la facoltà di presentare offerte per alcuni o per tutti i lotti, limitare il numero di lotti che possono essere aggiudicati a un solo offerente, a condizione che il numero massimo di lotti per offerente sia indicato nel bando di gara o nell’invito a confermare interesse, a presentare offerte o a negoziare. Nei medesimi documenti di gara indicano, altresì, le regole o i criteri oggettivi e non discriminatori che intendono applicare per determinare quali lotti saranno aggiudicati, qualora l’applicazione dei criteri di aggiudicazione comporti l’aggiudicazione ad un solo offerente di un numero di lotti superiore al numero massimo”.
La finalità di tale disposizione si rinviene nel Considerando 79 della Direttiva 2014/24/UE, che consente alle stazioni appaltanti di limitare il numero dei lotti aggiudicabili al medesimo operatore economico “allo scopo di salvaguardare la concorrenza o per garantire l’affidabilità dell’approvvigionamento”.
Tale indicazione – precisa il Consiglio di Stato – e l’art. 51, comma 3, del Codice Appalti che ne costituisce attuazione disvelano il duplice profilo causale dei contratti di appalto pubblici: quello c.d. “contabilistico”, funzionale alle (sole)esigenze di approvvigionamento di beni e servizi dell’amministrazione; e quello c.d. “proconcorrenziale”, efficacemente descritto dalla dottrina come volto a creare artificialmente le condizioni di concorrenza (peraltro non solo in un’ottica macroeconomica, ma anche allo scopo di favorire l’interesse del contraente pubblico) laddove esse non si sarebbero naturalmente esplicate.
Sul piano sistematico, il terzo comma del citato art. 51 del Codice Appalti si inserisce nel contesto di una disposizione la cui complessiva disciplina è finalizzata alla tutela – in termini di accesso al mercato delle commesse pubbliche – “delle microimprese, piccole e medie imprese”: così si esprime il primo comma, indicando la finalità della suddivisione in lotti.
Dunque, secondo la sentenza in commento, la disciplina del vincolo di aggiudicazione va interpretata(anche) avuto riguardo al fatto che tale istituto non è isolato, ma è parte del più complesso regime della suddivisione in lotti, che ne costituisce il fondamento sistematico.
Ciò premesso, il Collegio rileva che anche in presenza di una gara suddivisa in più lotti, ove sussista un vincolo di aggiudicazione (art. 51, comma 3), l’offerta imputabile ad un unico centro decisionale debba essere parimenti considerata unica, in quanto imputabile ad un “solo offerente” sostanziale. Ciò, ad avviso del Collegio, è coerente con la ratio dall’art. 80, comma 5, lett. m), del Codice Appalti.
Premesso quanto sopra, il Consiglio di Stato si premura di calare i suddetti principi di carattere generale alla fattispecie concreta considerandone gli aspetti peculiari.
Si legge nella sentenza in commento che “L’espressione usata nella richiamata disposizione della legge di gara per definire l’ambito di operatività del vincolo di aggiudicazione (“concorrente”) sia sul piano letterale che su quello funzionale non consente di circoscrivere la nozione alla singola impresa, dal momento che ha riguardo proprio ad una categoria connotata dal riferimento al confronto nel relativo mercato.
Si tratta di una nozione che replica quella di “offerente”, utilizzata sia dal citato art. 51, comma 3, che dall’art. 46, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE: e che va evidentemente intesa in senso sostanziale e funzionale, dunque in modo da “de quotare il profilo formale della pluralità soggettiva” (Consiglio di Stato, sentenza n. 6481/2021, cit.).
In altre parole, la partecipazione alla gara mediante due imprese formalmente distinte, ma riconducibili al medesimo centro decisionale, avrebbe comportato l’elusione della finalità sottesa alla stessa suddivisione in lotti (e dal vincolo di aggiudicazione), consentendo all’unitaria realtà imprenditoriale di aggiudicarsi la metà dell’oggetto del contratto complessivamente inteso, laddove la legge di gara mirava ad un risultato esattamente opposto.
A ciò si aggiunga che, come risulta plasticamente dal verbale del R.U.P. del 17 novembre 2021, le offerte delle due imprese formalmente distinte presentavano plurimi (13) elementi sintomatici della unicità della loro provenienza, che se la gara non fosse stata suddivisa in lotti sarebbero stati rilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 80, comma 5, lett. m), del codice dei contratti pubblici: dalle medesime caratteristiche redazionali ed analogie contenutistiche delle offerte tecniche, alle medesime caratteristiche delle giustificazioni di anomalia dell’offerta, alle polizze assicurative (emesse dalla medesima compagnia e dalla medesima agenzia), alla identità del rappresentante legale per entrambe le società, agli intrecci societari, e così via”.
Da tali elementi di fatto – ad avviso del Collegio – emergerebbe che nel caso di specie “non si è in presenza di un mero collegamento societario, ma piuttosto – dietro lo schermo formale di una apparente diversità soggettiva – di una sostanziale identità imprenditoriale e finanche aziendale (riferita, ciò che più conta, alla specifica gara ed alla specifica prestazione offerta): vale a dire a quella situazione che consentirebbe alla stazione appaltante di applicare il vincolo di aggiudicazione senza alcun particolare onere specificativo nella legge di gara. Ciò che connota dunque la fattispecie in esame non è solo l’unicità del centro decisionale, ma la concreta traduzione di tale dato soggettivo nel dato oggettivo della sostanziale unicità dell’offerta prestazionale: che è proprio una delle due eventualità che il vincolo di aggiudicazione intende evitare: accanto a quella di concentrazione delle commesse (secondaria o “speciale”, secondo la stessa prospettazione)”.
La sentenza del Consiglio di Stato n. 9003 del 21 ottobre 2022 affermando quindi l’applicazione del vincolo di partecipazione o di aggiudicazione anche alle imprese tra loro collegate o riconducibili ad un unico centro decisionale ha segnato un’inversione di rotta rispetto ad alcune pronunce della Sezione V dello stesso Consiglio di Stato che avevano invece sposato un’interpretazione più restrittiva secondo cui “La possibilità dì aggiudicare autonomamente i singoli lotti è dunque incompatibile con la configurazione di una gara unitaria poiché le singole procedure di aggiudicazione sono dirette a tanti contratti di appalto quanti sono i lotti: se ciascun lotto può essere aggiudicato a concorrenti diversi, non ci si trova dì fronte ad un appalto unitario e se non vi è appalto unitario non vi può essere unicità della gara” (Cons. Stato, sez. V, 12 gennaio 2017, n. 52; Consiglio di Stato Sez. V, sentenza del 12 ottobre 2022, n. 8726, n. 8729 e n. 8730).
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